giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Quel monitor di Expo al passo carraio dove non serve a nessuno

 

Uno dei 173 monitor di marca Samsung comprati coi fondi Expo nell’ambito di un appalto del valore complessivo di 1 milione e settecentomila euro è stato appeso nel passo carraio del Palazzo di Giustizia affacciato su Corso di Porta Vittoria (sospesi-gli-affidamenti-diretti-expo-per-la-giustizia-milanese-il-verbale-che-svela-il-clamoroso-cambio-di-rotta).

Scelta che appare bizzarra se pensiamo che questi maxi schermi dovrebbero servire a orientare il pubblico che quotidianamente affluisce nel Palazzo (“rifacimento dei segnali informativi e dei percorsi guidati del palazzo di giustizia, sistema informatico tramite monitor”, si legge nelle carte ufficiali). La zona del passo carraio è off limits per il pubblico, resta quindi il mistero su a chi o a cosa serva questo schermo. Negli ultimi giorni, ne sono spuntati diversi anche fuori dal Palazzo: uno vicino al Tribunale del Riesame, un altro  nei pressi dell’archivio (cui prodest?). Ci è stato spiegato che l’utilità di questa innovazione tecnologica sarebbe quella di ‘sostituire’, tra l’altro, i vecchi  fogli di carta, quelli affissi sule porte delle aule  che forniscono i dati essenziali delle udienze. Per adesso sugli schermi continua a lampeggiare la scritta ‘No cable connected’ e crescono ironie e malumori su questi ingombranti nuovi inquilini che richiederanno ardite torsioni del collo per essere consultati. (manuela d’alessandro)

Il pm De Pasquale libera i 3 anarchici fermati ieri, tanto rumore per nulla

Sono liberi i 3 anarchici arrestati ieri durante gli scontri relativi allo sgombero del centro sociale ‘Il corvaccio’ in zona Corvetto. Il pm Fabio De Pasquale, per anni grande accusatore di Silvio Berlusconi e ora alle prese con presunte maxitangenti pagate dall’Eni in mezzo mondo, non ha chiesto nel processo per direttisssima la convalida dei fermi. Alla base della decisione del magistrato la convinzione che si trattasse di fatti di lieve entità riguardanti lanci di bottiglie di birra e di latte, pezzi di intonaco che peraltro non colpivano nessuno. Non c’erano inoltre esigenze cautelari. I tre giovani tra i 25 e 33 anni restano indagati a piede libero per resistenza a pubblico ufficiale, al pari di altri 6 militanti dell’area antagonista. I 3 erano stati fermati a causa di una valutazione sui loro precedenti. La decisione del pm almeno per ora ha azzerato tutto.

Tanto rumore per nulla. Ieri era stato messo in atto un costosssimo dispositivo repressivo tra un paio di elicotteri, blindati e centinaia di uomini al fine di sgomberare i due centri sociali ‘Il Corvaccio’ e la ‘Rosa Nera’. Secondo stime attendibili il valore dell’operazione sarebbe stato di almeno 100 mila euro. Soldi investiti o buttati a mare (è questione di punti di vista) per trasformare come accade troppo spesso un problema sociale, politico e culturale in una esclusiva questione di ordine pubblico dove lo Stato decide di mostrare i muscoli in quartieri periferici della metropoli in cui  di solito brilla per la sua assenza. Accade raramente ma stavolta è successo. Di avere a che fare con un magistrato che un minimo di sale in zucca ce l’ha (frank cimini).

NoTav, compressore rotto. “Terrorismo, atto di guerra”, pm chiede 9 anni e 6 mesi

I pm di Torino hanno chiesto la condanna a 9 anni e 6 mesi di carcere per 4 militanti NoTav arrestati nel dicembre scorso per un’azione contro il cantiere di Chiomonte in Val di Susa durante la quale a colpi di bottiglie molotov fu danneggiato un compressore. “Atto di guerra”. “Azione militare minuziosamente preparata” sono i titoli della requisitoria. L’iniziativa per i pm ebbe la finalità terroristica, con gravi danni all’immagine dell’Italia e dell’Unione Europea. Nella requisitoria non si è fatto cenno che la Ue non ha voluto costituirsi parte civile e che leggendo la nota della commissione il presidente della Corte d’assise commentò: “L’Unione Europea non sembra granchè interessata a questo processo”.

Della scelta da parte della Ue e della sua motivazione nessun giornale ha mai scritto. Evidentemente esiste un legame molto stretto (eufemismo) tra i media e la procura. Del resto i giornaloni sono controllati direttamente o indirettamente dalle banche molto interessate alla realizzazione dell’opera.

I pm Padalino e Rinaudo negano la possibilità di concessione delle attenuanti generiche “nonostante lo stato di incensuratezza degli imputati”. Fanno testo invece per l’accusa “gli altri carichi pendenti” oltre alla “personalità” e alla “pericolosità” degli stessi. La procura fa una piccola marcia indietro  sull’attentato alla vita delle persone, dal momento che chiede la condanna solo per l’attentato all’incolumità di operai e poliziotti. Di qui la richiesta di condanna a 9 anni e 6 mesi inferiore ad alcune previsioni della vigilia ancora più catastrofiche per gli imputati.

Ma stiamo parlando di una magistratura che agita un fantasma del passato per reprimere l’unico movimento radicato sul territorio, in una porzione sia pure piccola del paese. Ovviamente il treno ad alta velocità Torino-Lione era ed è un problema sociale, politico, culturale, di modello di sviluppo la cui risoluzione è stata delegata ai magistrati. Come accadde tanti anni fa in una situazione infinitamente più tragica. E così per fermare la protesta di un’intera valle si utilizza come una clava il codice penale. Come deterrente verso chiunque altro dovesse scendere in piazza per protestare. Ironia della sorte la richiesta di condanna per “terrorismo” arriva proprio nel momento in cui la realizzazione dell’opera viene messa in discussione da alcuni dei suoi grandi fautori a causa dei costi miliardari dei quali molti sembrano accorgersi solo ora. E tra questi spicca il senatore piddino Stefano Esposito, una sorta di Pecchioli del terzo millennio per la foga con la quale sollecita di seppellire in prigione i NoTav.

Lasciano il tempo che trovano le affermazioni dei pm in aula di oggi. “Qui non si processano le idee”, parole di Rinaudo, magistrato vicino a Fratelli d’Italia, sottotroncone di An. “La serva che ruba è ladra, la padrona è cleptomane” detto da Padalino, ex figiciotto. Insomma l’arco costituzionale (allargato ai neofascisti) è rappresentato tutto e bene. (frank cimini)

Addio a Giuggioli, per 18 anni il ‘Presidente’ degli avvocati milanesi.

Questa notte è mancato all’età di 77 anni lo ‘storico’ Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Milano Paolo Giuggioli. Il ricordo dell’avvocato Davide Steccanella.

“Per me è stato e rimarrà il mio “Presidente”.
Non che avessimo molto in comune, né che ci frequentassimo extra-Tribunale, anche per ragioni di età, però ero molto affezionato al sempiterno Giuggioli, come si diceva a Palazzo, e oggi la notizia della sua morte improvvisa mi ha reso triste anche se credo che abbia vissuto facendo quello che voleva fare.
Non mi hanno mai molto “appassionato” le campagne elettorali per la elezione del Presidente dell’Ordine e quindi ero poco interessato alle varie accuse di attaccamento alla poltrona che da più parti gli venivano mosse, e molto spesso provenienti da chi su quella poltrona avrebbe voluto subentrare.
Quelle rare volte che per la mia professione ho avuto bisogno di parlare con qualcuno del mio ordine professionale lui era sempre disponibile e sorridente, insomma avevo l’impressione di avere un Presidente, ecco perché ogni due anni il mio primo nel segreto dell’urna voto era sempre per lui.
Anni fa organizzai a Palazzo un importante convegno su un tema che da sempre molto mi appassiona e mi ricordo che la prima volta che glielo proposi mi disse subito di si con entusiasmo mettendomi a disposizione i “potenti” mezzi di cui come Presidente dell’ Ordine poteva disporre, e poi venne a quel convegno e partecipò nel più sentito dei modi.
Voglio però ricordarlo in un episodio gustoso che non c’entra nulla con il solito “palazzo” perché avvenne sulla autostrada Milano-Bologna un accaldato pomeriggio di settembre di qualche annetto fa. Continua a leggere

“Crimini contro l’ospitalità”, un libro spiega bene perché chiudere i Cie

“Non è possibile umanizzare una istituzione che porta con sé inscritta la violazione dell’umanità. I Cie vanno chiusi”. In 103 pagine, un po’ reportage dal centro di “accoglienza” di Ponte Galeria, un po’ saggio, Donatella Di Cesare, docente di filosofia teoretica alla Sapienza di Roma, spiega perché i Centri di identificazione ed espulsione, isitituiti con una legge che reca il nome dell’attuale capo dello Stato, sono incostituzionali. Scrive la’utrice: “La porta blindata che si chiude sulla libertà dell’immigrato si chiude anche sulla nostra democrazia”.

Perché nei Cie vengono privati di libertà e dignità persone che nessun reato hanno commesso. La loro colpa è essere “clandestini”. “Gli stranieri temporaneamente privi di passaporto o carta di identità diventano illegali. Una contingenza burocratica è assurta così a proprietà costitutiva e dominante di un essere umano. Su questo passaggio illecito e contrario a ogni logica si è fondato il reato di clandestinità” scrive l’autrice. Continua a leggere