giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Quasi 4 anni per l’appello Telecom, così la giustizia lenta ha ucciso il processo sui dossier

 

Chi vuole la prescrizione? La legge cattiva, gli avvocati che affogano i processi per salvare la pelle ai clienti?

Ecco un caso che ci da’ spunto per cambiare prospettiva.

Dopo quasi 4 anni è stato fissato il processo d’appello di uno dei capitoli dell’appassionante ‘spy story’ che travolse Telecom e Pirelli all’inizio degli anni duemila quando si scoprì che la security, guidata da Giuliano Tavaroli, confezionava dossier illeciti all’ombra della società.

Il 3 novembre si aprirà davanti alla prima corte d’assise d’appello il giudizio di secondo grado chiamato a pronunciarsi sulla sentenza che il 13 febbraio 2013 condannò 7 imputati, tra i quali l’ex appartenente del Sisde Marco Bernardini (7 anni e mezzo) e l’ex investigatore privato Emanuele Cipriani (5 anni e mezzo). I due vengono considerati ‘promotori ‘ di un’associazione a delinquere che si sarebbe consumata tra il 2000 e il settembre 2006, quindi per loro la prescrizione arriva proprio a ridosso dell’inizio dell’appello.

Il primo grado si era chiuso con 7 condanne oltre che per associazione a delinquere, anche per corruzione, accesso abusivo a sistema informatico e  rivelazione di notizie coperte da segreto di Stato. Solo quest’ultima ipotesi di reato è rimasta intatta, tutto il resto è stato sgretolato dal trascorrere del tempo nell’infinito dipanarsi di un’inchiesta partita nel 2005.

Nel frattempo, Tavaroli e  altri imputati hanno patteggiato una pena che avrebbe potuto essere molto inferiore se avessero atteso che la polvere del tempo cancellasse le accuse. (manuela d’alessandro)

 

 

La verità di Neri: io e Selvaggia volevamo solo spettegolare, non sono un pirata della rete

“Io e Selvaggia volevamo solo spettegolare: su Clooney, se era etero oppure no, sulla Venier e sugli altri vip”. Al processo sul presunto spionaggio nelle mail delle celebrità e sul ‘furto’ delle 150 foto del compleanno di Elisabetta Canalis, il principe dei blogger Gianluca Neri  raffigura lui e la giornalista del ‘Fatto’ come due “scemotti” che, dietro lo schermo dei loro pc,  si raccontavano “cose cretine”.

“Ci saremmo visti non più di 5 volte in 10 anni, ma siamo amici”, assicura Neri che ha negato al giudice Stefano Corbetta di essersi intrufolato in modo abusivo nei segreti dei famosi. “Le foto le ho trovate nel sito 4chan, una specia di ‘wikileaks’. Un link rimandava alla mail ‘giorgioclone’ e alla sua password, da lì sono arrivato alla cartelletta con le 191 immagini. Non avendo mai avuto la passione per il gossip (ndr ma per il pettegolezzo sì?) non gli ho dato molto valore: erano foto carine, sincere, con loro due che festeggiavano il compleanno”.

“Allora le ho mandate a Selvaggia in modo scherzoso. Lei aveva un’ossessione per Clooney, e chi non ce l’ha, è così bello. C’era in ballo tra me e Selvaggia il discorso su Clooney etero o no e allora le dissi ‘te le faccio vedere e vedrai che lui non la bacia mai in bocca’”. Dietro il pc, l’amica però fa un balzo: “Mi ha detto ‘ma stai scherzando? Quelle foto sono una cosa bellissima’ e poi mi ha detto di averne parlato con Gabriele Parpiglia (ndr giornalista gossipparo)”. Della trattativa che ne è seguita, con la compravendita sfumata per volontà del direttore di ‘Chi’ Alfonso Signorini, l’imputato giura di non averne saputo nulla e di non avere mai chiesto soldi per le foto. “Io e Selvaggia ci siamo visti a cena e abbiamo concordato che dalla trattativa con ‘Chi’ volevamo stare fuori”. Il pm Grazia Colacicco lo stuzzica sui messaggini che per l’accusa dimostrerebbero la consapevolezza sua e di Selvaggia di ‘spiare’ i vip. “Erano solo ‘sbruffonerie’ tra me e Selvaggia, anche la Venier l’abbiamo trovata tra quelle tenute sotto osservazione in 4chan, di qui il messaggio ‘habemus Mara”.

“E come mai – insiste il pm – lei sostiene di frequentare assiduamente 4chan, mentre a noi risulta che non ci va mai?”. “Perché – ribatte -  il pc in sequestro è stato acquistato un anno dopo i fatti”.

Questa la verità di ‘Macchianera’. Un po’ diversa da quella di Selvaggia che ha sempre detto di avere ricevuto attraverso la posta del suo blog una mail dall’indirizzo ‘giorgioclone’, non citando mai Neri. E da quella del fotografo Giuseppe Carriere che descrive Lucarelli come intermediaria nell’operazione per la vendita dei diritti delle preziose foto. (manuela d’alessandro)

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Virus negli smartphone e lettere dalla Questura, lo strano arresto del killer del magistrato

 

Trent’anni fa i servizi segreti consegnarono a un pentito un registratore per raccogliere la confessione di Domenico Belfiore sull’omicidio del magistrato torinese Bruno Caccia. Finì che anni dopo Belfiore venne condannato in Cassazione come mandante del delitto ma quelle registrazioni furono considerate inutilizzabili dalla Cassazione.

Ora, la Procura di Milano prova a stanare dalle polveri della storia uno dei presunti killer  del procuratore torinese con altri strumenti d’indagine non convenzionali: lettera anonime inviate dalla Questura e virus inoculati nei telefonini. 

Prima, dalla Questura di Torino sono partite delle missive destinate a una ristretta ‘rosa’ di 3 prescelti che riproducevano un articolo della ‘Stampa’ del giorno dell’agguato e con la scritta sul retro: ‘Omicidio Caccia: se parlo andate tutti alle Vallette. Esecutori: Domenico Belfiore – Rocco Barca Schirippa. Mandanti Placido Barresi, Giuseppe Belfiore, Sasà Belfiore”. L’obbiettivo era innescare, come poi in effetti è avvenuto, una discussione tra le persone citate nella lettera, tutte vicine al sospettato numero uno, Rocco Schirripa, arrestato oggi perché ritenuto l’uomo che freddò il magistrato torinese nel 1983 su mandato di Domenico Belfiore. “E’ stata la prima volta che ho usato questo stratagemma”, ha ammesso Ilda Boccassini in conferenza stampa.

Poi, per ascoltare quello che si dicevano, gli hanno inoculato negli smartphone dei virus informatici in grado di attivare il microfono e la videocamera dei telefonini. Una tecnica d’indagine molto invasiva, marchio di fabbrica di Hacking Team, che la Corte di Cassazione (sentenza 27100/2015) ha giudicato utilizzabilie solo se “l’intercettazione avviene in luoghi ben circoscritti e e individuati ab origine e non in qualunque luogo si trovi il soggetto“. Gli intercettati parlavano di quelle che definivano “cose delicatissime” solo sul balcone di casa Belfiore, pensando così di evitare le intercettazioni ambientali tradizionali atrraverso microspie negli ambienti domestici. Invece, ogni loro sospiro veniva carpito dai teleonini, tranne quando li spegnevano. “Solo in casa di Domenico Belfiore – evidenzia il gip nell’ordinanza – è stato attivato dalla polizia giudiziaria il microfono degli smartphone intercettati”. (manuela d’alessandro)

Google batte indagato nella prima sentenza italiana sull’oblio dopo la Corte europea

Google batte indagato nel primo verdetto sul diritto all’oblio dopo la sentenza con cui nel maggio 2014 la corte di giustizia europea ne aveva ampliato i confini stabilendo che i cittadini possono pretendere la cancellazione delle informazioni “che offrono una rappresentazione non più attuale della propria persona con pregiudizio della reputazione e riservatezza”.

Un avvocato svizzero chiede al Tribunale civile di Roma che il motore di ricerca ‘deindicizzi‘ 14 link nei quali si parla del suo coinvolgimento in un’indagine su ex della banda della Magliana e su alcuni religiosi.

Nel ricorso, il legale sottolinea che in questa vicenda giudiziaria non è mai stata pronunciata una condanna a suo carico e chiede, oltre alla rimozione dei link, la condanna di Google a una somma non inferiore ai 1000 euro. Il diritto alla privacy, avevano sancito i giudici europei, va comunque bilanciato caso per caso col diritto di cronaca e l’interesse pubblico a conoscere i fatti.

Il giudice romano Damiana Colla respinge la richiesta di cancellazione perché l’indagine è ancora in corso, mancando la produzione di documenti che ne attestino la chiusura, come sentenze o archiviazioni (“il trascorrere del tempo ai fini della configurazione del diritto all’oblio si configura quale elemento costitutivo”) e presenta “un sicuro interesse pubblico”; inoltre, il ricorrente “è avvocato in Svizzera, libero professionista, circostanza che consente di ritenere che questi eserciti un ‘ruolo pubblico’ proprio per effetto della professione svolta e dell’albo professionale cui è iscritto, laddove tale ruolo pubblico non è attribuibile solo al politico ma anche agli alti funzionari pubblici e agli uomini d’affari, oltre che agli iscritti agli albi”.

Ma c’è di più. Il ricorrente non può neppure lamentarsi della falsità delle notizie riportate cercando il suo nome nel motore di ricerca “non essendo configurabile alcuna responsabilità da parte di Google, il quale opera unicamente come ‘caching provider’ (…) avrebbe dovuto agire a tutela della propria reputazione e riservatezza direttamente nei confronti dei gestori di siti terzi sui quali è avvenuta la pubblicazione del singolo articolo di cronaca, qualora la notizia non sia stata riportata fedelmente, ovvero non sia stata rettificata, integrata o aggiornata coi successivi risvolti dell’indagine, magari favorevoli all’odierno istante (il quale peraltro deduce di non aver riportato condanne e produce certificato negativo del casellario giudiziale”).

(manuela d’alessandro)

Vittime dei reati informatici, niente paura. Per voi apre uno sportello gratis nel palazzo

Vittime dei reati informatici, questo spazio è per voi. Voi che vi ritenete diffamati su Facebook, truffati compiendo un acquisto online con la carta di credito, derubati della vostra identità. Ogni 15 giorni a partire da oggi, nella saletta dell’ordine degli avvocati di Milano, al primo piano del palazzo di giustizia avete a vostra disposizione dei legali esperti in diritto informatico che vi garantiscono un servizio di orientamento. “E’ uno sportello nato dalla considerazione che chi subisce un reato informatico è spesso una vittima più fragile di altri – spiega una delle promotrici dell’iniziativa, l’avvocato Silvia Belloni – non conosce bene la materia e non sa come muoversi. I legali  offrono un aiuto per capire come muoversi, non un servizio di assistenza. Ma se poi la vittima volesse presentare una denuncia le verranno garantite dall’Ordine tariffe calmierate per portare avanti la causa”. Tutte le toghe dietro allo sportello, assicura Belloni, “prestano la loro attività in modo gratuito adempiendo alla funzione sociale che l’avvocato deve esercitare” e sono state formate attraverso corsi organizzati dalla Procura, in particolare dal pm Francesco Cajani, in collaborazione con l’Ordine. Lo sportello è aperto di martedì dalle 14 e 30 alle 16 e 30. (m. d’a.)