giustiziami » intercettazioni http://www.giustiziami.it/gm Cronache e non solo dal Tribunale di Milano Tue, 15 Apr 2025 11:11:37 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.4.1 Archiviazione per 45 No Expo (e 80 mila euro di intercettazioni) http://www.giustiziami.it/gm/archiviazione-per-45-no-expo-e-80-mila-euro-di-intercettazioni/ http://www.giustiziami.it/gm/archiviazione-per-45-no-expo-e-80-mila-euro-di-intercettazioni/#comments Mon, 22 Oct 2018 11:17:11 +0000 cimini http://www.giustiziami.it/gm/?p=11315

Il gip di Milano ha archiviato su richiesta conforme della procura le accuse di devastazione e saccheggio a carico di 45 militanti NoExpo in relazione alla manifestazione del primo maggio del 2015. Il costo delle intercettazioni durate  fino a maggio del 2017 ammonta a 79.294 euro e 8 centesimi. La somma di denaro sicuramente non ingentissima ma comunque significativa non è stata utile a trovare riscontri all’ipotesi dell’accusa. Il giudice in accordo con la procura ha deciso che il “gesticolare” dei presunti promotori degli incidenti che invitavano i manifestanti ad andare avanti non è sufficiente per supportare in aula l’accusa di aver coordinato le azioni violente quel giorno in cui venne inaugurata l’esposizione universale.

Sulla decisione del giudice può aver pesato il fatto che altri manifestanti già portati a processo più o meno con lo stesso quadro accusatorio erano stati assolti dal reato più grave sia in primo che in secondo grado. Anche se resta da celebrare il processo a 5 manifestanti, tra i quali  4 greci  destinatari della misura cautelare in carcere ma a piede libero ad Atene perché la corte d’appello locale aveva negato l’estradizione spiegando che non esiste la responsabilità penale collettiva ma solo quella personale. Secondo i giudici greci non sarebbero stati indicati elementi specifici a carico degli indagati.

Tra le 45 posizioni archiviate dal gip c’è quella di Pasquale Valitutti figura storica dell’area anarchica, “l’unico manifestante in carrozzella” scrive il giudice. “E’ vero che indossava il casco ma non si trattava di travisamento essendo già identificato dalla carrozzella.

Valitutti la notte tra il 14 e il 15 dicembre del 1969 era nella stanza accanto a quella del commissario Luigi Calabresi da dove volò giù Pino Pinelli, fermato in relazione all’indagine sulla strage di Piazza Fontana. Insomma un pezzo di storia dell’anarchismo che non smette di manifestare facendosi aiutare da una carrozzella.(frank cimini)

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La verità, 30 anni dopo: il ‘nuovo’ codice ha fallito http://www.giustiziami.it/gm/la-verita-30-anni-dopo-il-nuovo-codice-ha-fallito/ http://www.giustiziami.it/gm/la-verita-30-anni-dopo-il-nuovo-codice-ha-fallito/#comments Fri, 29 Apr 2016 11:25:13 +0000 dalessandro http://www.giustiziami.it/gm/?p=6936

Alla fine del 1989 veniva introdotto in Italia il “nuovo” Codice di Procedura penale che, dopo lunga gestazione e il contributo di alcuni tra i maggiori giuristi del tempo, mandava definitivamente in cantina quello “glorioso” del 1930. Si disse, con certa enfasi, che il “nuovo” processo, costruito secondo il modello accusatorio di matrice anglosassone e non più inquisitorio, vetusto retaggio del vecchio regime, sarebbe stato più “garantista”. Bizzarro neologismo posto che, riferendosi al rispetto delle garanzie di legge dell’imputato, sembrerebbe accreditare l’esistenza di qualcuno che altrettanto legittimamente non lo fa.

Il nuovo processo penale prevedeva alcuni capisaldi destinati, sulla carta, a rivoluzionare quello precedente. Una fase inziale di ricerca della prova da parte dell’accusa dalla durata massima di sei mesi e sotto il rigido controllo dell’Autorità Giudiziaria sulle indagini di Polizia prima di dare accesso alla difesa. Una seconda fase di preventiva verifica, da parte di un Giudice terzo, della effettiva necessità o meno di celebrare un processo sulla base del materiale raccolto da entrambe le parti. Una terza fase di verifica dell’effettiva fondatezza dell’accusa da parte di un Tribunale del tutto ignaro di quanto in precedenza avvenuto, previa l’acquisizione orale delle prove presentate a dibattimento dalle parti in contraddittorio in condizione di assoluta parità.

I due successivi gradi di impugnazione invece non differivano troppo dal rito abrogato, il primo restava una rivalutazione di merito di quanto acquisito in primo grado ed il secondo un controllo di legittimità sulla sentenza ricorsa. A latere del “modello” base furono introdotte alcune significative “novità”, le tre principali erano: 1) la previsione di riti alternativi “snellenti” che introducevano incentivi in punto di pena (ma non solo) per l’imputato che rinunciava al pubblico dibattimento, 2) la rivisitazione del regime cautelare previgente per circoscrivere allo stretto necessario la limitazione della libertà di un cittadino non ancora condannato e 3) l’abolizione della vecchia formula assolutoria per “insufficienza di prove” secondo il principio che la responsabilità penale dell’imputato deve essere provata dall’accusa “al di là di ogni ragionevole dubbio” dovendo lo stesso, in caso contrario, essere assolto. La “ratio” alla base della scelta del legislatore era quella di ridurre il numero dei processi penali ai soli casi veramente meritevoli di un compiuto accertamento dibattimentale e non solo per velocizzare i tempi della giustizia ma anche per non sottoporre a lunghi, costosi e logoranti processi cittadini che magari dopo anni di sofferenze risultavano innocenti.

A distanza di quasi 30 anni possiamo dire che di quell’idea inziale è rimasto ben poco. Le indagini “segrete” del PM si protraggono ben oltre il limite di legge, essendosi nel tempo trasformata, la prevista facoltà di chiedere al Giudice una proroga, da eccezione a regola, e l’abuso della “delega di PG” da parte dei PM ha fatto sì che le indagini si risolvano molto spesso in accertamenti di Polizia Giudiziaria cui il PM mette solo il proprio finale avallo. Nei procedimenti costruiti per lo più sull’esito di intercettazioni, di cui viene fatto largo uso e per un numero sempre maggiore di reati, l’iniziale brogliaccio di PG che ricostruisce il contenuto di mesi di ascolto finisce con l’essere il fulcro del “file” sul quale viene formulata dal PM la richiesta di provvedimenti cautelari al GIP che a sua volta li trafonde nell’Ordinanza applicativa che molto spesso diventa a sua volta il tessuto motivazionale di una Sentenza in sede di Giudizio abbreviato di altro GIP poi confermata dalla Corte d’Appello e ratificata dalla Corte di Cassazione.

Le condizioni per applicare misure cautelari anticipate hanno perduto da tempo quei requisiti di assoluta concretezza e indispensabilità e il ricorso alla misura più estrema del carcere quello di eccezionalità rispetto alle tante altre meno afflittive pur previste, al punto da rendere sempre più elevato il numero dei detenuti preventivi che poi finiscono paradossalmente per subire la pena solo “prima” della condanna e non “dopo”. Detenuti da innocenti e liberi da colpevoli insomma. E’ stato persino consacrato in legge, valido anche per la Cassazione, lo stavagante concetto del “giudicato cautelare” in punto non già di indizi bensì di esigenze per definizione contingenti e rivedibili. In tal modo un “pericolo di reiterazione” prognosticato a dicembre per un soggetto libero di agire come meglio crede non sapendo di essere stato “attenzionato” rimarrebbe concreto anche dopo un anno di carcere in assenza, testuale di “fatti nuovi” (che non si capisce quali possa porre in essere chi si trova da mesi recluso se non forse rendere confessione). Per scongiurare la scadenza dei termini cautelari di fase è invalsa da anni la scelta da parte del PM di ricorrere al rito immediato per saltare l’Udienza preliminare non già, come originariamente previsto, per quei casi dove la prova risultava così “evidente” da rendere inutile il giudizio prognostico del GUP (e che avrebbe dovuto essere raccolta in tempi rapidi) ma per condurre l’imputato in manette di fronte al Giudice dell’accertamento. Né le cose vanno meglio nella seconda fase cosiddetta filtro, giacchè ogni valutazione prognostica negativa di un GUP viene successivamente ritenuta indebita ingerenza nel merito dell’accusa da demandarsi alla fase successiva, svuotando così di significato la previsione di cui all’art. 425 Cpp e la stessa Udienza Preliminare, non a caso ormai talmente “intasata” di trattazioni preventivamente fissate ogni 5 minuti dal GUP di turno a significarne la sostanziale inutilità. Peraltro la facoltà di poter liberamente scegliere tra dover scrivere un provvedimento motivato e soggetto a gravame e limitarsi a indicare una data del calendario, mal si concilia con i notevoli carichi di lavoro di un ufficio GIP che nato per “filtrare” non filtra più. Neppure nella terza fase dibattimentale le cose sembrano essere andate per il verso previsto. Il principio della ricerca della verità ha sottratto la disponibilità della prova alle parti, ed al PM che “dimentica” di allegare prove per l’accusa suppliscono i poteri di integrazione d’ufficio del Giudicante. E così pure il principio di oralità, sovvenendo prontamente l’allegazione di quanto avvenuto prima, in caso di difformità dibattimentale di un testimone o imputato. Si badi a tale proposito che anche l’istituto dell’incidente probatorio, eccezionale ipotesi di anticipazione della prova durante le indagini per scongiurare il rischio di dispersione è ormai abitualmente invocato dai PM per consacrare una chiamata di correo di soggetto destinato ad uscire dal processo con riti alternativi in forza di sconti di pena premiali. L’abolizione della formula dubitativa con il senno di poi si è rivelata un boomerang per l’imputato che un tempo poteva essere assolto in caso di prova equivoca e che oggi rischia invece di essere condannato, magari dopo ben due assoluzioni di merito, per non essere stato in grado di provare in modo assoluto la propria innocenza al quinto giudice del rinvio. Il rito abbreviato che prevedeva lo sconto “secco” di un terzo della pena avrebbe dovuto, sulla carta, preservare dalla pena dell’ergastolo i rei confessi d’omicidio, ma con la “trovata” di applicare detto sconto di legge all’isolamento diurno (sic !) fioccano ancora oggi ergastoli a tutto spiano anche senza Corte d’Assise. E così pure il patteggiamento, originariamente previsto per concludere il processo senza un accertamento e quindi senza conseguenze, è stato dal legislatore “allargato” a tal punto da far si che oggi qualcuno accetti, per limitare i danni, di scontare anche 5 anni di galera senza neppure essere stato dichiarato colpevole. Il grado di appello è diventato molto spesso una mera camera di consiglio anche se interposto avverso una sentenza dibattimentale e a prescindere dall’espressa richiesta di dire subito se si intende discuterlo o meno, eliminando così anche la lettura della relazione, unico momento di pubblico confronto con gli altri membri del Collegio. Quanto infine alla Corte di legittimità, capace come si è visto di entrare pesantemente nel merito di alcuni casi di rilevanza mediatica, i margini per ritenere viziata la motivazione di una Sentenza paiono ormai essersi ridotti al lumicino rendendo la semplice dichiarazione di infondatezza del gravame persino un “successo” del ricorrente a fronte dell’abusato ricorso alla bocciatura di inammissibilità, che opera sempre in caso di intervenuta prescrizione nelle more. Questo che parrebbe essere il “Lamento di Federico” non già dell’Arlesiana del noto Cilea, ma di un avvocato deluso dall’attuale processo penale, vorrebbe invece essere uno stimolo. Per rivedere da parte di tutti gli operatori, avvocati, giudici, pubblici ministeri, lo stato delle cose dopo quasi 30 anni di applicazione di un rito processuale molto diverso da quello sul quale molti di noi si erano formati. Ma siccome siamo tutti presi a litigare sulla prescrizione corta o lunga o sulla contrapposizione tra giudici e politici che “non si vergognano” so già che questo non succederà. Però mi pareva giusto dirlo, anche per ricevere le giuste critiche di chi legittimamente la pensa in un modo diverso dal mio.

avvocato davide steccanella

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L’omicidio del codice di procedura penale che ‘compie’ 25 anni http://www.giustiziami.it/gm/lomicidio-del-codice-di-procedura-penale-che-compie-25-anni/ http://www.giustiziami.it/gm/lomicidio-del-codice-di-procedura-penale-che-compie-25-anni/#comments Fri, 09 Oct 2015 13:16:55 +0000 dalessandro http://www.giustiziami.it/gm/?p=5470

Sono passati più di 25 anni dalla introduzione in Italia di quel “nuovo” codice di procedura che nel finale del 1989 avrebbe dovuto, si disse, eliminare il vigente “rito inquisitorio” a favore del più anglosassone “rito accusatorio”. In questi anni la gran parte dei principi cardine che avevano ispirato quella trasformazione procedurale sono morti e sepolti con il risultato che l’odierno processo penale risulta meno garantista, per usare un termine tanto abusato quanto osceno, di quello dei nostri padri, rivelandosi soprattutto per l’imputato innocente una trappola esiziale.

Si volle separare la prima fase segreta delle indagini, monopolio della accusa, da quella successiva dell’accertamento in contesa paritaria davanti al Giudice “terzo” ed estraneo alla prima fase, ma il dibattimento si è da anni trasformato nel luogo ove l’accusa fa direttamente confluire, e senza passare dal via, gli esiti della prima fase e se dimentica di farlo, provvede direttamente il Giudice “terzo” ricorrendo a quei poteri di integrazione istruttoria che, previsti come straordinari, sono diventati la regola sulla base del principio dell’accertamento della verità.

Il ricorso alle intercettazioni, previsto come eccezionale ha finito con il costituire l’ossatura portante di gran parte delle indagini a prescindere dalla tipologia di reato perseguita e la prematura, quando smodata, divulgazione sui media sede primaria dei popolari giudizi al punto che si invocano resistenze al bavaglio anche per quelle che di penale rilevanza non avrebbero un bel nulla. Alcuni processi di criminalità organizzata finiscono direttamente in Cassazione con sentenze motivate sul “copia e incolla” dell’originario “file” delle intercettazioni della Polizia giudiziaria che le trascrive per il Pm che sulla base di quelle chiede al GIP la misura cautelare che sulla base di quelle la applica e che diventano in sede di giudizio abbreviato assunto motivazionale di colpevolezza, confermato dalla Corte d Appello ed insindacabile in sede di legittimità.

Si volle limitare il ricorso alla carcerazione preventiva ma l’applicazione giurisprudenziale fece diventare anche il mero silenzio dell’incolpato duplice segnale di inquinamento probatorio e di pervicacia delinquenziale, sul presupposto che chi non recide il legame con il malaffare rendendosi inaffidabile delatore rimane “intraneo” allo stesso ed introducendo persino quel “giudicato cautelare” dei pure previsti controlli incidentali, che, in assenza di impossibili attivazioni da parte di chi si trova recluso, impedirebbe al Giudice della carcerazione ogni futura rivalutazione fino a scadenza massima.

Quanto ai tanti riti alternativi al processo oggi abbiamo un giudizio abbreviato che, nato per invogliare l’incolpato con uno sconto di pena ad accettare un esito sulla base delle sole carte del PM, da un lato commina ergastoli in una unica udienza monocratica a porte chiuse con la stessa legittimazione di una Corte d’Assise impegnata in un lungo processo dibattimentale, e dall’altro legittima, come nel caso Garlasco, supplementi istruttori persino alla Corte di Appello bis nei confronti di chi è già stato più volte assolto. Il giudizio immediato, nato per consentire al PM di saltare la udienza filtro in caso di evidenze probatorie raccolte nei primi 3 mesi di indagine, viene oggi utilizzato da un lato per processare l’imputato in manette saltando i previsti termini di fase oppure per processare, caso Ruby, un colpevole così poco “evidente” da risultare poi assolto, mentre il patteggiamento, nato per definire con sanzioni non esecutive una rinuncia al processo, oggi costituisce marchio di accertata colpevolezza ed “allargato” titolo per rapide detenzioni definitive di entità tutt’altro che modesta. La stessa udienza preliminare, nata per essere un giudizio sulla indagine, oltre a rivelarsi del tutto inutile, è oggi la sede dove spesse volte il PM integra le proprie prove oltre la scadenza prorogabile, ragion per cui trova la sua essenza solo come momento primo e finale per definire alternativamente la vicenda.

Infine, l’abolizione di quella equivoca (as)soluzione per “insufficienza di prove” ha finito per influenzare in negativo, vedi caso Perugia, l’assunto del giudicante evidentemente restio a proclamare come rettitudine comprovata quella di chi appare comunque attinto da materiale indiziario di segno contrario, ragion per cui quella legiferata necessità di assenza di dubbio sulla colpevolezza sì è trasformata in assenza di dubbio sulla innocenza. A latere di tutto questo sono intervenuti rilevanti aumenti di pena per i reati già esistenti e nuovi reati dai nomi improbabili (femminicidio e omicidio stradale) fino alla imposizione al Giudice, a pena di inammissibilità, di preventivamente acquisire il “parere” della vittima sulla carcerazione preventiva. Tempi duri anche per i condannati sottratti sempre di più al loro naturale Magistrato di Sorveglianza con il mezzo della estensione dell’elenco degli “ostativi” a tutti quei minimali diritti a suo tempo introdotti dalle varie riforme carcerarie degli anni ‘70 e ’80, nonché puniti, con leggi repressive della recidiva, con pene da furto più alte di quelle previste per una bancarotta fraudolenta.

Non sono mancati i puntuali, quanto populisti, assalti anche alla prescrizione oggi estesa a termini inaccettabili di un paese civile e già vulnerati non solo dalle imposizioni di sospensione sia per l’incolpato malato che per il difensore altrove professionalmente impegnato ma anche da quella Corte Suprema di legittimità ormai incline a dichiarare inammissibile anche se solo infondato ogni ricorso che altrimenti imporrebbe la presa d’atto di una nel frattempo intervenuta maturazione di legge.

Singolare, va di contro osservato, come la decantata “parità” tra accusa e difesa sia stata invece invocata allorchè si trattò di valutare la legittimazione impugnativa in peius della accusa anche in sede di merito e non solo di legittimità, non considerando che la ragionevolezza del dubbio era in re ipsa in un fatto giudicato penalmente insussistente da magistrati si presume idonei alla importante funzione ricoperta, ed allorchè vennero introdotte con gran clamore le indagini difensive, privilegio alla evidenza solo di pochi imputati ricchi in grado di remunerare chi le fa, vista anche la atavica diffidenza che, salvo rari casi, il Magistrato destinatario generalmente riserva alle stesse, sul presupposto, non scritto ma aleggiante sui muri di ogni giudiziario palazzo, che la pubblica accusa agisce in difesa della collettività mentre la difesa di chi la paga. Sono assolutamente convinto che alla maggioranza del paese piaccia una Giustizia così e che anzi, se potesse, la vorrebbe ancora meno rispettosa delle garanzie difensive, ma è proprio questa la ragione che mi impone, da avvocato, di segnalarne il pericolo perché se è vero che la Giustizia opera “in nome del popolo italiano”, è altrettanto vero che non dovrebbe affatto inseguire gli umori.

avvocato Davide Steccanella

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Da giudice vi spiego perché la riforma Renzi non è una catastrofe http://www.giustiziami.it/gm/da-giudice-vi-spiego-perche-la-riforma-renzi-non-e-una-catastrofe/ http://www.giustiziami.it/gm/da-giudice-vi-spiego-perche-la-riforma-renzi-non-e-una-catastrofe/#comments Thu, 19 Mar 2015 10:17:58 +0000 dalessandro http://www.giustiziami.it/gm/?p=4176 Le proteste e le mobilitazioni, si è parlato addirittura di uno sciopero, dell’Associazione Nazionale Magistrati e delle sue correnti dopo le leggi sulla riduzione delle ferie e sulla responsabilità civile dei giudici devono essere comprese nel loro reale significato. La posta in gioco non è qualche giorno in più o in meno di ferie estive e non è nemmeno il timore di essere trascinati in un giudizio di risarcimento dai propri ex imputati.

Lo scontro è essenzialmente simbolico, una prova nei rapporti di forza tra poteri. La magistratura, con lo spazio che si è conquistata nella vita del Paese, grazie ai demeriti altrui (del ceto politico – amministrativo in particolare), ai propri meriti e anche a dispetto di suoi torti non marginali, non intende essere declassata da “Potere giudiziario” a semplice “Ordine giudiziario”, come peraltro scritto con qualche ambiguità nell’articolo 104 della Costituzione. Dalla posizione conquistata, in sostanza, non intende rinunciare ad una sorta di “privilegio” non scritto di farsi da sé le norme che regolano la sua attività, tramite il Csm soprattutto, facendole al posto del Parlamento che dovrebbe promulgare solo quelle che la magistratura stessa approva. E tantomeno intende subire un declassamento dal Governo che è seguito ai governi di centrodestra che la magistratura stessa con le sue indagini ha obiettivamente tanto contribuito a far scomparire.

Uno scontro simbolico perché in realtà tutti sanno che le ultime leggi del governo Renzi sono destinate a non cambiare nulla o quasi. Sulla questione delle ferie autorevoli magistrati e lo stesso CSM hanno quasi deriso il Governo perché avrebbe confuso la sospensione estiva delle udienze e dei termini di legge con le ferie dei giudici, riducendo maldestramente da 45 a 30 giorni solo la prima e non le seconde. Ma, comunque sia, la riforma è in concreto ben poca cosa.

E’ noto che i giudici non sono tenuti ad obblighi di presenza, non timbrano – e giustamente – il cartellino, lavorano in modo flessibile e “autogestito”, in pratica di più o di meno quando vogliono e sono tenuti solo ad una accettabile “produttività” media, quantitativa e, si spera, qualitativa, annuale.

I capi delle correnti si sono sollevati immediatamente contro la riduzione perché in realtà, dicono, parte delle ferie sarebbe già consumata da buona parte dei giudici per scrivere le motivazioni delle sentenze e dei provvedimenti rimasti indietro. Ma è un’immagine del tutto ingannevole perché se fosse vera implicherebbe che tutti i giudici e i PM seggano ogni giorno e sino al giorno precedente l’inizio del periodo estivo in udienza, per cominciare infelicemente a scrivere l’indomani quando sarebbero già in vacanza.

Invece non è vero. Tutti coloro che frequentano i Palazzi di Giustizia sanno che in realtà già nella seconda metà di luglio le udienze sono rarefatte e anche la ripresa a settembre è assai lenta. Molti sono gli spazi vuoti anche nei periodi normali. Non fissando qualche udienza in calendario, ci si concede una o due settimane bianche durante l’anno per riposare o magari anche per scrivere. Basterà incrementare un po’ questo meccanismo, da sempre consentito e accessibile a tutti tranne che ad un ristretto numero di uffici e di Procure di punta, in pratica non fissare un altro paio di udienze durante l’anno, per annullare di fatto l’effetto della legge Orlando sulle ferie.

Eppure si minacciano ricorsi al TAR o alla Consulta, ma, lo si ripete, solo perché si tratta di uno scontro simbolico, più o meno come le sfide a duello. Anche la riforma della legge Vassalli del 1988 sulla responsabilità civile dei giudici non è una corsa verso l’abisso, come qualcuno vorrebbe farla passare. Alcune modifiche al vecchio sistema sono ragionevoli, altre non sono un capolavoro.
Il filtro di ammissibilità alle azioni di responsabilità andava eliminato perché non aveva dato in concreto buona prova di sé e si era trasformato in una barriera più che un filtro. La responsabilità dei giudici resta comunque “indiretta” anche se l’obbligo di rivalsa dello Stato che ha sostituito la semplice facoltà evita che la scelta di rivalersi rimanga affidata a motivazioni oscure e non controllabili.

E’ vero invece che la possibilità di avviare l’azione per “travisamento dei fatti o delle prove” inserita nella legge non è stata una scelta prudente perché non solo è una formula vaga ma un’espressione che ricalca buona parte dei contenuti dei normali ricorsi per Cassazione. Con il forte rischio che l’azione di rivalsa si trasformi in un “processo al processo” già concluso, in una specie di quarto grado di giudizio, ripetendo argomentazioni già proposte o scartate, per mera rivalsa contro il giudice o per scardinare una sentenza passata in giudicato.

Ma il travisamento, anche nella modifica di legge, vale comunque solo se inescusabile e alla fine quello che sarà accolto come motivo di responsabilità sarà in sostanza solo il travisamento macroscopico o abnorme perché la decisione sui ricorsi spetta comunque ad altri giudici e non a qualche entità esterna e alla fine è l’interpretazione che fa la legge. In fondo questo è il senso del richiamo sull’applicazione della nuova legge fatto l’8 marzo dal presidente Mattarella durante l’incontro al Quirinale con i nuovi magistrati che stanno per entrare in servizio.

Non una catastrofe quindi. Soprattutto la magistratura dovrebbe evitare di evocare il falso scenario secondo cui qualsiasi indagato importante potrebbe paralizzare il “suo Pubblico Ministero” lanciandogli addosso un’azione di responsabilità. L’azione può essere infatti iniziata di norma dopo la Cassazione, a indagini quindi ampiamente concluse. Neppure è vero, come hanno detto altri capi dell’A.N.M., che il giudice, dovendo per la sua funzione dar ragione all’uno e torto all’altro, avrebbe comunque sempre un potenziale nemico e sarebbe quindi molto più esposto di altre categorie. Basti ricordare infatti i medici che operano stretti tra un nemico assoluto, la morte del paziente, e un potenziale nemico rappresentato dalle persone vicine al malato che, per ragioni umane comprensibili, possono essere assolutamente convinte che il loro congiunto avesse invece diritto a guarire.

Negli ultimi giorni l’attenzione si sta spostando sulla riforma delle intercettazioni. Non è difficile capire che la facoltà di svolgere intercettazioni, dopo un decreto ben motivato del giudice, non può essere compressa perché il mondo di oggi è fatto di comunicazione e non vi è delitto che non lasci dietro di sé una bava di contatti, di telefonate, di SMS, di tracce informatiche. Nello stesso tempo le indagini servono per individuare colpevoli e non per far circolare notizie carpite qua e là. Serve quindi ridisegnare l’udienza-filtro in cui solo le parti, il Pubblico Ministero e i difensori possano, con un obbligo di segretezza, prendere cognizione di tutte le conversazioni, e indicare quelle che ritengono davvero utili per l’accusa e per la difesa, prima di spedire al macero tutto il resto.

Altrimenti le parole di un qualsiasi cretino, se indagato e intercettato, potranno sempre essere utilizzate, anche se false, offensive, imbarazzanti e soprattutto inutili per rendere pubblica sui giornali la vita di un terzo non c’entra niente.

Il problema non è un modifica ragionevole delle norme e delle prassi sulle intercettazioni che sarebbe facilissimo fare anche se ne discutiamo da anni. Il problema sono coloro che, negli opposti campi, sono poco in buonafede. Coloro, e tra di essi molti politici, che lamentano la pubblicità dannosa data ai loro discorsi in libertà al telefono ma in realtà vorrebbero eliminare dalle indagini quasi tutte le intercettazioni, pericolose per le loro attività disoneste. Coloro tra i magistrati, certo non tutti, che abbondano in intercettazioni e trascrivono conversazioni a loro dire necessarie per le indagini ma in realtà sono più che soddisfatti anche solo se le parole in libertà non serviranno a condannare ma comunque finiranno sui giornali dando così lustro alla loro inchiesta.

In entrambi i casi si chiama cattiva coscienza, rinnova una scontro che continua da anni ed è perniciosa, per chi fa politica, per i giudici, per la giustizia e per noi tutti.

(Guido Salvini, gip presso il Tribunale di Cremona)

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