giustiziami » Renzi http://www.giustiziami.it/gm Cronache e non solo dal Tribunale di Milano Tue, 15 Apr 2025 11:11:37 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.4.1 Banche, prezzemolino Cantone…demagogia da 4 soldi http://www.giustiziami.it/gm/banche-prezzemolino-cantone-demagogia-da-4-soldi/ http://www.giustiziami.it/gm/banche-prezzemolino-cantone-demagogia-da-4-soldi/#comments Fri, 18 Dec 2015 11:01:48 +0000 cimini http://www.giustiziami.it/gm/?p=6009

Non si chiama Wolf ma risolve problemi, secondo Matteo Renzi da palazzo Chigi che ormai Raffaele Cantone lo ficca dappertutto. L’ultimo in ordine di tempo compito assegnato all’ex pm anticamorra (minacciato, finì al massimario della Cassazione ma lì si annoiava perchè non c’erano telecamere microfoni e taccuini) è quello di decidere chi dei truffati dalle banche deve essere risarcito. Che cosa c’entri l’attuale responsabile dell’autorità anticorruzione con il caso delle obbligazioni tossiche che le banche avrebbero rifilato ai clienti in cambio dei mutui non è dato sapere.

La stessa fattibilità dell’incarico è a rischio, tanto che si parla di un decreto ad hoc. Siamo è vero da decenni nella repubblica penale per cui si ricorre in continuazione a magistrati ed ex magistrati, siamo nel paese in cui più di vent’anni fa il capo dei signori del quarto piano esternò in caso di bisogno la disponilbilità a governare il paese se fosse stato chiamato dal Quirinale “per una missione di complemento” insieme ai cuoi colleghi.

Allora eravamo all’alba della falsa rivoluzione di Mani pulite, ma adesso l’impressione è quella di aver oltrepassato pure il populismo penale per stare ampiamente nella demagogia da quattro soldi approfittando di indifferenza, rassegnazione, ignoranza e stupidità che in giro fanno sempre più proseliti.

Expo sulla quale Cantone ha “vigilato” è finita. Corruzione debellata? E’ quantomeno azzardato dirlo, se si considera che l’ex magistrato anticamorra è stato complice della moratoria delle indagini sugli appalti decisa dalla procura di Milano in adesione al “sistema paese” per non far saltare l’esposizione. E pure per un altro motivo. A violare il principio e la norma delle gare pubbliche sui fondi Expo destinati alla giustizia erano stati i vertici del palazzo di corso di porta Vittoria. Sull’affaire è sceso un silenzio tombale. Indiscrezioni e boatos riferiscono di accertamenti in corso, di persone che sarebbero state sentite anche di recente. Ma questi approfondimenti spetterebbero alla procura di Brescia perchè l’articolo 11 è molto preciso nei casi in cui siano coinvolti anche solo per mera ipotesi toghe che operano nello stesso distretto giudiziario. Lor signori in toga se ne fregano.

E Renzi che in due occasioni, agosto e novembre, in relazione al “successo” di Expo ha ringraziato Bruti Liberati “per la sensibilità istituzionale” (cosa se non la moratoria?), ci rifila Cantone come colui chiamato a soddisfare la sete di giustizia dei risparmiatori (o investitori?). Dopo averci regalato Peppino Sala (beneficiato dalla moratoria) come candidato sindaco del centrosinistra, non sappiamo se con trattino o senza trattino, ma senza dubbio anche della procura di Milano (frank cimini)

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Expo, Renzi ringrazia Bruti per la moratoria sulle indagini http://www.giustiziami.it/gm/expo-renzi-ringrazia-bruti-per-la-moratoria-sulle-indagini/ http://www.giustiziami.it/gm/expo-renzi-ringrazia-bruti-per-la-moratoria-sulle-indagini/#comments Tue, 04 Aug 2015 08:57:54 +0000 cimini http://www.giustiziami.it/gm/?p=5150 “L’Expo non doveva esserci ma si è fatto grazie a Cantone e Sala, grazie ad un lavoro istituzionale eccezionale, grazie al prefetto e alla procura di Milano che ringrazio per aver gestito la vicenda con sensibilità istituzionale”. Il presidente del consiglio Matteo Renzi manda dal Giappone attraverso i giornalisti al seguito un pubblico ringraziamento al capo della procura di Milano Edmondo Bruti Liberati. Il riferimento è alla moratoria sulle indagini con l’evento in corso di cui avevamo scritto su “Giustiziami” senza essere smentiti. Quindi tanti saluti al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale e il premier ha dimostrato di apprezzare. Del resto non poteva essere diversamente. Il problema non è quanto dice il presidente del consiglio dei ministri ma quello che ha fatto il capo dei pm.

Bruti nel contenzioso interno con Alfredo Robledo aveva tolto al suo aggiunto il coordinamento delle indagini su Expo che poi sono state fermate. Insomma hanno fatto la fine dell’inchiesta sulla gara d’asta per la Sea rimasta per sei mesi “dimenticata” in un cassetto, prima di essere affidata con gravissimo ritardo a Robldo quando chi era indagato aveva ormai saputo di esserlo e quindi non poteva più essere intercettato.

Insabbiare, non indagare al fine di non disturbatore il manovratore è per il premier “sensibilità istituzionale”. Renzi ringrazia Bruti che ha deciso di andare in pensione, evitando in pratica il procedimento disciplinare, il 16 novembre, subito dopo la fine dell’esposizione. Tanto per essere sicuro dell’assenza di “sorprese” per l’evento, acquisito da Milano sconfiggendo le terribili armate di Smirne, con uno schieramento bipartisan dalla Moratti a Prodi, insieme appassionatamente a Parigi.

Questa storia manda a farsi benedire la divisione e il bilanciamento dei poteri, l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale tanto gridata nei convegni e nei comunicati dell’Anm, l’indipendenza e l’autonomia della magistratura. E chi ne esce peggio sono proprio le toghe. I ringraziamenti nipponici sono la ciliegina sulla torta. Una torta avvelenata nel paese in cui i politici scimmiottano i giudici, i giudici scimmiottano i politici e i giornalisti leccano un po’ gli uni e un po’ gli altri a seconda delle convenienze (frank cimini).

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Da giudice vi spiego perché la riforma Renzi non è una catastrofe http://www.giustiziami.it/gm/da-giudice-vi-spiego-perche-la-riforma-renzi-non-e-una-catastrofe/ http://www.giustiziami.it/gm/da-giudice-vi-spiego-perche-la-riforma-renzi-non-e-una-catastrofe/#comments Thu, 19 Mar 2015 10:17:58 +0000 dalessandro http://www.giustiziami.it/gm/?p=4176 Le proteste e le mobilitazioni, si è parlato addirittura di uno sciopero, dell’Associazione Nazionale Magistrati e delle sue correnti dopo le leggi sulla riduzione delle ferie e sulla responsabilità civile dei giudici devono essere comprese nel loro reale significato. La posta in gioco non è qualche giorno in più o in meno di ferie estive e non è nemmeno il timore di essere trascinati in un giudizio di risarcimento dai propri ex imputati.

Lo scontro è essenzialmente simbolico, una prova nei rapporti di forza tra poteri. La magistratura, con lo spazio che si è conquistata nella vita del Paese, grazie ai demeriti altrui (del ceto politico – amministrativo in particolare), ai propri meriti e anche a dispetto di suoi torti non marginali, non intende essere declassata da “Potere giudiziario” a semplice “Ordine giudiziario”, come peraltro scritto con qualche ambiguità nell’articolo 104 della Costituzione. Dalla posizione conquistata, in sostanza, non intende rinunciare ad una sorta di “privilegio” non scritto di farsi da sé le norme che regolano la sua attività, tramite il Csm soprattutto, facendole al posto del Parlamento che dovrebbe promulgare solo quelle che la magistratura stessa approva. E tantomeno intende subire un declassamento dal Governo che è seguito ai governi di centrodestra che la magistratura stessa con le sue indagini ha obiettivamente tanto contribuito a far scomparire.

Uno scontro simbolico perché in realtà tutti sanno che le ultime leggi del governo Renzi sono destinate a non cambiare nulla o quasi. Sulla questione delle ferie autorevoli magistrati e lo stesso CSM hanno quasi deriso il Governo perché avrebbe confuso la sospensione estiva delle udienze e dei termini di legge con le ferie dei giudici, riducendo maldestramente da 45 a 30 giorni solo la prima e non le seconde. Ma, comunque sia, la riforma è in concreto ben poca cosa.

E’ noto che i giudici non sono tenuti ad obblighi di presenza, non timbrano – e giustamente – il cartellino, lavorano in modo flessibile e “autogestito”, in pratica di più o di meno quando vogliono e sono tenuti solo ad una accettabile “produttività” media, quantitativa e, si spera, qualitativa, annuale.

I capi delle correnti si sono sollevati immediatamente contro la riduzione perché in realtà, dicono, parte delle ferie sarebbe già consumata da buona parte dei giudici per scrivere le motivazioni delle sentenze e dei provvedimenti rimasti indietro. Ma è un’immagine del tutto ingannevole perché se fosse vera implicherebbe che tutti i giudici e i PM seggano ogni giorno e sino al giorno precedente l’inizio del periodo estivo in udienza, per cominciare infelicemente a scrivere l’indomani quando sarebbero già in vacanza.

Invece non è vero. Tutti coloro che frequentano i Palazzi di Giustizia sanno che in realtà già nella seconda metà di luglio le udienze sono rarefatte e anche la ripresa a settembre è assai lenta. Molti sono gli spazi vuoti anche nei periodi normali. Non fissando qualche udienza in calendario, ci si concede una o due settimane bianche durante l’anno per riposare o magari anche per scrivere. Basterà incrementare un po’ questo meccanismo, da sempre consentito e accessibile a tutti tranne che ad un ristretto numero di uffici e di Procure di punta, in pratica non fissare un altro paio di udienze durante l’anno, per annullare di fatto l’effetto della legge Orlando sulle ferie.

Eppure si minacciano ricorsi al TAR o alla Consulta, ma, lo si ripete, solo perché si tratta di uno scontro simbolico, più o meno come le sfide a duello. Anche la riforma della legge Vassalli del 1988 sulla responsabilità civile dei giudici non è una corsa verso l’abisso, come qualcuno vorrebbe farla passare. Alcune modifiche al vecchio sistema sono ragionevoli, altre non sono un capolavoro.
Il filtro di ammissibilità alle azioni di responsabilità andava eliminato perché non aveva dato in concreto buona prova di sé e si era trasformato in una barriera più che un filtro. La responsabilità dei giudici resta comunque “indiretta” anche se l’obbligo di rivalsa dello Stato che ha sostituito la semplice facoltà evita che la scelta di rivalersi rimanga affidata a motivazioni oscure e non controllabili.

E’ vero invece che la possibilità di avviare l’azione per “travisamento dei fatti o delle prove” inserita nella legge non è stata una scelta prudente perché non solo è una formula vaga ma un’espressione che ricalca buona parte dei contenuti dei normali ricorsi per Cassazione. Con il forte rischio che l’azione di rivalsa si trasformi in un “processo al processo” già concluso, in una specie di quarto grado di giudizio, ripetendo argomentazioni già proposte o scartate, per mera rivalsa contro il giudice o per scardinare una sentenza passata in giudicato.

Ma il travisamento, anche nella modifica di legge, vale comunque solo se inescusabile e alla fine quello che sarà accolto come motivo di responsabilità sarà in sostanza solo il travisamento macroscopico o abnorme perché la decisione sui ricorsi spetta comunque ad altri giudici e non a qualche entità esterna e alla fine è l’interpretazione che fa la legge. In fondo questo è il senso del richiamo sull’applicazione della nuova legge fatto l’8 marzo dal presidente Mattarella durante l’incontro al Quirinale con i nuovi magistrati che stanno per entrare in servizio.

Non una catastrofe quindi. Soprattutto la magistratura dovrebbe evitare di evocare il falso scenario secondo cui qualsiasi indagato importante potrebbe paralizzare il “suo Pubblico Ministero” lanciandogli addosso un’azione di responsabilità. L’azione può essere infatti iniziata di norma dopo la Cassazione, a indagini quindi ampiamente concluse. Neppure è vero, come hanno detto altri capi dell’A.N.M., che il giudice, dovendo per la sua funzione dar ragione all’uno e torto all’altro, avrebbe comunque sempre un potenziale nemico e sarebbe quindi molto più esposto di altre categorie. Basti ricordare infatti i medici che operano stretti tra un nemico assoluto, la morte del paziente, e un potenziale nemico rappresentato dalle persone vicine al malato che, per ragioni umane comprensibili, possono essere assolutamente convinte che il loro congiunto avesse invece diritto a guarire.

Negli ultimi giorni l’attenzione si sta spostando sulla riforma delle intercettazioni. Non è difficile capire che la facoltà di svolgere intercettazioni, dopo un decreto ben motivato del giudice, non può essere compressa perché il mondo di oggi è fatto di comunicazione e non vi è delitto che non lasci dietro di sé una bava di contatti, di telefonate, di SMS, di tracce informatiche. Nello stesso tempo le indagini servono per individuare colpevoli e non per far circolare notizie carpite qua e là. Serve quindi ridisegnare l’udienza-filtro in cui solo le parti, il Pubblico Ministero e i difensori possano, con un obbligo di segretezza, prendere cognizione di tutte le conversazioni, e indicare quelle che ritengono davvero utili per l’accusa e per la difesa, prima di spedire al macero tutto il resto.

Altrimenti le parole di un qualsiasi cretino, se indagato e intercettato, potranno sempre essere utilizzate, anche se false, offensive, imbarazzanti e soprattutto inutili per rendere pubblica sui giornali la vita di un terzo non c’entra niente.

Il problema non è un modifica ragionevole delle norme e delle prassi sulle intercettazioni che sarebbe facilissimo fare anche se ne discutiamo da anni. Il problema sono coloro che, negli opposti campi, sono poco in buonafede. Coloro, e tra di essi molti politici, che lamentano la pubblicità dannosa data ai loro discorsi in libertà al telefono ma in realtà vorrebbero eliminare dalle indagini quasi tutte le intercettazioni, pericolose per le loro attività disoneste. Coloro tra i magistrati, certo non tutti, che abbondano in intercettazioni e trascrivono conversazioni a loro dire necessarie per le indagini ma in realtà sono più che soddisfatti anche solo se le parole in libertà non serviranno a condannare ma comunque finiranno sui giornali dando così lustro alla loro inchiesta.

In entrambi i casi si chiama cattiva coscienza, rinnova una scontro che continua da anni ed è perniciosa, per chi fa politica, per i giudici, per la giustizia e per noi tutti.

(Guido Salvini, gip presso il Tribunale di Cremona)

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Perché gli scippatori vanno in galera e i corrotti no? Un’idea di riforma da chi esegue le pene http://www.giustiziami.it/gm/perche-gli-scippatori-vanno-in-galera-e-i-corrotti-no-unidea-di-riforma-da-chi-esegue-le-pene/ http://www.giustiziami.it/gm/perche-gli-scippatori-vanno-in-galera-e-i-corrotti-no-unidea-di-riforma-da-chi-esegue-le-pene/#comments Mon, 15 Dec 2014 14:04:35 +0000 dalessandro http://www.giustiziami.it/gm/?p=3685 “Volete sapere perché gli scippatori vanno in galera e i corrotti no? Semplice, basta leggere un articolo di legge e semplicissimo sarebbe cambiarlo”. Così semplice che non si fa, appunto, preferendo arrovellarsi su complicate ipotesi di riforma.

Spiega il il sostituto procuratore generale di Milano Antonio Lamanna, magistrato di grande esperienza che diede parere  favorevole all’affidamento ai servizi sociali di Silvio Berlusconi dopo la condanna Mediaset. “Quando viene pronunciata una sentenza di condanna definitiva a pena detentiva, entrano in gioco l’articolo 656 del codice di procedura penale e l’articolo 4 bis della legge sull’ordinamento penitenziario. Se la pena non supera i tre anni, e ciò accade per la maggior parte dei casi, il pubblico ministero ne sopende l’esecuzione, tranne che per una serie di reati che vengono indicati in queste norme”.

Quello che stupisce sono alcuni dei reati che costituiscono eccezione alla regola generale, per i quali cioé non si può sospendere la pena detentiva e si finisce in carcere senza ‘sconti’: scippo, contrabbando aggravato di sigarette, furto in appartamento. Tra queste fattispecie certamente la corruzione non sfigurerebbe. Invece chi prende mazzette ed è condannato a meno di tre anni (succede spesso per la concessione delle generiche o perché si viene giudicati con riti alternativi), evita il carcere. “Basterebbe aggiungere la corruzione accanto allo scippo, al contrabbando e agli altri reati, tra i quali le violenze sessuali, per essere sicuri che chi commette un reato grave come la corruzione sconti in carcere almeno parte della pena”. Una riforma facile, facile. Non giustizialismo, ma buon senso, per un reato tra i più odiosi perché spesso colpisce la fiducia nelle istituzioni e viene compiuto non da chi nasce in ambienti criminogeni ma da chi ‘sceglie’ di tradire la fiducia dei cittadini. (manuela d’alessandro)

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