giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

“Milano addio, non credo più che sei diversa”, il pm Pellicano se ne va

“La vicenda Bruti/ Robledo mi ha profondamente segnato. Nonostante non fossi più giovanissimo, mi ha strappato dal mio mondo sognante. Avevo sempre coltivato un’ingenua e consolatoria idea di ‘diversità‘ della magistratura, che è stata spazzata via in pochi mesi. Lascio un Ufficio che mi piace meno di quello che avevo incontrato nel 2001; sarà il mio modo invecchiato di avvertire le cose “. Questa lettera è stata scritta e inviata ai suoi colleghi dal pm Roberto Pellicano prima di lasciare la Procura di Milano per quella di Cremona che guiderà. E’ un documento importante perché racconta il punto di vista sugli ultimi anni e su quello che è ora la Procura di un magistrato che abbiamo avuto modo di apprezzare per la sua autonomia di pensiero, oltre che per la rara gentilezza.

“Impossibile non provare un sentimento di profonda gratitudine e riconoscenza verso un Ufficio che mi ha insegnato gran parte di ciò che so, sul piano umano, prima che su quello professionale”, riconosce Pellicano nel rivolgere un saluto “al mio Ufficio, dotato di uno spirito e di una cultura non meno definiti di quelli individuali”. Nel commiato si fa più viva l’amarezza per la vicenda Bruti – Robledo appena temperata dal pensiero che forse è meglio aver perduto l’innocenza “perché idealizzare il fine del proprio lavoro può menomare il giusto approccio professionale”. Pellicano faceva parte del pool guidato da Alfredo Robledo che lamentò pesanti intromissioni per non far svolgere le indagini su Expo. “Continuerò comunque a fare ogni sforzo per respingere l’idea nichilistica, spesso conveniente, secondo la quale una decisione vale l’altra, e non invece che ve ne sia una sola da ricercare, quale giuricamente corretta”, è l’ultima promessa di Pellicano prima di chiudere la porta e possiamo sentire il suo grande sollievo.

(manuela d’alessandro)

La lettera dei genitori di Riccardo e Chiara, “la sofferenza di Pellicanò si unisce alla nostra”

“Vogliamo portare la nostra testimonianza provando a tenere a distanza la rabbia, che pure è compagna inseparabile della nostra vita ferita a morte e, ancor più, ogni voglia torbida di vendetta, alla quale cerchiamo di resistere con tutte le nostre forze, convinti come siamo che la sofferenza del colpevole si aggiunge a quella delle vittime e non può minimamente alleviarla e restituirci i nostri ragazzi”. La lettera viene letta dall’avvocato di parte civile Valeria Attili ma la voce che tutti sentono nell’aula è quella dei genitori di Chiara e Riccardo, morti a 27 anni nell’assurda esplosione provocata da Roberto Pellicanò, il pubblicitario che il 22 luglio 2016 svitò il tubo del gas nella palazzina di via Brioschi a Milano.

Quella voce suona anche nel cuore di Roberto Pellicanò che, seduto tra i suoi avvocati, piange.

Chiara Magnamassa e Riccardo Maglianesi erano la coppia di vicini di casa arrivati dalle Marche. “Quella mattina – scrivono i genitori – non è stato spezzato un sogno o un vago desiderio: sono state spezzate delle vite umane, ormai incamminate in un concreto e preciso percorso di realizzazione personale, professionale e quindi anche sociale”.

Nei mesi scorsi, Pellicanò, a cui è stato riconosciuto il vizio parziale di mente per una forma di depressione, aveva chiesto perdono in una lettera ai familiari dei ragazzi. “Non vogliamo forzare con le nostre parole – prosegue la missiva – quella ricerca doverosa e delicata di un concreto bilanciamento di offesa e riparazione che appartiene alla logica alta della giustizia, cui  ogni iter processuale deve sempre ispirarsi. Desideriamo però condividere chiunque abbia a cuore questa logica alta della giustizia le domande che continuano ad accompagnarci da quella mattina: Perché? Perché i nostri figli hanno dovuto pagare un pezzo così alto atroce e irreparabile per una storia che non è mai stata, nemmeno per un istante, la loro storia? Perché una fine così orrenda, così assurda, che racchiude in sé i caratteri dell’ingiustizia assoluta?”.  Secondo le indagini, Pellicanò avrebbe agito “spinto dalla rabbia per la separazione” da Micaela Masella, la donna con la quale, nonostante la fine della relazione, continuava a vivere assieme alle figlie di 7 e 11 anni. Anche Micaela perse la vita, mentre le bimbe riportarono gravi ustioni sul corpo. Il pm ha chiesto la condanna all’ergastolo per Pellicanò.