giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

“Idea” della Cassazione: Askatasuna uguale lotta armata

La Cassazione interpreta, diciamo così, il pensiero dei militanti del centro sociale torinese Askatasuna e confermando le misure cautelari decise prima dal gip poi dal Riesame in un processo per associazione per delinquere e scontri con le forze dell’ordine dice che alcuni imputati “coltivano propositi di lotta armata”.

Nemmeno i pm erano arrivati a tanto, la Cassazione si. I magistrati dell’accusa avevano parlato di iniziative violente ma mai di azioni o attentati diretti contro singole personalità dello Stato o istituzioni. Si trattava di decidere sul ricorso di due imputati contro la misura dell’obbligo cautelare di presentazione alla polizia giudiziaria.

La tesi della Suprema Corte è che un gruppo ristretto di attivisti stia portando avanti “un piano criminoso” con attacchi ai cantieri dell’alta velocità, lanci di petardi, artifici pirotecnici a mo’ di armi. La Cassazione parla di lotta armata. “Secondo quanto emerso da intercettazioni e dalla di disamina degli atti letti in chiave cronologica detta finalità si identifica nello lotta armata mediante la preordinata provocazione di contrasti con le forze dell’ordine”.

Dice Claudio Novaro uno degli avvocati difensori: “In tutto il processo non si parla di lotta armata, non si capisce come la Cassazione sia potuta arrivare a tale argomento. La Cassazione è giudice di legittimità e non di merito. Io avevo proposto 130 pagine di motivazione criticando le scelta del Tribunale sulle misure cautelari. La Cassazione sul punto non dice niente e se ne viene fuori con una invenzione di sana pianta su un argomento non al centro del processo”.

Il processo che riprenderà a settembre riguarda 26 attivisti alcuni dei quali rispondono di associazione per delinquere. La motivazione della Cassazione sulle misure cautelari, nel caso due e nemmeno relative alla custodia in carcere, alzando il tiro in modo quantomeno spropositato tende chiaramente a influenzare i giudici del processo in corso a condizionarne quella che sarà la decisione finale.

A parlare di terrorismo in relazione alle lotte dei NoTav ricordiamo ci aveva già provato la procura di Torino (teorema Caselli) in relazione al compressore bruciacchiato del cantiere di Chiomonte riportando brucianti sconfitte sia a livello di misure cautelari sia a livello di sentenza di merito soprattutto in Cassazione.
Adesso invece è la Cassazione a voler vedere a tutti i costi propositi di lotta armata senza fare alcun riferimento a pezze di appoggio per una accusa così pesante. Insomma pare siano proprio gli ermellini ad avere nostalgia degli anni ‘70 a cercare di creare un clima che rispetto alla realtà attuale dello scontro sociale sembra assurdo e irreale.
(frank cimini)

Cospito, anarchici a processo per un giornaletto a Massa

Le mobilitazioni in solidarietà con Alfredo Cospito nel corso del lunghissimo sciopero della fame portano alla celebrazione dell’ennesimo processo che inizierà il prossimo 9 gennaio davanti al Tribunale di Massa con rito immediato. I reati contestati dalla procura di Genova sono quelli di istigazione a delinquere è offesa all’onorevole e al prestigio del presidente della Repubblica.
4 imputati sono agli arresti domiciliari in 5 hanno l’obbligo di dimora e uno è libero. L’inchiesta è quella denominata Scripta Scelera e ruota intorno alla rivista Bezmotivny, accusata in un altro troncone di indagine per stampa clandestina nonostante fosse stata in bacheca sulla pubblica via. Il quadro dell’indagine è abbastanza pasticciato con il processo che viene celebrato mentre si è ancora in attesa dell’udienza in Cassazione sulle misure cautelari.
Sotto accusa c’è una storia di solidarietà di internazionalismo di lotta di classe. Il prossimo 9 gennaio davanti al Tribunale ci sarà un presidio contro la censura e un comunicato che indice la mobilitazione afferma che non basteranno le acrobazie tecniche di un magistrato in cerca di autore a far sì che un percorso politico venga giudicato e liquidato alla chetichella.
Nel recente passato la procura di Roma aveva avuto l’idea di procedere con il rito immediato nell’operazione Byalistock senza avere grande fortuna.
Bezmotivny ricorda la storia di altri giornali e riviste dell’area antagonista finiti a processo. Chi ha i capelli e la barba bianca ha memoria della rivista dell’autonomia operaia “Metropoli” finita nei guai ormai quasi mezzo secolo fa per un fumetto sul caso Moro.
Scripta Scelera è una delle tante inchieste aperte sugli anarchici negli ultimi anni dove viene contestata anche l’associazione sovversiva con finalità di terrorismo quasi sempre caduta anche prima di arrivare in aula. Evidentemente la pista anarchica è eterna e ha ripreso vigore come si diceva all’inizio per reprimere la solidarietà a Alfredo Cospito detenuto nel carcere di Sassari Bancali col regime del 41bis che g,i nega anche il diritto di accedere alla biblioteca centrale della prigione.
(frank cimini)

Non c’è bavaglio ma il più pulito ha la rogna

Non c’è bavaglio nel divieto di pubblicazione delle ordinanze cautelari prima del processo pubblico in un paese dove ve gli indagati vengono sputtanati prima del pubblico dibattimento spesso utilizzando fatti e dati irrilevanti dal punto di vista penale. Perché le procure con la complicità di buona parte dei gip che fanno copia e incolla tendono a celebrare i processi sui giornali e nei telegiornali al fine di rafforzare le loro tesi che a volte non trovano riscontro. Ma anche in quei casi il danno è fatto e non c’è assoluzione che tenga.
Con le ordinanze cautelari a disposizione i giornali agiscono in genere senza il minimo spirito critico. I testi delle intercettazioni diventano una sorta di Vangelo. Spesso nel fango finiscono anche persone non indagate. La formula per coinvolgerle è la solita: “spunta Tizio, spunta Caio”. E non c’è difesa della propria immagine e onorabilità.
Nessuno può essere sputtanato prima del processo e questo vale per tutti dai colletti bianchi fino si poveri cristi.
Premesso e detto ciò va valutato il pulpito da cui arriva la predica che ha portato all’approvazione del divieto in questione. L’input viene da un governo dove un sottosegretario ha spiattellato a un deputato del suo partito per giunta coinquilino informazioni riservate sulle condizioni di detenzione di un anarchico ritenuto da politici magistrati e giornalisti il pericolo pubblico numero uno.
Quelle informazioni rubricate come riservate furono utilizzate dal deputato nel regolamento di conti tra i partiti sempre sulla pelle dell’ansrchico torturato in regime di 41 bis.
Il sottosegretario è finito sotto processo ma qui non interessa se sarà assolto o condannato. Emerge che il più pulito ha la rogna e questo vale sia per chi ha approvato il divieto sia per chi grida contro il bavaglio nel nome di una pretesa libertà di stampa che serve per aggredite gli avversari politici e non per informare i cittadini.
(frank cimini)

Cospito, solo libri da biblioteca 41bis da quella centrale no

Alfredo Cospito detenuto in regime di 41bis nel carcere di Sassari Bancali l’unica cosa che può fare per passare il tempo è leggere che tra l’altro resta la sua passione da sempre. Ma può diciamo rifornirsi solo dalla biblioteca destinata ai reclusi del 41bis. Nella giornata di ieri racconta l’avvocato Maria Teresa Pintus che assiste l’anarchico insieme a Flavio Rossi Albertini è stata celebrata un’udienza davanti al Tribunale di Sorveglianza
L’oggetto del contendere era la possibilità di accedere all’elenco dei libri contenuti nella biblioteca centrale del carcere perché in quella del 41bis sono veramente un numero limitato.L’avvocato ha chiesto anche di poter utilizzare i libri contenuti nella biblioteca del comune di Sassari.
Il pm ha chiesto ai giudici di rigettare il reclamo perché non si tratta di un diritto e perché i libri non possono entrare da altre vie. La richiesta ovviamente faceva riferimento alla possibilità di ricevere i libri attraverso gli agenti penitenziari. Ma il magistrato non ha voluto sentire ragioni.
Adesso il Tribunale di Sorveglianza a ha cinque giorni di tempo per decidere ma si tratta di un termine assolutamente non perentorio. Insomma la tortura continua. I libri evidentemente nella logica dei burocrati del carcere sono un pericoloso veicolo di messaggi, soprattutto quelli della biblioteca centrale della prigione per non parlare di quella del Comune di Sassari.
Per il resto Alfredo è in attesa della fissazione dell’udienza sulla revoca del 41bis chiesta dagli avvocati dopo la mancata risposta del ministro Nordio. Se ne occuperà il Tribunale di Sorveglianxa di Roma l’unico in tutta Italia dove si discutono i reclami contro l’applicazione del carcere duro.

Perché è impossibile trovare un’etica nei casi di cronaca (compresa la storia di Giulia)

Che dovessimo studiare semiotica, teorie della comunicazione di massa, analisi dei media per fare i giornalisti ci sembrava in certi lunghi pomeriggi passati in via Sant’Agnese, a Milano, un po’ una perdita di tempo. Volevamo stare in redazione, scendere nell’aula del seminterrato e parlare di pezzi, interviste, foto, realtà. Poi c’era un professore che veniva dal centro San Fedele, padre Luigi Bini, un gesuita svizzero che a volte ci sembrava un marziano con le sue lezioni di etica della comunicazione.

Passati circa venticinque anni mi viene spesso da pensare a quei colleghi della scuola di giornalismo dell’Università Cattolica, se anche a loro, guardando i Tg, leggendo i giornali, scrivendo articoli o commissionando pezzi, capiti di ritrovare qualcosa di già detto e previsto dalle analisi e le dinamiche che studiavamo in quegli anni. A me capita. Quando vedo le notizie da prima pagina, e scelgo la parola vedere apposta, mi prefiguro già la puntata successiva, come una serie di una piattaforma con tutti i passaggi e le variabili. Così prevedibili sono la realtà e l’umana natura? La risposta è no.

Visto il luogo in cui uscirà questa sequenza di frasi, in uno spazio digitale, stilisticamente addomesticato alla brevità e alla perentorietà anche, non posso permettermi troppe divagazioni e andrò subito al punto.

Perché quando vediamo i protagonisti di questi fatti da prima pagina ci aspettiamo invece qualcosa di nuovo, sorprendente e definitivo che porti a una svolta, un insegnamento, un’esemplarità? 

E’ per quella cosa che dice il Censis, cioè il sonnambulismo dell’ipertrofia emotiva? Cioè l’essere sollecitati talmente tanto da un diluvio di emozioni, dolore, rabbia, indignazione, da non sentire più niente e allo stesso tempo rimanere sempre nell’attesa di un risveglio? Che qualcosa finalmente accada e ci spieghi cosa è successo prima o cosa ci siamo persi?

Si. Questo «sì» vale però come effetto, non come causa. Prima c’è un altro meccanismo che agisce, il diventare appena si entra nel setting della notizia, sia come lettore e attore, un altro essere, finzionale, un personaggio della stessa rappresentazione mediatica.

Entri persona reale con il tuo vissuto, il tuo passato, esci mutato e mutante, a seconda dell’inclinazione che riesci a prendere sotto il peso inerziale dell’immaginario mediatico.

Diventi una persona simbolica, una maschera, come il personaggio della relazione sociale pensato  a Chicago da Goffman che faceva partire questo meccanismo molto prima, dalla vita quotidiana stessa. Figuriamoci per chi ascende agli onori o discende nei disonori della cronaca. Se si guarda bene è già un ruolo. Il padre, la madre, il giudice, il medico, la vittima, il soccorritore, il corrotto, il freak, il protagonista, l’aiutante, l’antagonista e la principessa. Uso queste ultime quattro figure per mostrare a cosa sto pensando, a Propp e alla sua morfologia della fiaba. C’è una morfologia della notizia che non sfugge a una simile forma, non c’è niente da fare, è l’inerzia dell’immaginario, una sorta di peso gravitazionale del nostro accadere, un recinto che ci chiude ma che ci protegge anche da realtà non classificabili che possono sempre accadere, evocate come un ignoto temibile dietro l’angolo.

Una volta reificato, il personaggio-maschera può parlare alla massa uniformata del mondo delle correnti social che acchiappano visualizzazioni, A questo punto tutto quello che si intravvedeva di personale e unico si traduce in un linguaggio base, da paniere Istat del parlato italiano. Le parole diventano hashtag perché solo così funzionano, aggregate a flussi tematici. I discorsi ampi e articolati si frantumano in pochi secondi di reel, ripetuti senza dover cliccare la funzione restart, basta poi un gesto di un pollice per passare a un altro flusso.

Entri subito, se non fosse per quella cosa che giudichiamo noiosa dei cookies, nella macchina economica di questo sistema, fino a determinare in una scala dimensionale le pubblicità che valgono di più se porti la pagina a moltiplicare le visualizzazioni, le home page più cliccate, fino ad alimentare le aspettative dell’audience tv e richiamare gli ingaggi delle società di produzione, gli uffici di comunicazione che dettano le scalette.

Tutto questo apparato non si vede, riesce a non disturbare la trasparenza del media. Non fa vedere l’artefatto, sembra tutto vero e autorevole come quella frase che si diceva nel periodo dell’Archeotv «l’ha detto la televisione» o ai tempi della radio, l’antenata di tutto questo sistema come ci spiegava il professore Giorgio Simonelli con il suo piglio gentile ad equilibrare qualche conclusione apocalittica.

E al famoso lettore, cioè a chi digita, legge, guarda, allettato da una grande notizia, dove la realtà da mostrare sembrava tanta e vivida con tante cose da svelare, con protagonisti ricchi di valori e/ o disvalori, dove si assicura una mobilitazione di pensieri tali da richiamare la spiegazione importante del pensatore onnisciente che deve però parlare poco, giusto per abbozzare un senso,  al famoso lettore, dicevamo, ora non sembra abbastanza.

Manca l’insegnamento, un’etica definitiva, un ecco adesso ci siamo, ricordiamocelo, fissiamolo per sempre come un mai più del nostro comportamento. Mai più tragedie, mai più guerre, mai più incidenti, mai più. Seguono la delusione e poi l’accusa. La storia non regge la missione iniziale, c’è qualcosa della materia bruta che non riesce ad entrare nel making of e annulla le aspettative. C’è disorientamento, come l’effetto di un neon sparato negli occhi, che cancella le sfumature, i rilievi, le profondità. Sempre nella nostra scuola della Cattolica, Alberto Negri, professore di Semiotica del testo audiovisivo, parlava proprio di neon-tv per descrivere l’abbaglio che sembra mostrare le cose in modo più vivido ma in realtà le cancella per sovraesposizione.

E che facciamo?  Qualcuno comincia a ribellarsi e a parlare dell’assenza di un contesto comune di valori che ci possa tutelare da questi abbagli e dalle false speranze, «ai miei tempi», «eccetera eccetera», fino a pensare che è meglio starsene rintanati nelle nostre piccole comunità, aver voglia di spegnere tutto come soluzione (tentazione a cui in realtà io cedo volentieri, ndr). Anche questo un già visto e previsto. Uscire da questa che i massmediologi chiamano infosfera non è però possibile. Cercare di prenderne le distanze si, almeno per vedere come funziona (riprendere in mano gli appunti di Padre Bini, nel mio caso) o provare a vederci da fuori, come faceva Lorenz con le oche.

Un’etologia prima dell’etica, e sarebbe già tanto.

Giusi Di Lauro