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Che rapporto hanno i pubblici ministeri con i loro inquisiti? Dopo decenni spesi a fare i conti con le colpe vere o presunte dei loro ‘clienti’, l’abitudine al sospetto li porta a convincersi che in fondo – come ebbe a dire un famoso magistrato – “non ci sono innocenti”?
Il tema è tanto complesso quanto inesplorato. E spinge a qualche riflessione soprattutto nel caso di un pubblico ministero che ha appena lasciato la Procura di Milano, anche se in questi giorni lo si vede ancora andare e venire per finire di impacchettare le sue cose. Si chiama Pietro Forno, Piero per gli amici; è stato per anni procuratore aggiunto; ma la sua importanza nella magistratura – milanese e non solo – è indubbiamente legata all’esperienza pluridecennale su un fronte che avrebbe logorato qualunque altro magistrato: i reati sessuali. E che riporta alla domanda iniziale: rapportarsi col male è inevitabile per qualunque pm, ma quale visione del mondo matura un pm che si confronta quotidianamente con gli abissi della psiche umana, anche nelle sue forme più perverse? Un conto è avere a che fare con i rapinatori di banche, un altro è occuparsi di padri che violentano le figlie.
Forno ha fatto anche altro, in carriera: pochi ricordano, per esempio, che fu lui – allora impegnato sul fronte dell’eversione – a vedersi affidare dai colleghi Gherardo Colombo e Giuliano Turone gli elenchi degli iscritti alla loggia massonica P2, che i due volevano mettere al sicuro prima che venissero fatti sparire. Poi però, quasi per caso, Forno iniziò ad occuparsi di alcuni casi di violenza sessuale. E presto si rese conto di come questi crimini terribili fossero affidati a inquirenti e investigatori impreparati, e della necessità di creare una specializzazione, di formare magistrati e poliziotti in grado di muoversi su un terreno reso delicatissimo dal reato stesso: un reato che nella stragrande maggioranza dei casi ha la vittima come unico testimone. Nacque così, voluta da Forno e dall’allora questore Umberto Lucchese, la sezione speciale della Squadra Mobile, che ebbe per primo capo Stefania De Bellis.
Da allora sono passati più di venticinque anni, Forno nel frattempo è andato a Torino – la sua città – a fare il procuratore aggiunto, anche lì esportando la specializzazione nei reati sessuali. Il numero di stupratori che ha arrestato in carriera è incalcolabile. Ha ricevuto riconoscimenti ma anche critiche pesanti: non solo da una parte dell’avvocatura, che gli rimproverava un ‘pregiudizio colpevolista’, ma in qualche caso anche da parte dei suoi colleghi. E’ rimasto negli annali il suo scontro con il pm Tiziana Siciliano, che nel 2000 ereditò l’indagine di Forno su un tassista accusato di avere violentato la propria figlia di tre anni: per Forno l’uomo era un mostro, la Siciliano in aula invece chiese e ottenne l’assoluzione del tassista ‘per non avere commesso il fatto’. Ne nacquero polemiche indiavolate.
Le statistiche dicono che le assoluzioni nei processi scaturiti dalle inchieste di Forno sono assai basse, pari o inferiori alla media di altri settori. Certo, venire accusato ingiustamente di essere uno stupratore seriale non è come subire una accusa infondata di falso in bilancio, e chi viene assolto esce comunque con la vita distrutta (specie se è passato per il carcere, dove i reati sessuali sono gli unici per cui gli altri detenuti non applicano la presunzione di innocenza).Ma sarebbe ingiusto non dare atto a Forno di essersi dedicato ad un lavoro difficile con serietà e con buoni risultati, e di non essersi mai intimidito davanti ai poteri forti: quello della Chiesa, innanzitutto, le cui coperture alle devianze dei sacerdoti pedofilii ha sempre denunciato con forza; ma anche di istituzioni benemerite come il Premio Grinzane, di cui quando era a Torino rivelò il lato inconfessabile.
Non sarà una eredità facile da raccogliere, quella di Forno: assegnata provvisoriamente dal procuratore Francesco Greco al pm Cristiana Roveda, incaricata di guidare il ‘terzo dipartimento’ in attesa dell’arrivo di un nuovo procuratore aggiunto. Ma oltre alla esperienza inquisitoria, non sarà facile sostituirne neanche la mancanza di arroganza, i toni pacati anche in casi esplosivi come l’affare Ruby. E la assenza di sussiego con cui resse, in quanto anziano dell’ufficio, la Procura della Repubblica nell’interregno seguito alle dimissioni di Bruti Liberati. (orsola golgi)
boboviz ha scritto:
Un bell’articoletto molto edulcorato su un giudice molto discutibile. Paura o semplice servilismo?
dalessandro ha scritto:
Servilismo su un magistrato andato in pensione fa ridere. E’un’opinione, come tale discutibile.
Marianna 1979 ha scritto:
A me quest’uomo ha salvato la vita quasi 20 anni fa.
Un grazie ovunque sia, di cuore.