giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Del Mastro a giudizio, conti regolati dentro il potere

Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Del Mastro è stato rinviato a giudizio per violazione del segreto d’ufficio in relazione a quanto aveva spifferato al collega di partito Giovanni Donzelli sulla detenzione dell’anarchico Alfredo Cospito. Al di là dell’esito processuale che vedrà in aula Del Mastro il prossimo 12 marzo va ricordato che questa è una storia di un regolamento di conti all’interno del potere sulla pelle di un anarchico detenuto e torturato con l’applicazione dell’articolo 41bis.
Il discorso riguarda anche le polemiche sul rinvio a giudizio con la discussione sulle eventuali dimissioni di Del Mastro. Alfredo Cospito con la sua battaglia contro il 41bis combattuta anche con un lunghissimo sciopero della fame durato sei mesi non c’entra assolutamente niente con le beghe di lor signori.
La procura di Roma aveva ribadito la richiesta di prosciogliere del Mastro per mancanza dell’evento sogttivo del reato. Il gup ha deciso diversamente sposando in pratica la stessa linea del gip che aveva imposto l’imputazione coatta.
Intanto il difensore di Cospito l’avvocato Flavio Rossi Albertini ha depositato il ricorso per Cassazione contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Roma che aveva confermato il 41bis. Secondo il legale la sentenza del Tribunale non era motivata soprattutto perché i giudici non si erano confrontati con il parere della direzione nazionale antimafia e antiterrorismo che aveva chiesto di far uscire Cospito dal 41bis,disponendo la detenzione in regime di alta sorveglianza, appena un gradino inferiore.
Per la Dna la pericolosità di Cospito era regredita e non sussistevano più le ragioni del carcere più duro. Il Tribunale invece decideva diversamente arrivando addirittura ad affermare che con lo sciopero della fame l’anarchico aveva accresciuto il suo carisma diventando ancora più pericoloso. Perché evidentemente la lista anarchica è eterna.
((frank cimini)

Anarchica rischia prendere 11 anni in Ungheria per lesioni

Una militante anarchica milanese rischia di prendere 11 anni di reclusione, questo il patteggiamento prospettato dalla procura, in relazione a lesioni provocate a esponenti di estrema destra nel corso di una contromanifestazione organizzata a Budapest. Ilaria Salis è detenuta dal febbraio scorso e solo in agosto ha potuto incontrare i genitori.
Le lesioni provocate agli avversari politici erano guarite in sette giorni senza che vi fosse denuncia dalle parti offese dal reato. Per gli stessi fatti l’Ungheria ha chiesto la consegna tramite mandato di cattura europeo di un altro anarchico Gabriele Marchesi che ha appena ottenuto gli arresti domiciliari dalla corte di Appello di Milano su parere conforme della procura generale dopo un periodo trascorso nel carcere di San Vittore.
Marchesi non ha prestato il consenso al trasferimento in Ungheria. La difesa rappresentata dagli avvocati Eugenio Losco e Mauro Traini, eccepisce l’insufficiente descrizione dei fatti in relazione ai quali è stato chiesto il consenso. La ricostruzione dell’accusa sarebbe priva della indicazione della condotta personale dell’indagato.
Stando galle accuse delle autorità ungheresi solo per caso le vittime delle aggressione non sarebbero state in pericolo di vita. Gli aggrediti avrebbero riportato lividi sulle teste e sulle gambe. L’aggressione sarebbe avvenuta usando un’asta telescopica, un martello di gomma e spruzzando gas lacrimogeni. Il processo a Budapest inizierà l’anno prossimo. Il 5 dicembre a Milano i giudici decideranno sulla consegna all’Ungheria di Gabriele Marchesi. Considerando l’assenza di querela di parte in Italia il fatto non sarebbe neppure perseguibile. Per cui la corte d’Appello dovrebbe negare il trasferimento di Marchesi a Budapest. E la concessione dei domiciliari già avvenuta va in questa direzione ma il condizionale è d’obbligo.
(frank cimini)

Sette morti da spiegare – indagati vigili, carabinieri e metronotte

Rachid, Soufiane, Haxhi, Simone, Giovanni, Taissir, Marinela.  Sono sette (sempre che non ci siano stati altri casi, non resi noti) le persone morte quest’anno durante operazioni di servizio (canoniche e non) di forze di polizia pubbliche e private (escludendo omicidi volontari in contesti familiari o di coppia e tragedie in carcere.) Cinque decessi sono o sembrano legati a interventi dei carabinieri (con il supporto della polizia municipale in una vicenda), uno rimanda all’azione dei vigili urbani, uno a guardie giurate.

Marinela Murati, Vigevano

L’ultima vittima si chiamava Marinela Murati, aveva 39 anni, una vita complicata e problematiche psichiatriche La mattina del 3 novembre la donna entra nella chiesa della Madonna Pellegrina di Vigevano (la stessa cittadina pavese dove il 20 luglio 2021 il l’assessore leghista Massimo Adriatici ha ucciso Youns El Boussetaoui, mandato a processo “solo” per eccesso colposo di legittima difesa). Urla, invoca Allah, si inginocchia sul tappeto destinato a un feretro, disturba i fedeli radunati in attesa del funerale. Il parroco non riesce a calmarla e chiama il 112. Accorrono due agenti della polizia municipale. Marinela, diranno, prova a prendere e rovesciare una statua mariana. I vigili la placcano, la ammanettano e la immobilizzano, atterrata a pancia in giù. Un agente, scrive la Stampa, le blocca la testa, asseritamente per impedirle di picchiarla contro il pavimento. L’altro le tiene ferme le gambe. Marinela si sente male, perde conoscenza e muore. I vigili vengono indagati per omicidio colposo, a loro tutela, anche, in attesa dei risultati dell’autopsia. Nel frattempo restano in servizio.

Rachid Nachat, Castelveccana

Il primo nome dell’elenco è quello di Rachid Nachat, 33 anni, spirato il 10 febbraio in fondo a un canalone nel bosco dello spaccio di Castelveccana (Varese).  E stato ucciso, è da capire se per legittima difesa o deliberatamente, da un sottufficiale dei carabinieri in giro con un fucile fuori ordinanza e con due colleghi in borghese, travestiti da cacciatori, a detta loro impegnati in un controllo antidroga. Lo sparatore è il maresciallo capo Mauro Salvadori, comandante del nucleo Radiomobile di Luino, sospeso dal servizio e indagato per ora per omicidio volontario, ipotesi di reato che potrebbe essere modificata o decadere. Sostiene che lo straniero lo teneva sotto tiro con una pistola. Lui prima esplode due colpi con l’arma di servizio, puntando a terra, Poi la Beretta si inceppa e allora usa il fucile a pompa personale che ha con sé, un calibro 12 non di ordinanza, caricato a palle di gomma.  Non si sarebbe accorto di aver colpito l’immigrato e alla schiena. Pensa che sia scappato via. Lo cerca senza trovarlo e rientra in caserma, come se nulla fosse successo. La storiaccia viene fuori a posteriori, dopo la telefonata anonima che segnala un corpo nel bosco e la ricostruzione della perlustrazione tra gli alberi, una “caccia all’uomo”, secondo Marco Romagnoli, uno dei legali del fratello della vittima.

Soufiane Boubagura, Fara Vicentino

Il 24 aprile 2023 a Fara Vicentino (Vicenza) perde la vita Soufiane Boubagura, 28 anni. Cammina scalzo per strada, grida frasi senza senso, inneggia ad Allah, si appende a un camion. Qualcuno avvisa i carabinieri, arriva una gazzella con due militari. Il capo pattuglia usa il taser per provare a neutralizzare lo straniero. Ma la pistola elettrica, dirà poi il comandante della polizia locale, Giovanni Serpellini, “non ha funzionato”.  C’è una colluttazione. L’immigrato riesce a sfilare la pistola d’ordinanza all’altro carabiniere e spara, centrando uno dei due vigli urbani spuntati nel frattempo. Spara anche il capo pattuglia dell’Arma, uccidendo l’uomo prima che possa esplodere altri colpi. La procura indaga il militare (il vicebrigadiere Stefano Marzari) e l’istruttore della polizia locale ferito (Alex Frusti), finito in ospedale in condizioni critiche. Si ipotizza l’eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi. La morte estingue i reati addebitabili all’immigrato.

Haxhi Collaku, Padova

Il 14 luglio 2023, a Padova, quattro proiettili sparati da un carabiniere fulminano Haxhi Collaku, ex professore di matematica, stalker della moglie, con un ammonimento del questore. Quel pomeriggio va sotto casa della compagna assediata, la bordo di un furgone. La figlia si preoccupa e attiva i carabinieri. L’uomo scende dal veicolo, si lascia controllare e indentificare. Poi sale, accende il motore e preme sull’acceleratore per lanciare il veicolo contro la pattuglia. Smonta dal furgone, con un coltello in pugno, e si avvicina al militare che ha travolto, con gravi lesioni a una gamba. Il collega gli spara e lo ferisce, lasciandogli pochi minuti di vita. Il comandante dei carabinieri di Padova, Gaetano La Rocca, dichiarerà: «Secondo i primi accertamenti, le procedure adottate dai nostri militari sono state impeccabili e completamente aderenti ai documenti d’azione». Il carabiniere che ha utilizzato la pistola, Vittorio Stabile, è indagato dalla procura per eccesso colposo di legittima difesa.

Simone Di Gregorio, San Giovanni Teatino

A San Giovani Teatino (Chieti), domenica 13 agosto 2023, c’è un uomo che corre nei pressi della ferrovia, nudo, agitato. Si chiama Simone Di Gregorio, ha 35 anni. Anche qui arriva una pattuglia di carabinieri. Per fermarlo i militari usano il taser, a distanza. Uno dei due dardi sembra non vada a bersaglio o l’uomo comunque non si placa. Viene visto prendere a testate una macchina in sosta. Poi è fermato e caricato su una ambulanza. Gli è somministrato un calmante, non è dato sapere da un medico o un barelliere. All’ospedale di Chieti ci entra morto. I rappresentanti delle associazioni Uniarma e Fsp, prima ancora del deposito dei risultati dell’autopsia, sulla base delle prime indiscrezioni escludono che il decesso sia legato all’utilizzo del taser, corretto o improprio che sia stato. Dovrebbe esserci una inchiesta per omicidio colposo. Non è dato sapere se la pistola elettrica sia stata sequestrata e periziata.

Giovanni Sala, Milano

Due vigilantes dell’Italpol, Enrico Scatigno e Dario Vincenzo Carbonaro, sono indagati per la morte di Giovanni “Gianni” Sala di 34 anni e sarebbero state sospesi dal servizio. L’ipotesi di reato è omicidio colposo. Succede tutto nella notte tra il 19 e il 20 agosto. Le telecamere di sorveglianza riprendono la scena, un crudo video rilanciato da Repubblica. Pantaloncini neri, petto nudo, scarpe da ginnastica, l’uomo fa avanti e indietro davanti alla sede Sky di Milano. Sembra alterato. Prova più volte a entrare ed è cacciato via. Torna. Viene atterrato due volte, picchia la testa contro il marciapiede. Un vigilante gli mette un ginocchio sulla schiena, gli si siede sopra e lo immobilizza. Passano sette minuti, il “fermato” smette di respirare. Il collega prova fargli un massaggio cardiaco, ma non serve a niente. E solo a questo punto, troppo tardi, vengono chiamati i soccorritori del 118,- L’autopsia documenta che Giovanni Sala è morto per arresto cardiocircolatorio e non riscontra fatture evidenti o lesioni a livello toracico. “Ciò non vuol dire – rimarca l’avvocato dei familiari, Giuseppe Geraci – che Gianni non sia morto per problemi di soffocamento. Sono state trovate raccolte di sangue, ematomi, sia sotto il collo sia sul viso, alla guancia destra. Questo è indice di una attività pressoria o contusiva”.

 Taissir Sakka, Modena

La penultima vittima, sempre in circostanze tutte da chiarire, è il trentenne tunisino Taissir Sakka. Lui e il fratello Mohamed Alì, sabato 14 ottobre 2023, bevono, disturbano, infastidiscono i clienti del al circolo Arci di Ravarino, in provincia di Modena. I gestori chiamano i carabinieri. I due vengono portati in caserma, schedati, indagati per ubriachezza molesta e rilasciati, poco prima di mezzanotte. Sembrano tranquilli, ripresi dalle telecamere di sorveglianza.  Si separano. Domenica mattina Sakka è trovato senza vita nel parcheggio del dopolavoro ferroviario e del cinema Filmustudio 76 de capoluogo emiliano, il volto tumefatto, una botta alla nuca. Poche ore dopo il fratello va in questura e denuncia che entrambi sono stati picchiati. La procura comunica di aver iscritto nel registro delle notizie di reato sei carabinieri, uno per minacce, lesioni e “morte come conseguenza di altro delitto” (senza precisare quale) e cinque “solo” per lesioni. L’autopsia non evidenzia traumi correlabili al decesso. Pe avere certezze bisognerà aspettare i risultati degli esami in corso, analisi tossicologiche e isto-patologiche. Per gli indagati per questa morte, e per tutte le altre, vale la presunzione di non colpevolezza.

Lorenza Pleuteri, giornalista indipendente e collaboratrice di Osservatoriodiritti.it.

 

 

 

 

Si a Cd musicale per Cospito ma Dap ricorre. È il 41bis

Non basta che un giudice di sorveglianza decida che Alfredo Cospito ha diritto ad avere un Cd per ascoltare musica. Il Dipartimento della amministrazione penitenziaria ha presentato ricorso e sarà adesso un collegio a fare la scelta. Insomma il 41bis con le sue durezze anche quelle più assurde non demorde. Nel ricorso si fa l’esempio dei cantanti neo melodici che esaltano la criminalità organizzata. Inoltre il personale penitenziario sarebbe gravato dai controlli da esercitare sui contenuti della musica.
I canali Tv e radio dovrebbero essere sufficienti secondo il Dap a soddisfare le esigenze dei detenuti che intendono ascoltare musica.
Insomma siamo al l’accanimento terapeutico esemplificato anche dalla circostanza che gli erano state bloccate un paio di magliette ricevute in regalo perché avrebbero contenuto il disegno di teschi.
Per ascoltare musica è presumibile che L’anarchico debba aspettare alcuni mesi perché sono questi i tempi del tribunale di sorveglianza per fissare l’udienza sull’impugnazione fatta dal Dap.
Secondo il giudice Eugenie Giovannelli va rispettato il diritto di ascoltare musica come attività culturale e ricreativa.
Ma il Dap è lì per cercare il pelo nell’uovo con una dedizione degna di miglior causa. Ovviamente qui siamo ben oltre lo spirito e la lettera dell’articolo 41bis il cui obiettivo è quello di evitare contatti con le organizzazioni criminali di appartenenza. In realtà il carcere duro in queste modalità serve ad annientare l’identità culturale e politica delle persone come del resto succedeva negli anni 70 e 80 con l’articolo 90. La musica per stare in tema purtroppo è sempre la stessa. (frank cimini)

La vera storia del sequestro di 779 milioni a Airbnb

La storia si ripete ancora una volta. La magistratura si occupa di quello di cui non si dovrebbe occupare oltre a occuparsi male e in mala fede di ciò che per dovere le spetta. Parliamo della guardia di finanza che per disposizione del gip attivato dalla procura di Milano sequestra 779 milioni di euro a Airbnb. Ormai da anni scrive il giudice ha assunto la deliberata opzione aziendale di non conformarsi al versamento della cedolare secca per non rischiare fette di mercato in favore della concorrenza. “Da qui il pericolo di aggravare le conseguenze del reato contestato – aggiunge il gip – sia per il mancato incasso del debito erariale da parte della pubblica amministrazione sia per il danno agli altri operatori”.

Qui non si tratta di difendere l’operato di una multinazionale. E’ il modo di contrastare che suscita perplessità perché considerando la storia di queste indagini per evasione fiscale la procura si sostituisce all’Agenzia delle entrate vantando il nobile fine di recuperare soldi per l’erario che in realtà non dovrebbe rientrare tra le sue attività istituzionali. I pm hanno il compito di portare persone fisiche e giuridiche davanti ai giudici. Punto. Il resto spetterebbe ad altri e il condizionale è d’obbligo visto come vanno poi le cose.

Sempre a Milano ai suoi tempi, pochissimo temo fa, praticamente ieri, il procuratore aggiunto Francesco Greco, ex sovversivo, fece la sua campagna elettorale per diventare capo dell’ufficio, con una serie di indagini sui cosiddetti colossi del web, dove non si arrivò mai alla celebrazione di processi. Servirono queste pratiche ad acquisire con il concorso determinante dei giornali ulteriore peso mediatico in modo da influenzare il Consiglio Superiore della Magistratura chiamato a decidere sulla nomina.

La multinazionale di turno, come presumibilmente succederà anche per Airbnb, patteggiava con l’Agenzia delle Entrate dietro la quale si muoveva la procura versando una somma che si sarebbe rivelata non più del cinque per cento di quanto avrebbe pagato se si fosse arrivati a un regolare processo in caso di condanna.

Tutti felici e contenti si fa per dire. In realtà la multinazionale risparmia una montagna di soldi proprio mentre la magistratura derogando dal suo ruolo si vanta di agire a favore della cittadinanza. Non è una bella storia. Ma niente di nuovo sotto il sole in un paese in cui i magistrati fanno politica aumentando il potere della lo casta, i politici fanno i giudici o illudendosi di farlo. Questa di Airbnb appare come l’ennesima favola che con il contributo dei media incapaci di spirito critico viene rifilata ai lettori e ai cittadini, in verità oppressi e ossessionati da più parti da chi millanta di fare i loro interessi.

La sensazione è proprio che non se ne esca. Senza speranze in un paese in cui l’evasione fiscale resta altissima per responsabilità principale della politica ovviamente ma come si vede altre categorie altre autorità sembrano fare di tutto per dare il loro rilevante contributo.
(Frank cimini)