giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Tenta di impiccarsi in Tribunale, salvato da un agente

 

C’è uno stanzone con le sbarre nel cortile del tribunale. Per chi conosce il palazzo, ci si arriva entrando dalla carraia di via Freguglia e seguendo il pavé in leggera discesa, poi infilandosi nel tunnel che porta al cortile della fontana. Sulla destra, c’è quella stanza in cui i detenuti in attesa del processo per direttissima vengono sistemati. Aspettano li, finché arriva il loro turno.

Ieri un detenuto di origine araba, in quella cella, è riuscito a fare un cappio con una fascia, a fissarlo in alto, a infilare il collo nel nodo scorsoio e a stringere. Era in attesa della propria udienza di convalida dell’arresto, per un furto. Si è salvato perché un agente della polizia di Stato è intervenuto in tempo, tagliando quella fascia con cui il detenuto si era impiccato. Il suo processo è stato rinviato, lui è stato portato di corsa in pronto soccorso, in ambulanza. L’udienza di convalida dovrebbe tenersi questa mattina.

Avvocati arrestati in Turchia, quando succedeva anche in Italia e perché

La vibrata e giusta protesta delle toghe nostrane a Milano contro l’arresto di  alcuni legali in Turchia non deve farci dimenticare che negli anni della cosiddetta “emergenza terroristica” anche in Italia furono incarcerati parecchi avvocati.

Il primo fu il “caso Senese”, quando il 2 maggio 1977 venne arrestato a Napoli l’avvocato Saverio Senese difensore di alcuni militanti dei Nuclei Armati Proletari, con l’accusa di “partecipazione a banda armata”. Passano pochi giorni e il 12 maggio sempre del 1977 l’autorità giudiziaria di Milano arresta Sergio Spazzali e Giovanni Cappelli, legali di “Soccorso rosso”, l’organizzazione fondata alcuni anni prima tra gli altri da Dario Fo e Franca Rame per la difesa dei tanti militanti di sinistra, e che verranno scarcerati il 28 agosto 1977. Sergio Spazzali era già stato arrestato due anni prima, il 21 novembre del 1975, per una esportazione di armi con alcuni anarchici svizzeri e in carcere a San Vittore aveva subito, unitamente ad altri tre detenuti “politici”, una violenta aggressione, prima di essere scarcerato il 15 aprile 1976. Sempre Sergio Spazzali il 19 aprile 1980 verrà arrestato per la terza volta sulla base delle dichiarazioni del pentito Patrizio Peci e trascorrerà altri 14 mesi di prigione prima di essere assolto in primo grado il 17 giugno del 1981, assoluzione riformata dalla Corte d’Appello che in accoglimento dell’impugnazione della Procura, il 20 marzo 1982 lo condanna a 4 anni. Sergio Spazzali a quel punto ripara all’estero e morirà a Miramas il 22 gennaio 1994, mentre “Nanni” Cappelli smetterà per sempre di fare l’avvocato e dopo avere vissuto con la comunità Saman di Osho aprirà un ristorante alle Hawai con un diverso nome.

Ma quel 19 aprile del 1980, e sempre a seguito delle dichiarazioni di Peci, i carabinieri di Genova si recano a casa dell’Avvocato Edoardo Arnaldi per arrestarlo e Arnaldi, che ha 55 anni e soffre di gravi problemi di salute, si toglie la vita sparandosi un colpo di rivoltella nel bagno mentre nella stanza a fianco si trovava sua moglie. Meno di un mese dopo, il 2 maggio 1980, viene arrestato l’avvocato milanese Gabriele Fuga che il pentito Enrico Paghera indica come appartenente all’Organizzazione anarchica Azione Rivoluzionaria e che sconterà 15 mesi di prigione preventiva prima di essere assolto al processo di Livorno. A difendere Fuga c’è l’avvocato Luigi Zezza che a sua volta il 16 gennaio 1981 viene colpito da mandato di cattura con l’accusa di partecipazione a banda armata ma riesce a riparare all’estero e il 22 ottobre del 1984 verrà assolto. L’Avvocato Fuga verrà nuovamente arrestato il 13 luglio del 1982 con l’accusa di partecipazione a Prima Linea e ancora una volta, dopo una condanna in primo grado, verrà assolto in appello.

Le manette contro gli avvocati dei militanti di sinistra non si fermano e dopo che il 20 maggio del 1980 era stato arrestato l’Avvocato Rocco Ventre, il 13 febbraio del 1981 a Roma il Sostituto Luciano Infelisi arresta in un colpo suolo ben due legali di “Soccorso Rosso”: Eduardo Di Giovanni e Giovanna Lombardi. L’accusa è quella di “apologia di reato” e di “istigazione a violare le leggi dello Stato” per aver concorso nella pubblicazione sulla rivista “Corrispondenza Internazionale” diretta da Carmine Fiorillo del documento brigatista “L’ape e il comunista”, curato dal Collettivo dei prigionieri politici. Il 5 marzo saranno tutti assolti e scarcerati. Infine nel 1983, quando scoppia il “caso Pittella”, il giudice romano Rosario Priore emette un mandato di cattura contro l’avvocato calabrese di “Soccorso Rosso” Tommaso Sorrentino che si rifugia all’estero e si costituirà il 20 luglio del 1987 dopo 4 anni di latitanza.

avvocato Davide Steccanella

No dal Tribunale per i 100mila euro in 6 mesi al nuovo direttore scelto da Fiera Milano

Non piace al Tribunale il candidato scelto da Fiera Milano spa per la successione di Enrico Mantica alla guida di Nolostand, la  società commissariata nell’ambito dell’inchiesta su presunte infiltrazioni mafiose anche negli appalti legati a Expo.  A quanto apprende Giustiziami, il nome designato per la carica di direttore tecnico sarebbe quello di Bruno Boffo, già vicedirettore generale dell’ente tra il 1998 e il 2009.  Un manager di assodata esperienza e conoscenza degli ingranaggi del gigante fieristico che tuttavia presenterebbe due pecche agli occhi dell’amministratore giudiziario Piero Capitani. Anzitutto non rappresenterebbe una sufficiente “discontinuità” rispetto al passato,  in quanto ex  figura preminente di Fiera Milano. Una cesura ritenuta necessaria dal Tribunale che già aveva ottenuto  le dimissioni dell’intero cda di Nolostand. Mantica non era indagato ma è stato rimosso per contatti con imprenditori ritenuti vicini a Cosa Nostra.E poi, fatto non secondario, avrebbe suscitato perplessità la decisione presa dal Comitato per la Remunerazione di Fiera Milano, di cui fa parte anche l’esponente del Pdl Licia Ronzulli (oltre ad Attilio Fontana e Romeo Robiglio) di determinare un compenso di 100mila euro lordi per sei mesi da versare a Boffo. Una somma ritenuta spropositata che in Fiera forse ritengono necessaria per indurre il manager a dedicarsi anima e cuore a un’impresa difficile: rimettere in pista una società squassata dall’indagine milanese in vista di appuntamenti decisivi  in programma già a settembre. (manuela d’alessandro)

le-gravi-dimenticanze-di-fiera-ed-expo-sui-controlli-per-mafia

 

 

“Dimagrisce perché non vuole la dentiera”, detenuto in coma dopo no a scarcerazione

E’ una storia delicata che si presta perlomeno a una riflessione quella di G.C., detenuto nel carcere di Vigevano, ora in coma farmacologico per le conseguenze di un cancro al polmone dopo che un anno fa i giudici gli avevano negato la scarcerazione o  un approfondimento del suo stato di salute.

Nell’ordinanza con cui respingevano una richiesta di perizia presentata dal suo legale, Andrea Dondé, anche sulla base di un dimagrimento di 40 kg, i magistrati scrivevano che “nessuna delle pluralità di patologie era in sè ostativa alla permanenza in carcere” di G.C. il quale si sottraeva in parte alla “concreta attuazione delle terapie ospedaliere per sua scelta, come nel caso dell’astensione al fumo e dell’applicazione di una protesi dentaria, quest’ultima risolutiva dei problemi di alimentazione, cui è legata la perdita di peso riscontrata dal difensore”.

Tra le patologie indicate dai giudici anche una “broncopneumopatia cronica con inziali segni di insufficienza respiratoria”. Un mese fa, G.C. che stava scontando la pena dell‘ergastolo per un omicidio, si è sentito peggio del solito ed è stato portato nell’ospedale di Vigevano dove i medici hanno constatato che le sue condizioni erano “gravemente compromesse” tanto da doverlo operare immeditamente ai polmoni e a indurre il coma farmacologico. “Si potrà dire che fumava e che quindi si è ammalato per quello di cancro – spiega Dondé -  ma quando i sanitari parlano di un paziente arrivato in condizioni gravemente compromesse mi viene da pensare che forse si poteva fare di più, almeno quella perizia che avevo chiesto”. Per i magistrati che negarono l’incompatibilità di G.C. col carcere la documentazione medica acquisita un anno fa, si legge nell’ordinanza, era invece “tale da non richiedere ulteriori approfondimenti”. (manuela d’alessandro)

Aggiornamento del 02 agosto 2016. Il protagonista di questa storia è morto nella notte tra lunedì e martedì. Dopo aver parlato di questa vicenda, nei giorni scorsi, il figlio Andrea Francesco ci aveva scritto, commentando con rabbia amara l’evoluzione della salute del padre. Le sue parole le trovate nei commenti a questo articolo.

“No alla vendetta”, la lezione della mamma di Lorenzo nel giorno dell’ergastolo a Giardiello

Ecco le parole dell’avvocato Alberta Brambilla Pisoni, la mamma  di Lorenzo Claris Appiani,  il giovane legale freddato mentre leggeva la formula del giuramento del testimone, dopo la condanna all’ergastolo di Claudio Giardiello.

Se memoria deve restare di quella gelida mattina di sole in cui caddero oltre a Lorenzo, l’imprenditore Giorgio Erba e il giudice Fernando Ciampi,  vorremmo che fosse di questa luminosa lezione di umanità e diritto, e non si sa dove cominci una e finisca l’altro.

“La sentenza rispetta il diritto, la giustizia sarebbe evitare che succedano queste cose. Il processo è stato fatto bene, sono state concesse delle perizie che sono state esaurienti e Giardiello ha avuto tutte le garanzie, com’è giusto che dovesse essere.  Mi è dispiaciuto essere qui presente: lo sono sempre stata quando si parla di Lorenzo e lo sarò sempre, perché quando si parla di Lorenzo io ci sarò sempre, ma non è bello asssitere alla condanna all’ergastolo di una persona. Anche se voi mi avete vista sempre sciolta e battagliera, questa è comunque un’esperienza che ti lascia un sacco di emotività perché comunque un essere della tua specie viene  condannato a una pena a fine vita. La vendetta la lascio a Giardiello, io cerco di lavorare su di me. Per me la vendetta è già un principio di delitto, non viene mai punito il pensiero vendicativo ma già da lì parte qualcosa contro il vivere civile, contro un percorso di miglioramento. La vendetta esiste ma penso che dovremmo fare di tutto per comabatterla”. (manuela d’alessandro)

 

 

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