giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Una telefonata al Ministro ti accorcia la vita in carcere?

Che il fine fosse nobile, aiutare una detenuta in difficoltà, non c’è dubbio. Ma che quella non fosse proprio una carcerata come  le altre, e non solo perché rampolla della dinastia dei Ligresti, il Ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri non lo può negare. I verbali e le intercettazioni agli atti dell’inchiesta Fonsai di Torino che potete leggere nella sezione ‘Documenti’ raccontano di una storia imbarazzante per la Guardasigilli in cui si intrecciano affetti anche familiari – il figlio Piergiorgio ex top manager della compagnia assicurativa – e dichiarazioni quanto meno incaute per un’esponente del Governo.

Ci sono due puntate in questa vicenda. La prima risale al 17 luglio scorso, a poche ore dall’arresto di Giulia Ligresti, quando la Guardasigilli telefona alla sua ultraquarantennale amica Gabriella Fragni (vedi ‘Intercettazioni Cancellieri’ da pagina 797), compagna di Salvatore Ligresti, che piange. I toni sono accorati, sembrano persino travalicare un sentimento di solidarietà tra amici. “Qualsiasi cosa  possa fare conta su di me, non lo so cosa posso fare, sono veramente dispiaciuta” (…) “Se tu vieni a Roma, proprio qualsiasi cosa adesso serva, non fate complimenti, guarda non è giusto, non è giusto”. Non è giusto cosa? L’arresto di Salvatore Ligresti? Parla il Ministro della Giustizia.

Ed eccoci alla seconda ‘scena’, ambientata in agosto, con il contatto tra la Cancellieri  e i due vicecapi del Dap, il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria, quello che lei stessa definisce “un intervento umanitario assolutamente doveroso in considerazione del rischio connesso con la detenzione”. Facciamo parlare ancora il Ministro (‘Verbale Cancellieri, pagina 450): “Ho ricevuto una telefonata da Antonino Ligresti (fratello di Salvatore, ndr)  che conosco da molti anni  e mi ha riferito della sua preoccupazione per lo stato di salute della nipote Giulia la quale soffre di anoressia e rifiuta il cibo. In relazione a tale argomento ho sensibilizzato i due vice capi del Dap perché facessero quanto di loro stretta competenza per la tutela della salute dei carcerati”. Alcuni giorni dopo l’interessamento del Ministro, a Giulia Ligresti vengono concessi i domiciliari anche se dalla Procura di Torino assicurano che l’intervento del Guardasigilli è stato ininfluente. Resta l’innegabile trasporto (“Lui non se lo meritava”, dice la Fragni sull’arresto del compagno, “Lo so, lo so”, risponde il Ministro) con cui la Cancellieri si è spesa per questa detenuta fragile, figlia di amici di una vita, e sullo sfondo la figura del figlio Piergiorgio Peluso, chiamato a fare ‘pulizia’ in Fonsai e che, come potete leggere nei documenti, si confronta anche sulla vicenda giudiziaria in alcune telefonate con gli ex alti dirigenti del gruppo coinvolti nelle indagini. (manuela d’alessandro e roger ferrari)

Ruba in casa di un magistrato, identificata a tempo di record

La sfiga può toccare a tutti. Pure ai magistrati. Non ci sono serrande che tengano, né sistemi di sicurezza: a volte, se un ladro esperto decide di entrarti in casa, ce la fa a dispetto delle precauzioni dell’avveduto padrone. E’ quello che è capitato pochi giorni fa a un togato milanese. Ha avuto la sfortuna di incappare nell’opera di un, o meglio di una, professionista del campo. Risultato, casa svaligiata e un bello spavento al rientro. Diversi orologi di valore, volatilizzati. Un danno calcolato in circa 40mila euro. In quelle situazioni, la trafila è uguale per tutti: denuncia ai carabinieri, elenco minuzioso degli oggetti spariti, accensione di un cero nella speranza di rivedere la refurtiva, prima o poi. Ma secondo la vulgata dei più maliziosi, tra cui certo non possiamo annoverare gli autori di giustiziami.it, la parità di condizioni con il comune cittadino finisce qui. Sostengono, i demagoghi, che nel caso in cui sia un magistrato la vittima del reato, la solerzia nel condurre le indagini aumenti. Tant’è, nel caso di specie, nel giro di 48 ore l’autore del furto è stato individuato. Grazie alle impronte digitali, rilevate prontamente e senza i famosi inquinamenti della scena criminis, e inserite in una banca dati in forza alla Sezione Investigazioni Scientifiche dei carabinieri milanesi. Un click, e la ladra è stata individuata, nonostante la dozzina di ‘alias’ che in passato ha fornito alle forze dell’ordine. Ora non resta che trovarla, poi dovrà affrontare un processo a Brescia, essendo milanese il magistrato vittima di furto. Certo, rubare a un magistrato…La sfiga può toccare a tutti, pure al ladro.(nino di rupo)

Il flop di Mani pulite bis, tutti prescritti

Di processi anche importanti che finiscono in prescrizione ce ne sono tutti i giorni nei tribunali italiani, ma pochi giorni fa la corte d’appello di Milano ha ‘spazzato via’ le nove condanne, dai due anni a 3 anni e 6 mesi di reclusione, emesse in primo grado nel processo relativo a presunte tangenti pagate ad ex dirigenti di Enipower e Enelpower tra il 2002 e il 2004. Non si tratta di una vicenda giudiziaria qualsiasi perché nel 2004, quando scattarono 11 arresti per appalti energetici anche in Medio- Oriente, il pm Francesco Greco supportato poi dal gip Guido Salvini scrisse: ” Sarà peggio di Mani pulite”. Gli inquirenti avevano infatti interpretato male una telefonata intercettata in cui si diceva: “Facciamo presto perché incombe la campagna elettorale”. E subito iniziarono a circolare voci e indiscrezioni su somme ingenti finite ai partiti politici. Invece quelle parole captate dalle cimici erano solo una millanteria, una furbata al fine di mettere le mani sul denaro il prima possibile. Enipower-Enelpower si rivelò una storia di ordinaria corruzione. Nessuna Mani pulite bis, insomma. Forse perché avevamo già dato o forse perché quando una storia si ripete passiamo dalla tragedia alla farsa. Con la differenza che Mani pulite tra due pesi e due misure, uso spropositato del carcere per ottenere confessioni, indagini non fatte al fine di garantire la forza d’urto della magistratura contro i politici, l’inchiesta era già stata allo stesso tempo tragedia (per i numerosi suicidi) e farsa. Fu utile l’indagine sì, ma a costruire carriere politiche e fortuna personali, rimpinguando il conto in banca di magistrati che risposero alle critiche ricorrendo ai loro pari, i colleghi della porta accanto con cause civili milionarie.

Alla fine abbiamo scampato la seconda puntata, ma lo stato di diritto già compromesso pesantemente dalla ‘lotta al terrorismo’ si vide infliggere un’altra grave ferita non ancora rimarginata per responsabilità che vanno divise tra le toghe e i politici. (frank cimini)

Giustizia 2.0, ma le sentenze via internet valgono zero

File elettronici, posta certificata, notifiche telematiche: il tribunale di Milano è ufficialmente uno dei più avanzati d’Italia nei processi di evoluzione tecnologica, destinati a garantire a costi minori una efficienza maggiore della macchina giudiziaria. Peccato che poi tutto inciampi sul più arcaico degli ostacoli. Perché le copie delle sentenze civili viaggiano su Internet, ma poi perché valgano davvero qualcosa è necessario che, come al buon tempo antico, vengano stampate su carta, portate a Palazzo di giustizia, e poi – dopo la solita, ciclopica coda davanti alla cancelleria civile, con tanto di ‘numerino’ come alle Poste – vengano firmate e timbrate dal cancelliere. Un controsenso che finisce quasi col neutralizzare gli effetti positivi della campagna di modernizzazione portata avanti in questi anni. Perché non si riesca a rimediare a questo nonsenso è un mistero fatto di burocrazia, risorse, normative, insomma un groviglio quasi inestricabile. Dal punto di vista tecnologico, ovviamente nulla impedirebbe che la copia notificata partisse già dall’ufficio del cancelliere con la firma elettronica certificata dal pubblico ufficiale. Un progetto, in questo senso, per la cosiddetta ‘copia di conformità elettronica’, esiste da tempo ma fatica a decollare davvero. Così si continuano a sprecare: carta, toner per stampanti; tempo degli impiegati e/o collaboratori degli studi legali; tempo dei cancellieri addetti alla stampa e alla firma della copia cartacea. E tutto questo è reso ancora più singolare dal fatto che già oggi agli avvocati viene riconosciuta la facoltà di certificare un atto quando – su citazione, ricorsi e impugnazioni – attestano l’autenticità della firma del loro cliente. E che per far valere la sentenza (ricevuta per mail da un indirizzo di posta elettronica del ministero della Giustizia) debbano arrampicarsi su per gli immensi scaloni del palazzaccio milanese suona  davvero come un retaggio del ventesimo secolo. (orsola golgi)