giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Offese omofobe sul web
Chi rispose rischia il processo

Insulto omofobo libero, vietato rispondere per le rime. E così, vi abbiamo già svelato la morale della favola. Succede questo: Fabio Federico, ex An poi Pdl, sindaco di Sulmona (l’Aquila) fino al 2013, anni addietro registra un videomessaggio in cui mette in fila una quantità di stupidaggini omofobe da far impallidire l’estensore di un ipotetico pamphlet “Eterosessualità e tradizione”. 
In parte si tratta di opinioni, come tali insindacabili, in parte ironie dal gusto più o meno discutibile, in parte ancora di affermazioni pseudoscientifiche che gli studiosi semplicemente non riterrebbero degne di interesse, se non fosse che la questione dell’omosessualità come patologia è ampiamente smentita da decenni dall’Organizzazione mondiale della sanità e dagli Ordini internazionali degli Psicologi e degli Psichiatri. Tra le altre dichiarazioni di Federico, spicca la seguente: “Se hai degli ormoni maschili e un genoma maschile, fai il maschietto. Il contrario è fuori natura, ci sono delle possibilità di composizione intermedie di questi assetti genetici. Ci sono delle aberrazioni genetiche che determinano il fatto che non si sia né perfettamente uomo e né perfettamente donna”. Precisazione: Federico è un medico. 
Il video finisce su Youtube nel 2011. In molti, soprattutto nella comunità gay, lo ritengono una provocazione. Da campagna elettorale, certo, ma pur sempre una provocazione se non proprio un insulto. Qualcuno, con una reazione d’ira, invece che ignorare o al più sbeffeggiare con sarcasmo, passa all’insulto, anche pesante, commentando i toni omofobi del video. L’allora sindaco si sente in dovere di segnalare il fatto alla pubblica autorità con una bella querela per 36 utenti di internet. La Procura di Sulmona procede con le indagini, spezzetta il fascicolo in 36 parti e trasmette gli atti agli uffici competenti, quelli del luogo in cui i vari insulti sono è stati materialmente digitati. 
In questi giorni sono arrivati i primi avvisi di conclusione delle indagini. Tra gli altri uno a Roma, uno a Torino e uno a Milano. Dove il pm Enrico Pavone contesta a un uomo di 45 anni (sposato in Spagna con il suo compagno uruguayano) il reato di diffamazione aggravata ai danni dell’ex sindaco fustigatore del’omosessualità. Aggravata, certo, perché il video è stato visionato da almeno 30mila persone ma pure i commenti contro il primo cittadino sono leggibili da chiunque abbia una connessione internet. Il legale dell’indagato milanese, l’avvocato Barbara Indovina, deposita una memoria in cui chiede l’archiviazione, propugnando la scriminante della provocazione subita. Il suo assistito “non può essere punito”, afferma in sostanza, in quanto il video che ha ispirato il duro commento conterrebbe affermazioni “lesive di regole comunemente accettate nella civile convivenza”. Purtroppo, diciamo noi, che in Italia l’omofobia sia lesiva di regole comunemente accettate, è ancora da dimostrare. Certo in Spagna, dove quel filmato è perfettamente visibile, e dove è stato segnalato, l’omofobia è reato. E chissà che qualcuno in terra iberica non intenti questa volta un’azione contro il sindaco.

Un altro ricordo di D’Ambrosio
L’avv. Vanni ‘risponde’ a Frank

Caro Frank,
voglio ricordare Gerardo D’ Ambrosio anche in un altro modo.
E’ stato un magistrato laico: ha avuto sempre chiari i limiti dei suoi poteri e della sua funzione, anche quando “mani pulite” teneva in pugno i governi del paese, quando il tuo illustrissimo collega Enzo Biagi dedicava sul Corriere l’intera pagina 3 all’infanzia di Antonio Di Pietro, e quando un settimanale metteva in copertina Borrelli a cavallo (senza il suo consenso, pare). Neanche in quegli anni D’Ambrosio ha mai pensato di avere una funzione purificatrice del mondo dai suoi mali, né il potere di redimere con i mandati di cattura la mitica società civile italiana dai suoi vizi secolari.
Soprattutto, Gerardo D’ Ambrosio è stato un PM che non ha mai rifiutato il confronto con gli avvocati, né in aula, né fuori, forse anche perché non aveva nessuna ragione per temerlo. Aveva una concezione dialettica del processo perché sapeva dialogare, non perché il codice di procedura penale l’ha imposta a tutti, senza alcun successo.
Non era difficile, per un avvocato, confrontarsi con D’Ambrosio, anche su temi importanti, semplicemente bussando alla porta del suo ufficio, che di solito era aperta. Per mettere a fuoco la differenza di stile, nel passaggio tra epoche storiche prossime: hai mai provato a bussare alla porta di un PM di prima nomina, di quelli appena arrivati, o a chiedergli un appuntamento?
E’ certamente possibile che D’Ambrosio abbia preso anche decisioni sbagliate, ma per come l’ho conosciuto escludo che le abbia prese per convenienza o per superbia: non è mai stato superbo, ed era libero abbastanza da poter ignorare la convenienza.
Questo per un magistrato non è poco, anzi: è la ragione per la quale l’ho ammirato, la stessa per la quale lo ricordo con rimpianto. (avvocato Luigi Vanni in risposta all’articolo ‘Morto D’Ambrosio, dal malore attivo di Pinelli a Mani Pulite, scritto da Frank Cimini)

Di Pietro escluso dalla foto ricordo del pool
ai funerali di D’Ambrosio

Il pool si riunisce attorno alla bara coperta di rose bianche del suo ’papà’ Gerardo D’Ambrosio nell’atrio del Palazzo di Giustizia. L’immagine è suggestiva. Francesco Saverio Borrelli, Francesco Greco, Gherardo Colombo, sono schierati in toga, emozionati e assorti,  per omaggiare il feretro di chi li guidò durante ’Mani Pulite’. Dalla foto simbolo dell’addio a D’Ambrosio manca soltanto Antonio Di Pietro. Dov’è? È a pochi metri dai vecchi compagni di battaglia, confuso tra il pubblico, in abiti ’borghesi’, lo sguardo cupo e triste. Escluso dal cerimoniale perchè  lui non solo non è più un magistrato ma anche perchè – questo pare abbiano risposto i responsabili del cerimoniale alle sue proteste –  la toga l’ha lasciata per volontà sua, non per andare in pensione. “Come mai è rimasto fuori?”, proviamo a chiedergli. Alza le spalle, con lo sguardo abbattuto, senza dire nulla. Fuori dal Palazzo, prima di entrare nella chiesa di San Pietro in Gessate dove si svolgono i funerali, recupera la verve consueta e inneggia allo “spirito di gruppo” del pool che mise in pratica il motto dei moschettieri “l”unione fa la forza” per combattere la corruzione. Quanto avrebbe voluto entrarci anche lui in quella foto.  (manuela d’alessandro)