giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Da ‘limpido come acqua di fonte’ a ‘disperdetevi’, tutte le frasi di Formigoni sul processo

 

Roberto Formigoni è stato condannato a 6 anni di carcere per corruzione e assolto dall’accusa di associazione a delinquere nel processo Maugeri. Per il ‘Celeste’ ci sarà tempo e modo di provare a dimostrare la sua completa innocenza. Noi oggi lo vogliamo omaggiare con una carrellata di frasi ‘alla Crozza’ pronunciate dal 2012, quando esplose l’indagine, a oggi.

Triste e sfigato

“Io in genere faccio vacanze di gruppo, il giornalista del Corriere fa vacanze sempre da solo? Che sfigato, che persona triste, sfigata e malinconica. Io, come tutti gli italiani, faccio vacanze di gruppo: alla fine del viaggio si fanno i conti ed eventualmente si pareggia”. A proposito del cronista che anticipò la sua iscrizione nel registro degli indagati.

Limpido come acqua di fonte

“Sono limpido come acqua di fonte. Non sono oggetto di indagine”. Dichiarazione  dopo i 5 arresti di qualche giorno prima che segnarono l’esplosione mediatica dell’inchiesta Maugeri.

Anche Gesù

“Anche Gesù sbagliò a scegliersi uno dei collaboratori, non pensiamo di essere impeccabili”. A proposito del suo rapporto con l’uomo d’affari Pierangelo Daccò, condannato oggi a 9 anni e due mesi.

Brad Pitt

“Scusate tanto, non sono Brad Pitt ma le vacanze me le posso pagare, me le sono pagate e non avere tenuto le ricevute, scusate, è un reato?”

Il reato di cena

“Nessun atto corruttivo, non è reato eventualmente essere stato ospite a una cena con qualche persona o per qualche week – end”.

Io e il parrucchiere

“Quando ero presidente, non riuscivo neanche a pagare il caffè al bar e neppure il parrucchiere che mi diceva ‘lei basta che venga qui e mi fa pubblicità’. Infatti in Regione tutti avevano preso il gusto di andare dove andava Formigoni”.

A casa in braghette

“Presidente (al giudice del suo processo, ndr) mi permetta di dire con orgoglio che il mio impegno per la Regione era pienissimo. Uscivo di casa alle otto del mattino e tornavo alle dieci – undici alla sera. I primi tempi mi divertivo a lavorare anche alla domenica. Quando ero a casa, guardavo la televisione in braghette, ascoltavo la musica che tanto mi piace, mi rilassavo”.

Milioni di milioni

“Era più che naturale che milioni di persone potessero dire di avermi conosciuto e incontrato”. A proposito della data incerta in cui incontrò Pierangelo Daccò.

Stessa spiaggia, nuova fiamma  

“La Procura dice che avevo l’uso ‘esclusivo’ della barca di Daccò. Per dimostrare che non era così basterebbe guardare le riviste di gossip che tutti gli anni mi attribuivano una fiamma diversa pubblicando le mie foto in barca. E chi erano? Il primo anno una figlia di Daccò, il secondo una fanciulla più o meno avvenente e poi altre”.

La crema di bellezza

“Preciso che quella non era una crema di bellezza ma serviva per curare un’irritazione cutanea molto profonda al volto e allora siccome a Milano non si trovava l’avevo fatto arrivare da fuori”. A proposito di un’intercettazione in cui Formigoni chiede al suo segretario: “Allora è possibile recuperarla da Chenot? Tieni presente che eventualmente lì possiamo madare l’autista. Ne ho bisogno entro lunedì al massimo”.

Non vivevo d’aria

“Si è insinuato che io viva d’aria. Io versavo alla mia casa dove risiedo coi memores domini dai 50mila ai 70mila euro all’anno. Era un versamento unico che serviva per l’affitto, la manutenzione, per pagare la colf”.

 Un antipasto qua, un prosciutto là

“La Procura parla di cene da settemila euro spesi da Daccò nell’interesse di Formigoni. In realtà, Daccò organizzava le cene nell’interesse di Daccò. La mia segretaria mi diceva ‘C’è una cena da Daccò’ e se potevo passavo. Avevo tre quattro inviti a cena la sera, magari mangiavo un antipasto da una parte e il prosciutto dall’altra”.

Alle cene andavo perché si mangiava bene

“Alle cene c’era gente che trovava comodo parlarmi invece di fare la fila in Regione. Io a quelle cene, da Sadler o in altri ristoranti, andavo solo perché si mangiava bene”.

Silenzio ai Caraibi

“Cinque giorni dopo la delibera sono andato ai Caraibi con Daccò e con lui non è stata detta neanche una parola su quella delibera. Un conto sono i rapporti personali anche di amicizia e solidarietà, un conto è la funzione  di amministrazione pubblico”.

Scontrini tra amici

“Daccò non mi ha mai presentato il conto, entrambi godevamo della compagnia tra amici. Ma tra amici ci si sambiano scontrini e ricevute? Ecco la chiave del rapporto tra me e Daccò: siamo diventati amici e ci siamo comportati da amici, nessuno calcolava il valore di quello che uno dava all’altro. Un rapporto di amicizia è la tipica cosa in cui non ci sono calcoli, è gratuita”.

Motoscafino

“Tra l’altro anche Simone ha il suo motoscafino” (parlando degli yacht di Daccò, Formigoni ricorda che anche l’ex assessore lombardo Antonio Simone aveva la sua piccola imbarcazione).

Se porto il pm in Ferrari

“Se porto in giro la Pedio (Laura Pedio, pm dell’indagine, ndr) in Ferrari, alla fine lei non dice che la Ferrari è sua. Invece, dopo le vacanze, per l’accusa le barche sono diventate mie”.

E ora disperdetevi o vi asfalto

“Come ve lo devo dire? In greco, latino o arabo? Ve l’ho già detto, parlerà il mio avvocato…Disperdetevi perché sennò vi asfalto…”. Ai giornalisti a margine di un’udienza del processo.

(manuela d’alessandro)

Sala fa la vittima sulla notizia dell’indagine ma le cose non sono come le racconta

Metà del messaggio postato su Facebook in cui Giuseppe Sala annuncia di voler tornare a fare il sindaco è dedicata al suo “stupore” nell’aver appreso dalla stampa di essere indagato. “Giovedì sera nessuna comunicazione ufficiale al riguardo mi era stata fatta, nessun avviso di garanzia mi era stato notificato (…). Mi direte, non è certo la prima volta. Vero, ciò nondimenno dobbiamo tutti insieme fare uno sforzo per non considerare la cosa ‘normale’. Non lo è se riguarda un cittadino e non lo è se riguarda il sindaco di Milano”.

Questa versione del sindaco sembrerebbe prefigurare una clamorosa violazione del segreto istruttorio a suo danno, con la ‘soffiata’ di una irrispettosa procura generale al cronista di turno. La realtà è ben diversa.

Giovedì sera, la magistratura ha notificato una mail con la richiesta di proroga dell’indagine sulla Piastra di Expo all’avvocato d’ufficio Luana Battista. E’ quello che accade al qualsiasi “cittadino” da lui evocato che non ha già un legale perché non è mai stato coinvolto in quell’inchiesta. Sala dimentica di raccontare che ha saputo dai giornali di essere accusato per la presunta falsificazione di due verbali solo perché l’avvocato d’ufficio non ha aperto la sua posta elettronica, come da lei candidamente ammesso (“Non c’erano nomi noti nella prima pagina, sembrava una nomina come le altre”). Nel frattempo, i giornalisti hanno dato risalto a un atto non più segreto in quanto (in teoria) già conosciuto dall’indagato.

Forse al sindaco da’ fastidio aver saputo troppo tardi che l’accusa a suo carico era ‘solo’ quella di falso.  Quando sono uscite le prime notizie, racconta chi è gli è stato vicino, il suo timore era di essere accusato di turbativa d’asta, il reato attorno a cui ruota l’inchiesta sul più ricco appalto di Expo. Di qui il tono infastidito verso stampa e Procura Generale: se avesse saputo che doveva rispondere ‘solo’ di avere retrodato dei verbali non si sarebbe cacciato nel limbo scivoloso dell’autosospensione. (manuela d’alessandro)

Pinelli, “la finestra è ancora aperta”. Il libro di Fuga e Maltini

 

“Nel 1996 dagli archivi di via Appia si scopre che almeno altre 14 persone facenti capo al ministero dell’interno e mai sentite dai magistrati si aggiravano in quel quarto piano della questura di Milano la notte in cui Pinelli morì”. Bastano queste tre righe in sede di epilogo per spiegare l’importanza del lavoro di Gabriele Fuga e Enrico Maltini. “La finestra è ancora aperta” è il titolo del libro, la versione aggiornata di “e finestra c’è la morti”, pubblicato nel marzo del 2013.

Ancora oggi la storia stessa di questo paese chiede giustiziar ancor più che giustizia conoscenza” scrivono gli autori, Enrico Maltini, fondatore della Croce Nera anarchica e l’avvocato Gabriele Fuga, in un paese in cui i cittadini continuano a morire nellemani delle cosiddette forze dell’ordine, a subire vessazioni e torture, senza che si riesca a varare una legge che sanzioni la tortura come reato. Anzi con il Quirinale che concede la grazia ai condannati per il sequestro dell’imam Abu Omar.

Per cui il libro non si occupa solo di una storia di quasi 50 anni fa ma del presente. “Migliaia di fascicoli rivelano una sistematica azioni di intrusione, sottrazione di indizi, falsificazioni, sottrazioni di corpi di reato, depistaggi, manipolazioni di testi” è la ricostruzione su quello che avvade la notte tra il 15 e il 16 dicembre del 1969 ai danni di Pino Pinelli, ferroviere anarchico, fermato per la strage di piazza Fontana e trattenuto illegalmente per 3 giorni prima di precipitare da una finestra di via Fatebenefratelli.

“Malore attivo” è la sintesi della sentenza emessa dal giudice Gerardo D’Ambrosio  che non usò proprio quelle parole, ma altre ancora più inquietanti. Il giudice scrisse di “atti di difesa di Pinelli”. Significa quindi che c’erano stati atti di offesa da parte dedali uomini in divisa che lo interrogavano e che a verbale affermarono cose inverosimili e contraddittorie.

E contemporaneamente in questura in quei giorni c’erano uomini del Viminale e dei servizi segreti la presenza dei quali all’epoca fu nascosta. Tra gli uomini che frequentarono quella stanza, la sua, il commissario Luigi Calabresi era il più alto in grado ma acquattati altrove c’erano i superiori in via gerarchica arrivati da Roma. In testa Silvano Russomanno, un tempo tra i protagonisti della Repubblica Sociale.

La presenza fisica nella stanza al momento del fatto del dottor Calabresi è un puro dettaglio. Calabresi quantomeno coprì quello che era accaduto. E a coprire tutto pensò la sentenza di D’Ambrosio, un giudice legato al presunto grande partito della classe operaia, che da un lato non poteva aderire alla versione del suicidio e dall’altro non poteva sposare la tesi dei movimenti sulla strage di Stato e l’omicidio di Pinelli. Così si arrivò a una sorta di terza via. Una sentenza oscura targata Botteghe Oscure, si potrebbe dire. Ma forse la sintesi migliore è quella di Oreste Scalzone: “un compromesso storico antelitteram”.

La lettura del libro è consigliata in particolare a quegli “intellettuali”, alcuni sono ancora in vita che firmarono nel 1971 l’appello contro Calabresi e lo Stato e che negli anni uno dietro l’altro si sono usai tutti pentiti. Ecco, ora hanno l’occasione di pentirsi di essersi pentiti. Due nomi tanto per capirci: Paolo Mieli e Eugenio Scalfari. (frank cimini)

“La finestra è ancora aperta” di Gabriele Fuga e Enrico Maltini, 270 pagine, 14 euro, Edizioni Colibrì.

Con Sala indagato si svela definitivamente la moratoria di Expo

 

Chissà, magari Beppe Sala, il ‘sindaco della procura‘, ha provato a prendersi la palma del peggiore in questa storia di malagiustizia, inventandosi l’autospensione che tecnicamente esiste ma politicamente assomiglia molto a una pagliacciata. Ha provato ma non ci è riuscito, perché è fuor di dubbio che quella palma appartiene alla procura di Milano (non ai pm Robledo, Filippini, Pellicano e Polizzi che ci ‘provarono’), alla moratoria delle indagini su Expo che adesso con anni di ritardo per sei mesi cercherà di fare la procura generale dopo aver avocato il fascicolo.

Sala poteva restare al suo posto perché è un semplice indagato dopo essere stato archiviato per l’assegnazione a Oscar Farinetti senza gara pubblica oppure poteva dimettersi. Invece si è autosospeso dopo aver saputo di dover rispondere di concorso in falso materiale e ideologico, la retrodatazione del cambio di due componenti della commissione aggiudicatrice sulla piastra. Non è una quisquilia si parla di verbali di riunione falsificati.

Milano rischia di tornare al voto in primavera, pagando un prezzo salato alla celebrazione costi quel che costi di Expo. C’era fretta, non si potevano rispettare le regole, non c’era tempo. La stessa spiegazione fornita per l’affaire Farinetti. Con la procura di Milano che aderisce e di fatto copre. Ma la magistratura copre anche se stessa perché per i fondi di Expo giustizia non era stata indetta la gara pubblica e tutti possono ammirare da anni gli inutili schermi appesi per tutto il Palazzo acquistati con quei fondi.

Fin qui era andata bene alla procura e a Sala diventato sindaco di Milano perché le indagini non erano state approfondite. Non tutte le ciambelle riescono con il buco. Si mettevano di mezzo un gip che rigettava l’archiviazione per la piastra e la procura generale che avocava. I boatos del palazzo riferiscono che dietro ci sarebbe anche una storia di correnti in lotta tra loro. Quelle correnti che al Csm fanno da sempre il bello e il cattivo tempo. E del resto il Csm rifiutò di aprire una pratica al fine di verificare l’esistenza o meno della moratoria della quale questo umile blog aveva iniziato a parlare nell’aprile del 2015, molto tempo prima dell’inaugurazione di Expo. Una voce nel deserto. Adesso la moratoria è sempre più chiara. Matteo Renzi da premier ringraziò due volte l’allora procuratore Edmondo Bruti Liberati per il senso di responsabilità istituzionale inserito tra le ragioni del sucesso di Expo.

Comunque sia si indaga sia pure con ritardo e va considerato pure che a maggio Felice Isnardi il sostituto procuratore generale titolare del fascicolo compirà 70 anni e andrà in pensione. Magari prima di andare potrebbe anche convocare come testimone Renzi per chiedergli: “Scusi a che cosa si riferiva esattamente?”. (frank cimini e manuela d’alessandro)

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Ospedale di Saronno, il misterioso dietrofront dell’infermiera denunciante

Venerdì mattina alle dieci Clelia Leto avrebbe dovuto raccontare per la prima volta pubblicamente cosa ha visto all’ospedale di Saronno e perché ha denunciato in Procura a Busto Arsizio il dottor Leonardo Cazzaniga, accusato assieme all’amante Laura Taroni di avere seminato morte tra le corsie.

Ieri la segretaria dei legali dell’infermiera ha contattato tutti i giornalisti che da giorni cercano di strapparle una dichiarazione per convocarli all”Arengario’ di piazza Diaz a Ceriano Laghetto (Monza Brianza) dove si sarebbe dovuta svolgere una conferenza stampa.

Oggi però è arrivato il dietrofront. La stessa segretaria ha ritelefonato ai cronisti: “La signora Leto ha cambiato idea, non se la sente di parlare, tutto annullato”. A distanza di un giorno dunque la donna che il 23 agosto 2014 si presentò ai pubblici ministeri denunciando il ‘protocollo Cazzaniga’, si è tirata indietro.

Nel suo esposto, Leto riferiva di avere assisitito a condotte professionalmente “allarmanti” di Cazzaniga come la somministrazione di dosi letali di anestetici e sedativi per accellerare il decesso di pazienti con gravi patologie. Perché ora non vuole più parlare? Ha subito delle minacce o le è stato ‘consigliato’ dagli inquirenti di non esporsi? (manuela d’alessandro)