giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Non diamoli per scontati: numeri e nomi aggiornati dei suicidi in carcere

Una regola salda dell’informazione è che il continuo ripetersi e raccontare di un fenomeno può portare all’assuefazione tanto che perfino un’ecatombe può diventare un rumore di sottofondo  assumendo il volto appena accigliato di una scontata contabilità.

‘Giustiziami’ crede però che  sia un rischio da correre rispetto a quello che sta accadendo nelle carceri soprattutto perché di questi suicidi non sapremmo nulla se i sindacati della polizia penitenziaria, gli avvocati e i media non ci rendessero noto che quasi ogni giorno una persona si uccide al buio, quasi sempre impiccandosi. Non è una soluzione ma sarebbe una prima presa di responsabilità se fosse proprio lo Stato a comunicare in via ufficiale la morte di  uomini e donne che sono nella sua custodia.

21 luglio 2024: alla Dozza di Bologna si toglie la vita Musta Lulzim, 48 anni, albanese. E’ stato trovato impiccato nella sua cella infuocata dall’estate.

15 luglio 2024: Alessandro Patrizio Girardi, 37 anni, detenuto per spaccio, si impicca nella sua cella nella casa circondariale Santa Maria Maggiore.

13 luglio 2024: un uomo di 45 si suicida a Monza chiudendosi la testa in un sacchetto di plastica nella sua cella dove stava da solo

9 luglio 2024: Fabrizio Mazzaggio,  57 anni, si impicca nel bagno della sua cella a Varese. Aveva problemi di tossicodipendenza.

7 luglio 2024: Vincenzo Urbisaglia, accusato dell’omicidio della moglie, si uccide a 81 anni nel carcere di Potenza. Ai legali era stata negata pochi giorni prima la scarcerazione chiesta per il suo stato psicofisico.

4 luglio 2024: Fedi Ben Sassi: 20 anni, arrivato in Italia bambino dalla Tunisia dentro un camion di olio. Era entrato nel carcere fiorentino di Sollicciano per la rapina di un cellulare. Dopo la notizia che si è, i compagni danno vita a una rivolta.

4 luglio 2024: muore in ospedale un detenuto di 35 anni che si era impiccato a Livorno. Era entrato da venti giorni.

4 luglio 2024: Yousef Hamga, 20 anni, egiziano, si impicca nella casa circondariale di Pavia. Muore in ospedale.

1 luglio 2024: Giuseppe Spolzino, un ragazzo di 21 anni si impicca nel carcere di Paola. Nel maggio del 2027, a 24 anni, avrebbe potuto ricominciare

27 giugno 2024: Luca D’Auria, un ragazzo di 21 anni, già sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio, si uccide inalando gas nel carcere di Frosinone

26 giugno 2024: un detenuto italiano di 28 anni che lavorava nella cucina ed era impegnato in diverse attività rieducative si impicca nel carcere ‘Malaspina’ di Caltanissetta

21 giugno 2024: Alì, un ragazzo algerino di 20 anni, si impicca nel carcere di Novara. “con un cappio rudimentale”, riferisce il sindacato della penitenziaria. Era detenuto per reati di droga

11 giugno 2024: Domenico Amato, 56 anni, viene trovato impiccato alla mattina presto nel carcere di Ferrara. Con la sua morte lo Stato perde due volte perché era un collaboratore di giustizia e perché era nella custodia dello Stato

4 giugno 2024: Mohamed Ishaq Jan, pakistano, 31 anni. Da una decina di mesi aspettava di essere processato per lesioni e rapina

2 giugno 2014: George Corceovei, 31 anni, approfitta che due detenuti escano dalla cella che condividevano con lui per impiccarsi

2 giugno 2024:Mustafà, 23 anni, si impicca nel carcere di Cagliari ma il suo corpo non cede subito. Muore due giorni dopo in ospedale

23 maggio 2024: Maria Assunta Pulito, 64 anni, si soffoca con due sacchetti di plastica annodati intorno alla testa e alla gola. Accusata di violenza sessuale assieme al marito, aveva sempre respinto le accuse

16 maggio 2024: Santo Perez, 25 anni, si toglie la vita impiccandosi nella sezione media sicurezza del carcere di Parma

4 maggio 2024: Giuseppe Pilade, 33 anni, aveva disturbi psichiatrici e sarebbe dovuto stare in una Rems ma, come per la maggior parte di chi ci dovrebbe stare, non c’era posto per lui. Carcere di Siracusa

22 aprile 2024: Yu Yang, 36 anni, si è impiccicato attaccandosi alla terza branda del letto a castello a Regina Coeli

17 aprile 2024: Nazim Mordjane, 32 anni, palestinese, muore inalando gas da un fornello da campeggio nel carcere di Como  Nel settembre dell’anno scorso era evaso ferendo un agente di polizia

10 aprile 2024: Ahmed Fathy Ehaddad, 42 anni, egiziano, muore in ospedale. Attendeva l’inizio del processo per un caso di violenza sessuale

7 aprile 2024: Karim Abderrahin,  37 anni, si impicca in cella

1 aprile 2024: Massimiliano Pinna, 32 anni, si impicca al secondo giorno di carcere a Cagliari dove era stato portato per un furto

27 marzo 2024: cittadino italiano, 52 anni, di cui non state rese note le generalità, si impicca al cancello della cella con il laccio dei pantaloni

24 marzo 2024: Alvaro Fabrizio Nunez Sanchez, 31 anni, attendeva anche lui l’ingresso in una Rems da alcuni mesi per gravi sofferenze psichiatriche. Invece si è ucciso nel carcere di Torino

21 marzo 2024: Alicia  Siposova, 56 anni, slovacca, si suicida mentre era in corso una visita del cardinale Matteo Zuppi nel carcere di Bologna.

14 marzo 2024: Amin Taib, 28 anni, tossicodipendente, si uccide nella cella di isolamento a Parma

13 marzo 2024:Patrck Guarnieri, muore il giorno in cui compie 20 anni per asfissia nel carcere di Teramo. Il pm indaga perché l’autopsia lascia dei dubbi che si sia trattato davvero di suicidio

13 marzo 2024: Andrea Pojioca, senza fissa dimora, 31 anni, ucraino. In carcere a Poggioreale per tentata rapina

12 marzo 2024: Jordan Tinti, trapper, 27 anni, in carcere a Pavia per rapina aggravata dall’odio razziale. Aveva tentato il suicidio pochi mesi prima

26 febbraio 2024: cittadino marocchino, 45 anni, si impicca a Prato

14 febbraio 2024: Matteo Lacorte, 49 anni,  impiccato nel carcere di Lecce nel reparto di massima sicurezza. La Procura indaga per istigazione al suicidio

13 febbraio 2024: Rocco Tammone, 64 anni, era in semlibertà. Rientrato dal lavoro, si uccide nel cortile del carcere

11 febbraio: cittadino albanese, 46 anni, imprenditore. Si uccide a Terni

10 febbraio 2024: Singh Parwinder, 36 anni, bracciante agricolo, si uccide nel bagno del carcere di Latina

8 febbraio 2024: Hawaray Amiso, 28 anni, doveva scontare solo tre mesi a Genova. Invece avrebbe “manomesso la serratura del cancello della cellla per ritardare l’intervento degli agenti di custodia” prima di impiccarsi

3 febbraio 2024: Alexander Sasha, ucraino di 38 anni, aveva già tentato di tagliarsi la gola prima di impiccarsi

3 febbraio 2024: detenuto disabile di 58 anni, si impicca nel carcere di Carinola (Caserta).  Il suo nome non è noto.

28 gennaio 2024: Michele Scarlata, 66 anni, si uccide nel carcere di Imperia pochi giorni dopo esserci entrato con l’accusa di avere tentato di uccidere la compagna

25 gennaio 2024: Ivano Lucera, 35 anni, si impicca nel carcere di Foggia

25 gennaio 2024: Ahmed Adel Elsayed, 34 anni,  è stato trovato dagli agenti impiccato nel bagno della sua cella a Rossano Calabro. Gli mancava poco per il fine pena

24 gennaio 2024: Jeton Bislimi, 34 anni, si uccide nel carcere di Castrogno a Teramo: musicista macedone, 34enne, aveva provato a uccidere sua moglie. Aveva già tentato il suicidio

23 gennaio 2024: Antonio Giuffrida, 57 anni, in carcere a Montorio per truffa

22 gennaio 2024: Luciano Gilardi, gli mancava un mese alla libertà ma è morto prima da detenuto a Poggioreale

15 gennaio 2024: Mahomoud Ghoulam, 38 anni, marocchino senza fissa dimora, era entrato da poco a Poggioreale

15 gennaio 2024: Andrea Napolitano, 33 anni. A Poggioreale per l’omicidio della moglie, soffriva di disturbi psichiatrici

12 gennaio 2024: Fabrizio Pullano, 59 anni, si impicca nel padiglione di alta sicurezza del carcere di Agrigento

10 gennaio 2024: Alam Jahangir, 40 anni, originario del Bangladesh, si impicca con un pezzo di lenzuolo a Cuneo pochi giorni dopo il suo ingresso

8 gennaio 2024: Stefano Voltolina, 26 anni, detenuto a Padova, soffriva di depressione. Una volontaria ha affidato il suo ricordo a ‘Ristretti orizzonti’: “Era sveglio, buono, curioso. Abbiamo fallito”

6 gennaio 2024: Matteo Concetti, 23 anni. Stava male da tempo, soffriva di disturbo bipolare.  Era rientrato nel carcere di Ancona perché, svolgendo la pena alternativa in una pizzeria, aveva sforato sull’orario di rientro a casa. Il 5 gennaio aveva detto allla maddre: “Se mi riportano in isolamento, mi ammazzo”

E se credete ora/che tutto sia come prima/Perché avete votato ancora/la sicurezza, la disciplina/Convinti di allontanare/ la paura di cambiare/Verremo ancora alle vostre porte/E grideremo sempre più forte/Per quanto vi crediate assolti/Siete per sempre coinvolti/Per quanto vi crediate assolti/Siete per sempre coinvolti/

p.s. tra le fonti di questo articolo ci sono comunicati della polizia penitenziaria, Ristretti Orizzonti, agenzie di stampa, testate nazionali e locali

 

Sala porta Barbacetto in tribunale per i post critici sull’urbanistica

 

Su proposta del sindaco Giuseppe Sala, la Giunta di Milano ha votato all’unanimità una delibera per chiedere un risarcimento danni al giornalista Gianni Barbacetto davanti al tribunale civile. Già fa abbastanza impressione immaginare che un’amministrazione intera con voto unanime si dedichi a perseguire un singolo cronista per averla denigrata.

Il secondo aspetto importante è che siamo davanti a un’iniziativa di quelle che si prendono quando si vuole fare molto male: non una querela per diffamazione depositata in Procura ma direttamente una richiesta di risarcimento per i danni subiti. Ma quello davvero preoccupante è che Barbacetto venga portato a giudizio non per gli articoli pubblicati sul ‘Fatto Quotidiano’ ma per commenti su Facebook, su X e sul suo blog postati a marzo, aprile e maggio di quest’anno. Tutti contenenti dichiarazioni critiche rispetto alle politiche urbanistiche portate avanti dalla giunta Sala che hanno attirato anche l’attenzione, a torto o a ragione lo vedremo, della magistratura ma anche di tanti cittadini riuniti in comitati. Tutti che si richiamano nei contenuti agli articoli che scrive sul suo giornale. L’impressione è dunque che l’amministrazione voglia colpire ‘duro’ perché Barbacetto non godrebbe della copertura economica che gli garantirebbe il giornale a meno che il direttore Marco Travaglio non decida, com’è probabile, di battersi a fianco di uno dei suoi giornalisti più rappresentativi.

“Da oggi sospendo ogni attività social – è stata la reazione  -. Mi è arrivata notizia dal ‘Giornale’  che la giunta di Milano ha deliberato di portarmi in tribunale, suppongo per le critiche al sindaco e le informazioni sull’atività del Comune in campo urbanistico, oggetto di inchieste della Procura. Tutto quello che posto suo social passa prima dal mio giornale che però non è stato querelato. Io da solo sono più debole”.

Noi da piccolo blog, che ha subito un’azione simile in passato uscendone vincitore, esprimiamo la nostra vicinanza al collega.  Della storia di Davide e Golia ci piace solo il finale ed è quello che gli auguriamo.

(manuela d’alessandro e frank cimini)

Perché non è giusto scrivere i nomi degli agenti del Beccaria


 

C’è un ragazzo che chiede un accendino. L’agente risponde “Ma perché mi rompi i coglioni?”, gli tira un pugno in un occhio e poi arrivano altri con la divisa. In quattro lo buttano a terra, calci e pugni. Il ragazzo piange, sanguina dalla bocca. C’è n’è un altro che gli resta sulla nuca l’impronta della punta di uno stivale mentre il sangue gli cola dal labbro. Gli agenti si fermano solo perché arriva la direttrice che ordina di sfilargli le manette. Le manette in un carcere si dovrebbero vedere solo in casi eccezionali. Nell’inchiesta sul carcere Beccaria vengono evocate spesso: le manette sulle mani dietro  la schiena dei giovani detenuti, nudi, gettati al suolo, legati a un tavolo.

“I nomi e cognomi di questi 13 poliziotti penitenziari arrestati andrebbero elencati uno per uno” dice qualcuno, con gli occhi sulle carte e un sincero sbigottimento nella sala stampa del tribunale. Molti dei venticinque indagati hanno tra i trenta e i quarant’anni, sono persone che per lavoro si sono trasferite a Milano. Quando hanno messo per la prima volta la divisa profumata di fresco e sono entrati al Beccaria pensavano di diventare dei crudeli fustigatori di ragazzini? In conferenza stampa viene spiegato che la percezione di alcuni degli indagati era che fosse normale reagire alle ‘vivacità’ dei giovani con “uno schiaffo educativo” che poi nella realtà descritta nell’ordinanza sarebbero state delle torture. E’ importante rispondere alla domanda sulle ambizioni di questi uomini e una donna quando hanno iniziato a lavorare al Beccaria. Non crediamo che  la metà degli agenti in servizio  siano entrati in un carcere minorile per fare quello di cui sono accusati.  Nell’ultimo report del garante dei detenuti Francesco Maisto affiorava l’immagine dei ragazzi in isolamento che pranzavano coi piatti sulle ginocchia perché il refettorio non funzionava e nelle celle non c’erano nei tavolini. Si spiegava anche che molti di questi ragazzi in teoria sarebbero destinati alle comunità che però non li prendono perché non hanno posto o sono casi molto problematici o sono minori non accompagnati. Com’è stato possibile che per due anni il Beccaria sia diventato un ring di continui combattimenti, col sangue versato in terra (“E’ normale al Beccaria essere picchiati” afferma  un ragazzo intercettato), stanze riservati ai pestaggi, urla di dolore, reclusi che si aggiravano con lividi ed ematoni per i corridoi? Oltre ai ‘soldati semplici’ c’è un solo indagato, per falso, ed è una persona che per un periodo ha comandato la polizia penitenziaria. Può essere anzi è probabile che l’inchiesta non sia finita qui.

“Ci andrei cauto a sostenere che ci fosse un’organizzazione” afferma intanto il procuratore Viola. In effetti non viene contestata un’associazione a delinquere. Esiste però un mondo oltre la giustizia penale ed è il carcere dei 32 suicidi di detenuti, quattro di agenti, degli omicidi in cella e della sofferenza senza numero di questo inizio 2024. Della mancanza di personale, di agenti che devono fare le guardie, gli psicologi e gli educatori perché sono pochi gli psicologi e gli educatori, di agenti che non hanno una formazione adeguata nemmeno per fare gli agenti.

Esistono delle responsabilità politiche maturate almeno negli ultimi 20 anni chiare, precise e concordanti. Il buio oltre le sbarre, il buio senza ritorno. Ecco perché no, l’elenco di nomi e cognomi degli agenti non va fatto se prima non vengono fatti a caratteri cubitali quelli di chi ha amministrato la giustizia da 20 anni. Se gli agenti saranno giudicati colpevoli, pagheranno col carcere a loro volta, perderanno il lavoro, porteranno un’onta indelebile sulle spalle.  Ma il carcere non cambierà col loro carcere.  Solo la politica e la coscienza civile di un Paese possono. E far entrare lì dentro quella che ora sembra una caverna i cittadini e i giornalisti. Fare luce, il più possibile e subito.

(manuela d’alessandro)

Fuori dall’aula del processo su Erba, cronisti messi davanti a uno schermo nei sotterranei

Per carità, nessuna censura ma una storia significativa su come vengano percepiti i media nei palazzi di giustizia di questi tempi. Processo di revisione sulla strage di Erba, tribunale di Brescia. Per decisione dei vertici, i giornalisti non possono entrare nell’aula della corte d’appello dove si celebra ma vengono distribuiti in due sale: una per cronisti e operatori con telecamera che potranno scaricare le immagini che la troupe di ‘Un giorno in Pretura’ metterà a disposizione, l’altra per la carta stampata che ormai solo stampata non è da un bel po’ visto che chi scrive i pezzi per il giorno dopo è chiamato anche ad aggiornare i siti in tempo reale.

In entrambe il processo va in onda su degli schermi. Al piano interrato in cui vengono dirottati carta stampata e web, non ci sono finestre. Il segnale internet, già fievole ai piani alti, praticamente svanisce o, nei momenti di grazia, funziona a intermittenza. Risultato: lavorare per i giornalisti delle agenzie e per tutti gli altri che scrivono sul web diventa molto difficile. Ci si aggira come ridicoli rabdomanti con in mano i dispositivi per captarlo tra imprecazioni e la sensazione che stia accadendo qualcosa di surreale. Un piano più in su va in scena il processo ‘reale’ a Olindo e Rosa alla presenza di una quarantina di cittadini che vi hanno avuto comodamente e giustamente accesso.

Com’è potuto accadere che non siano potuti entrare anche i rappresentanti dei media? La spiegazione che viene fornita dai severissimi controllori, carabinieri e personale del palazzo, è che l’aula è troppo piccola per  farci stare tutti. Non pare, a occhio, ma se lo dicono loro…All’obiezione che si sarebbe potuto dividere il pubblico tra cittadini e giornalisti, facendo alternare  i cronisti, delle diverse testate, la risposta di uno dei più solerti ‘guardiani’ dell’organizzazione con tesserino del Ministero della Giustizia è: “La prossima volta magari la porta la chiudiamo proprio e non entrate manco in sala stampa”.

Certo, si può ribattere, un giornalista avrebbe potuto entrare come cittadino godendo quindi di un posto al sole. Ma chi entrava in aula con questa modalità non avrebbe potuto utilizzare “qualsiasi mezzo idoneo a effettuare riprese audiovisive, televisive e fotografiche pena l’espulsione dal palazzo”. Quindi nemmeno  un telefonino. E vabbé, si dirà: ci sono la carta e la penna e il vecchio block notes, quelli usati dal bravissimo illustratore giudiziario Andrea Spinelli che infatti siede tra le prime file (la rivincita della matita!). Solo che poi gli appunti in qualche modo dovresti spedirli alla tua testata, la forza del pensiero non basta.

Laggiù, nei sotterranei, l’immagine di Olindo e Rosa non si è mai vista perché i due hanno scelto di non farsi riprendere. “Cosa vi interessava vederli? Tanto hanno chiesto di non essere ripresi” si stupisce una funzionaria del tribunale ribattendo alle proteste di alcuni cronisti agitati. Lezione dei tempi: solo quello che finisce in uno schermo ha un senso, il resto non conta. Dostoevskij non era in aula ma una lettura dei ‘Fratelli Karamazov’ potrebbe illuminare sul potere magico e la vividezza della parola scritta applicata a un processo.

Manuela D’Alessandro

 

Pendolare Trenord incazzato e assolto
“L’Ad non doveva neanche querelare”

Anche i pendolari nel loro piccolo si incazzano. Se la ferrovia incontra il grezzo uomo medio, l’uomo medio è un uomo assolto. Quando l’amministratore di Trenord denuncia per diffamazione un suo pendolare inviperito, forse i fatti “non meritano – parola di giudice – di pervenire all’attenzione del Tribunale”.
Sintesi grezza e per titoli, ma non molto lontana dal vero. Articoliamo.
Il 30 novembre 2020 un pendolare di Seregno, estenuato dai disservizi ferroviari e dai ritardi nei rimborsi, si sfoga sulla pagina Facebook “Pendolari Trenord”. Posta una foto e commenta: “Questa è la bella faccia di Marco Piuri, amministratore delegato di Trenord che non restituisce i rimborsi degli abbonamenti annuali (…) io di voglia di sputare in faccia a uno che da diversi mesi si tiene i miei soldi ingiustamente ne ho tanta, forse lo sa e porta gli occhiali per questo”.
Piuri non la prende benissimo, e sporge denuncia per diffamazione. Il 27 ottobre 2022 il pendolare, Marco Malatesta, viene condannato per diffamazione aggravata dall’utilizzo del mezzo informatico. Ma la Corte d’appello – presidente Flores Tanga, estensore Patrizia Re, consigliere Alberto Puccinelli – ribalta tutto: era legittimo diritto di critica, e dunque assoluzione, con tanto di stilettata a finale al querelante: “Risulterebbe, del resto, molto arduo ipotizzare la liquidazione di un risarcimento a favore dell’amministratore delegato di Trenord ed ancora di più della stessa Trenord, per i fatti in esame, che non meritavano di pervenire all’attenzione del Tribunale”.
“Va anzitutto rilevato – scrivono i giudici in motivazione – che, diversamente da quanto esposto nella sentenza impugnata, l’imputato non ha accusato l’amministratore delegato di essersi appropriato del danaro destinato ai rimborsi degli abbonamenti annuali, bensì di non restituirli, ingiustamente da diversi mesi”. Il contesto, poi, era di “esasperazione di persone costrette a compilare moduli su moduli, inviare raccomandate, con ulteriori esborsi, senza ottenere nulla”. Al malcapitato Malatesta, in particolare, era stato riconosciuto un certo importo che però non gli era stato ancora restituito. Fatto dunque “veridico”, oltre che di interesse pubblico, atteso che la vicenda interessava “pressoché tutti gli utenti di Trenord ed era molto sentita in quel particolare momento”.
Per decidere su condanna o assoluzione resta però il tema della continenza verbale. Ma la Cedu concede più ampia libertà di espressione quando si parla di questioni di interesse pubblico. E la Cassazione, rammentano i giudici, accetta espressioni più aggressive e disinvolte di un tempo, in virtù del profondo mutamento della sensibilità della collettività. Il commento del pendolare era certo ironico ma anche “aggressivo e grossolano”. E tuttavia i giudici riconoscono che Malatesta, difeso dall’avv. Chiara Parisi, non voleva offendere, ma manifestare “la propria esasperazione e la propria assoluta debolezza” (…) “in mancanza di ogni strumento lecito per ottenere la restituzione di quanto a lui spettante, in tempi accettabili, sicché la condotta si riduce ad una forma protesta, che non presenta neppure gli estremi dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni. In tal senso è stato recepito dall’uomo medio”.
Danno per la parte civile: “inesistente”. Forse anche i giudici prendono il treno. Chissà se lo prende Piuri.

(foto in licenza Wikicommons)