giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Per la Corte dei Conti nessuno è responsabile dei monitor Expo mai funzionati

 

“Per la vicenda Expo non sono stati riscontrati i presupposti per esercitare l’azione risarcitoria”. Eccoci, dunque. Ora lo sappiamo: chi gestì i fondi per la giustizia milanese assegnati in occasione dell’Esposizione Universale non deve nulla alla collettività. Nemmeno per avere, tra le altre cose, comprato e appeso in ogni meandro del Palazzo milanese quasi 200 monitor Samsung costati un paio di milioni di euro che non hanno mai funzionato.

Così ci ha risposto la Corte dei Conti alla richiesta via mail su quale fosse stato l’epilogo, finora ignoto,  dell’accertamento contabile relativo all’assegnazione di 16 milioni del gruzzolo Expo.  Di più non è dato sapere come nulla si è saputo del contenuto del provvedimento col quale il gip di Trento archiviò nel 2018 l’indagine per turbativa d’asta, nata dagli spunti giornalistici di ‘Giustiziami’ e del ‘Giornale’ nel 2014, poi finiti anche in un dossier dell’Anac, sulle possibili, e a questo punto non ravvisate, irregolarità nel manovrare i fondi da parte del Comune di Milano, “stazione appaltante”, e dei magistrati.

Proprio per l’eventuale coinvolgimento delle toghe l’indagine passò da Milano e Venezia inabissandosi tra i monti del Trentino.

 

Che fine hanno fatto i monitor

Saputo che il sipario è calato, abbiamo fatto un giro in Tribunale alla ricerca dei monitor che nei ‘patti’ tra Ministero, Comune e magistrati sarebbero dovuti servire per orientare il cittadino nel labirinto del Palazzo. Alcuni sono ancora lì, mesti e bui come quasi sempre tranne per ‘strane’ occasioni, come una campagna di Anm contro l’allora premier Matteo Renzi, o almeno nobili, per onorare per qualche ora la memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Altri sono buttati come cose vecchie e inutili, quali in effetti sono, in vari nascondigli del Tribunale, per esempio un paio sono incastrati tra un ascensore e un armadio, invisibili se una nostra fonte non ce li avesse mostrati. E accatastati senza gloria ci sono anche alcuni dei pannelli sempre acquistati con l’’oro’ di Expo con le indicazioni al cittadino per muoversi agevolmente nel Palazzo, forse perché non fornivano suggerimenti così utili.  Vedi il caso, poco dopo l’esposto di Anac, un’improvvisa primavera della burocrazia fece spuntare in ogni dove cartelli, totem, targhe in un delirio cartografico con effetti esilaranti con erroracci sui nomi dei magistrati, indicazioni di procuratori generali in pensione da mesi, sigle messe senza logica. Alcuni delle indicazioni su quei pannelli sono state negli anni pietosamente coperte con lo scotch.

L’inchiesta di Giustiziami

Tutto era nato da alcuni verbali di cui Giustiziami era venuto in possesso dai quali emergeva che la gran parte dei soldi erano stati assegnati con l’affidamento diretto, senza gara pubblica. Qualche giorno dopo l’articolo e la pubblicazione dei verbali con cui era avvenuta la spartizione,  tutti i vertici dell’amministrazione giudiziaria milanese si erano confrontati in una tempestosa riunione coi rappresentanti del Comune e del Ministero stabilendo che da quel momento in avanti ciò che restava da spartirsi sarebbe avvenuto solo con le gare.

Era il 2014: quasi dieci anni dopo la risposta della giustizia penale e contabile ha stabilito che non è colpa di nessuno se una parte del tesoro di Expo è stato sprecato. Su questo non c’è dubbio: basta alzare gli occhi all’insù per rendersene conto oppure giocare alla caccia al tesoro disperso negli anfratti del palazzo.

(manuela d’alessandro)

La salute di Berlusconi “in stallo” e le bufale

Da una parte c’è il velo comunicativo imposto dai medici, probabilmente su mandato della famiglia, con l’ultimo bollettino (20 aprile) che parla “di lento e progressivo miglioramemento” a fronte di una situazione che nella realtà ha sfumature leggermente diverse. Perché la vera definizione per la fase che la salute di Silvio Berlusconi sta attraversando è “stallo”: i segni di progressivo miglioramento “non emergono”, indica una fonte che conosce il quadro. L’infezione polmonare “non è risolta” e non è ancora stato stabilito quale sia il fattore all’origine dell’infezione: un batterio, forse, oppure un fungo. Fino a venerdì 21 aprile, Berlusconi aveva ancora bisogno di ossigeno “ad alti flussi”, con il supporto della maschera per respirare (non del casco Cpap).

Dall’altra parte c’è la follia delle voci romane che, a più riprese, hanno dato il fondatore di Forza Italia per morto. E’ successo innanzitutto il 6 aprile, il giorno dopo il ricovero, quando a metà mattina le redazioni politiche hanno cominciato a mandare messaggi allarmati ai giornalisti inchiodati davanti all’ospedale: “E’ morto, lo comunicheranno a borsa chiusa”. Bufala grave e molto triste. Purtroppo, quando si parla del corpo di Berlusconi, per anni portentoso strumento di comunicazione politica, fulcro di processi, vanto e oggetto di scherno, facilmente le voci sussurrate diventano venticello, poi tuoni in lontananza, poi paurosi diluvi, infine notizie (false) da smentire.
Del resto Berlusconi è entrato in ospedale con un quadro che ai medici e ai famigliari è apparso ben più drammatico di quanto fatto trapelare all’opinione pubblica, e la mancanza di trasparenza iniziale ha aiutato i complottismi. La leucemia segnava globuli bianchi a un livello di almeno 9 volte superiore alla norma, 90mila unità per microlitro di sangue.
Crisi respiratoria, polmonite, versamento pleurico che richiedeva drenaggio, insufficienza renale. E paradossalmente proprio l’invenzione della morte nascosta, quel mattino del 6 aprile, ha costretto i medici e la famiglia a produrre un primo bollettino ufficiale che, nel dare conto di una situazione grave e confermando la leucemia e l’infezione polmonare, metteva in luce un punto fermo fermissimo: Berlusconi era vivo, e dunque basta panzane, basta riferimenti ai mercati, basta aggiottaggio politico ed emotivo.

E’ servito relativamente: nel giorno di Pasqua di nuovo voci false sulla presunta morte, ovviamente non avvenuta. Curioso che i rumours più drammatici arrivino sempre da ambienti politici.
I successivi due bollettini sono serviti a placare l’opinione pubblica, comunicando miglioramenti, anche sensibili. L’uscita dalla terapia intensiva, l’esito positivo di qualche esame. “E’ il messaggio che si deve far arrivare”, commenta una fonte. Un po’ come le dichiarazioni a tratti surreali, arrivate da politici di maggioranza, di un Berlusconi apparentemente attaccato ininterrottamente al telefono per chiaccherare con amici parlamentari e di governo, impartire direttive, infondere speranza. A molti cronisti è venuto il sospetto che di quelle telefonate ne siano avvenute, a essere estremamente ottimisti, la metà.
L’ultimo bollettino medico, 23 parole in tutto, sembrava scritto al solo scopo di far calare l’attenzione delle redazioni già stanche, dopo la sbornia di allarmi delle prime settimane di ricovero.
Tra notizie addomesticate, telefonate inventate e bufale terrorizzanti, alla fine i messaggi più sinceri ed efficaci sono quelli dei famigliari di Berlusconi. Quel “è un leone” di Piersilvio, quel “ce la farà anche questa volta” di Paolo, quel pollice alzato di Luigi. Per finire, un sincero in bocca al lupo a Silvio da coloro che certamente hanno beneficiato dei posti di lavoro creati dai suoi governi: quelli dei cronisti giudiziari che hanno seguito i suoi processi. Stagione archiviata e irripetibile.

Lo scandalo pedopornografico che non lo era
Bastoni condannato a risarcire, Fidanza alla Consulta


Di porno non c’era nulla, di bambini ancora meno. Ma l’equivoco di “Porno per bambini” (neppure titolo della mostra di disegni ma firma dell’artista ospite del Santeria di viale Toscana, a dicembre 2018), aveva innescato i più scatenati sostenitori milanesi del “giù-le-mani-dai-bambini”. I quali, forse non capendo, oppure capendo benissimo, su quell’equivoco avevano messo in piedi una scivolosa campagna “anti-pedopornografia”.
E così gli accusatori diventano accusati. Anzi, condannati, in primo grado. L’ex consigliere regionale leghista Max Bastoni, allora a palazzo Marino, difeso dagli avvocati Annibale Perrone e Roberto Sperandeo, prende 5mila euro di multa (il pm aveva chiesto 200). In un post su Facebook parlava della mostra di disegni scrivendo: “E’ evidente ormai che certi personaggi trovano nella Milano con la #sinistra al governo un terreno fertile per le loro schifezze omo/pedofile. E’ ora di dire basta, mandiamo a casa #Sala con i suoi ‘amichetti’”. Una multa, ma la pena non viene sospesa, perché, come risulta dal casellario giudiziario, Bastoni ha due precedenti, pur di poco conto. Uno del lontano 2002, a Torino, con pena di due mesi e 20 giorni convertiti in multa e infine indultati per “danneggiamento seguito da incendio”. L’altro del 2008, per “apertura abusiva di luoghi di pubblico spettacolo”, per cui ha ricevuto un decreto penale di condanna, saldato nel 2016 con 419,50 euro.

Anche il blogger Cristiano Puglisi, allora vicepresidente forzista del consiglio comunale di Arcore, difeso dall’avvocato Marco Martini, è stato condannato come Bastoni alla multa di 5mila euro dal giudice della 7a sezione penale Mattia Fiorentini. Sul suo sito aveva postato un commento di questo tenore: “si sarebbe potuta gustare una mostra inneggiante alla pedofilia, dal sapore orrido e vagamente demoniaco”. Per lui multa, ma con pena sospesa e non menzione, a patto che risarcisca le parti offese.
Percorso diverso per l’europarlamentare di Fratelli d’Italia Carlo Fidanza, al tempo dei fatti deputato. “Una mostra che con immagini di dubbio gusto e sicuramente ambigue non avrebbe fatto altro che legittimare la pedopornografia”, aveva commentato in un video, girato proprio davanti al locale, con in mano la locandina della mostra, pochi giorni prima dell’inaugurazione. E ancora: “chiediamo di vigilare su quello che viene svolto nei locali che (il Comune, ndr) dà in concessione ma soprattutto vogliamo difendere i bambini e la loro innocenza da questi pazzi che la vogliono violare”.
Quando il titolare del locale, spiega il giudice in motivazione, cerca Fidanza per chiedergli di rettificare, lo staff del politico gli risponde che non avrebbe tolto il post “in quanto aveva generato moltissime visualizzazioni”.
La Camera aveva negato l’autorizzazione a procedere. Il giudice Fiorentini ha però sollevato un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, quindi la questione finirà davanti alla Corte Costituzionale.


Intanto Bastoni e il blogger dovranno anche risarcire in solido, con 10mila euro ciascuno, il titolare del Santeria, Andrea Pontiroli, e l’artista, Eduardo Stein Dechtiar, bassista dei Selton. Cinquemila andranno alla società titolare del locale. Altri 6mila e rotti serviranno a rifondere le spese processuali sostenute dalle parti civili con gli avvocati Chiara Parisi e Roberto Dissegna.
La diffamazione al tempo della facile indignazione social, del resto, genera mostri. Quando “la gogna mediatica” prende piede, argomenta il giudice, i commenti  offensivi e minatori diventano “inarginabili”. Allo staff del Santeria e all’artista, dopo l’annuncio della mostra, erano arrivate “centinaia e centinaia” di messaggi, email, telefonate. Il locale viene minacciato di danni, i suoi dipendenti “di aggressioni fisiche”, si legge in sentenza. Messaggi come “siete pedofili di merda”, “dovete morire, “dovete bruciare”, “vi uccideremo tutti”, “quando andate a casa state attenti”. In alcuni casi gli autori si palesavano come esponenti di Forza Nuova o di Casa Pound. Visto il clima, il locale aveva deciso di annullare la mostra. Del resto, aveva spiegato Andrea Pontiroli del Santeria, la situazione era diventata “drastica e drammatica, con il personale che piange, con persone che non vogliono più venire a lavorare perché hanno paura”. Circostanze confermate in aula dai dipendenti.
Bastoni e Puglisi, scrive il giudice nel motivare le condanne, per finalità prettamente politiche, “cavalcavano l’onda dell’indignazione sollevatasi, alimentando in tal modo il clima di odio e violenza già in atto”.
Nell’equivoco, spiega il giudice in motivazione, era caduto soltanto chi “si era approcciato alla notizia con pregiudizio o finalità secondarie”: la “strumentalizzazione politica”, “la ricerca di un pretesto per ricorrere a intimidazioni e violenza”, la superficialità, “il bigottismo”, la “strumentalizzazione ideologica”. O semplicemente “la mediocrità”.

Il fantomatico complotto giudiziario della ‘particella 463′
e la giustizia sotto scacco per la denuncite incatenata

Denunce a raffica, anni di indagini, procuratori capo indagati insieme a giudici, poliziotti, vigili urbani, militari della Gdf. E poi decine di legali impegnati, udienze in tre distretti di corte d’appello. Sarà il nuovo maxiprocesso alla mafia? Il Watergate italiano? No, è solo la particella 463, foglio XYZ del catasto dei terreni di Biella, con il suo fantasmagorico potenziale giudiziario. Grazie alla pervicacia di una coppia di coniugi, uno dei quali avvocato, e al loro allegro uso delle denunce-matrioska per abuso d’ufficio, da anni tiene sotto scacco la giustizia di Biella, Alessandria, Milano e Brescia, determinando un impegno di risorse e tempo – qualcuno lo definisce apertamente spreco – con pochi precedenti in Italia.

La storia inizia anni fa. La coppia accusa un vigile urbano di essersi illecitamente introdotto nella particella catastale 463. È solo il primo degli episodi. Di asserite invasioni di campo ce ne saranno altre. Ma c’è anche una delibera comunale da cui si evince che una porzione di quel terreno, a uso vicinale, è transitabile. La coppia denuncia 20 consiglieri comunali. Quando la procuratrice capo di Biella, Teresa Camelio, chiede l’archiviazione per il vigile invasore, parte un’altra denuncia, questa volta per lei. Accusa: abuso d’ufficio. Finisce a Milano, competente sulle indagini che riguardino magistrati piemontesi. Poi altre denunce. E quando un giudice riunisce due procedimenti, ne parte un’altra, una specie di meta-denuncia, per abuso d’ufficio.

La coppia è indagata in un altro procedimento per atti persecutori. E allora i due denunciano il gup, accusandolo di aver omesso la notifica di una asserita nullità: ovviamente, abuso d’ufficio.

Accusano poi due legali per un’altra vicenda ai limiti del comprensibile, la presunta scomparsa di due foglietti scritti a mano su una ricevuta di notifica. Quando il pm di Alessandria chiede l’archiviazione, loro si oppongono, il gip archivia, e allora lo denunciano: indovinate per quale reato. Poi si rendono irreperibili per una notifica. Salvo poi denunciare due poliziotti e la procuratrice di Biella quando vengono dichiarati irreperibili. Ipotesi di reato, sempre quella lì.

E quando due dei loro arditi procedimenti vengono riuniti e archiviati, partono denunce per la procuratrice, una sua sostituta, e una giudice di Biella: non potevano farlo, sostengono, è un abuso. Vanno poi all’attacco di altri due avvocati. E quando si va verso l’archiviazione loro denunciano di nuovo procuratrice e giudice.

A fine 2019 vengono rinviati a giudizio per atti persecutori e allora la donna, il giorno dopo, in altra udienza, si avvicina alla giudice: “Ci sono rimasta proprio male ieri. Da lei proprio non me l’aspettavo. Pensavo di aver trovato in lei finalmente un giudice che capisse la situazione”. A quel punto il magistrato chiede di astenersi dal procedimento. La presidente del Tribunale, Paola Rava, accoglie la richiesta. Et voilà l’aspirante campionessa biellese di querele-matrioska denuncia anche l’alto magistrato, questa volta per diffamazione.

Tutto ciò, e molto altro, per un totale di 13 fascicoli scaturite da molte più denunce, finisce a Milano. Il pm Paolo Filippini riunisce e chiede l’archiviazione. Loro si oppongono, naturalmente. Si racconta di un’udienza scoppiettante, a settembre scorso, con decine di avvocati arrivati da mezzo Piemonte in via Freguglia e nervosetti per l’evidente perdita di tempo. Anche questa volta, l’opposizione finisce come previsto. Archiviazione concessa e motivata il 21 dicembre scorso, non senza reale uno sforzo di umana comprensione nei confronti dei denuncianti per il loro “profondo senso di frustrazione, ingiustizia e insofferenza”, come scrive la gip di Milano Lorenza Pasquinelli, la quale dà atto del “clima teso” e della diffidenza reciproca accresciuta negli anni tra il mondo giudiziario biellese e la coppia di denuncianti. Tale è l’accuratezza e la mancanza di pregiudizio del gip milanese, che per una delle 13 denunce dispone ulteriori accertamenti al fine di ascoltare i potenziali testimoni di un bizzarro episodio di “sequestro di persona” da parte di appartenenti alla Gdf, di cui l’avvocato dice essere stata vittima insieme a un’amica.

Potete immaginare come prosegue la storia. Il pm milanese Filippini è stato denunciato a Brescia. Verrà con ogni probabilità archiviato. Ma scommettiamo che la vicenda si sposterà poi a Venezia? E in seguito? Piccolo consiglio all’ex pm milanese Sandro Raimondi, ora a capo della procura di Trento: inizi silenziosamente a portarsi avanti studiandosi la vicenda, qui su Giustiziami.

Differenze di trattamento del caso di Roma Termini e del figlio di Salvini

 

Tema numero uno. Un uomo probabilmente affetto da disagio psichico, senzatetto, vagabondo, straniero, qualche precedente di polizia, accoltella una turista a Roma. Due bravi carabinieri fuori servizio lo individuano a catturano, in stazione Centrale a Milano, martedì 3 gennaio.

Fermo di polizia giudiziaria. La mattina dopo, mercoledì 4 gennaio, il pm di turno chiede la convalida del fermo e attorno a mezzogiorno la invia al gip. Il giudice fissa l’interrogatorio per le 3 di pomeriggio dello stesso giorno. Alle 18.00 le agenzie scrivono che il fermo è convalidato, alle 18.30 aggiungono i primi dettagli sul provvedimento. Sono passate esattamente 24 ore dal fermo.

Intanto per tutta la mattina e il pomeriggio molti giornalisti attendono di poter intervistare i due carabinieri. Loro sono disponibili, il comando pure, ma ci vuole l’autorizzazione della Procuratore capo, da cui dipende praticamente ogni comunicazione giudiziaria, in seguito alla riforma Cartabia. Ma se non c’è neanche un comunicato sul fermo, figuriamoci se sono autorizzate le interviste.

La nota arriva alle 16.45, autorizzata dalla Procura di Roma. Comunica che l’uomo è stato arrestato – cosa che tutti sanno dalla sera prima – aggiungendo pochissimi dettagli. I giornalisti vengono fatti entrare in caserma all’istante, per intervistare i due militari.

Tema numero due. Il figlio di un ministro viene rapinato per strada da due giovani nordafricani. E’ il 23 dicembre, due giorni prima di Natale. Non è un caso difficile da risolvere, e la parte offesa, accompagnata dal padre in Questura, dà pronta e utile collaborazione. Il 5 gennaio i due rapinatori vengono arrestati, con misura di custodia cautelare firmata dal gip, su richiesta del pm. Sono passati 13 giorni dal fatto. Alle 17.25 del 5 gennaio l’arresto viene comunicato con una tempestiva nota ufficiale.

Dica il candidato (avvocato, giornalista):

- Quante volte ha assistito in vita sua a tempstiche così rapide tra un fermo di pg e la sua convalida.

- Quanto spesso tra la consumazione di un reato e l’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare passano meno di 15 giorni.

Determini il candidato (avvocato, giornalista)

- Il livello di disfunzionalità e di ipocrisia istituzionale del sistema di comunicazione affidato ai soli comunicati dei Procuratori della Repubblica. (nino di rupo)