giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Viola confermato capo pm, la grande sconfitta di Md

Il Consiglio di Stato ha confermato in via definitiva Marcello Viola come capo della procura di Milano rigettando il ricorso di Maurizio Romanelli ex aggiunto nel capoluogo lombardo e da poco nominato a capo dei pm di Bergamo. La decisione conforme a quella che aveva preso il Tar chiude una lunghissima vicenda di lotta tra le correnti dell’Associazione nazionale magistrati che aveva fatto registrare anche roventi polemiche.

Il Consiglio di Stato la rilevato come correttamente il Csm avesse riconosciuto la maggiore rilevanza delle funzioni direttive svolte da Viola, considerando “di minore rilievo l’esperienza semidirettiva svolta da Romanelli presso la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo in ragione della sua durata di poco superiore al biennio, della sua mancata sottoposizione al vaglio della procedura quadriennale di conferma e delle modalità del suo conferimento”.
Inoltre l’incarico semidirettivo di procuratore aggiunto pur se svolto da Romanelli nell’ufficio messo a concorso non fosse di per se idoneo a superare le esperienze dirette vantate da Viola.

La delibera del Csm di due anni fa “va condivisa perché la stessa illustra in dettaglio le ragioni della prevalenza di Viola sotto i profili del lavoro giudiziario, organizzativo, delle esperienze di rilievo ordinamebtale e di quelle in ambito formativo”.

Maurizio Romanelli era sostenuto dalla corrente di Magistratura Democratica, la stessa di cui avevano fatto parte i due ultimi capi della procura milanese Francesco Greco e Edmondo Bruti Liberati. C’era bisogno di una inversione di rotta anche a livello politico che portava tra l’altro a interrompere dopo decenni la prassi di un procuratore capo proveniente sempre dal palazzo di giustizia di Milano.

Secondo il Consiglio di Stato “nessuna delle censure dell’appello te si mostra suscettibile di positivo apprezzamento, non riuscendo le stesse e inficiare la legittimità della procedura per cui è causa e del suo esito favorevole a Marcello Viola”.

La prevalenza di Marcello Viola ex pg a Firenze è stata considerata netta. Magistratura Democratica che riteneva la procura di Milano una sorta di suo feudo è stata la grande sconfitta di una lunga tenzone. E va ricordato che i periodi legati alla direzione di Bruti Liberati prima e Greco poi erano stati caratterizzati da molte polemiche. Lo scontro tra Bruti e l’allora aggiunto Alfredo Robledo. Infine la spaccatura dell’ufficio inquirenti in relazione al caso Eni-Nigeria con le divergenze (eufemismo) tra Paolo Storari e Fabio De Pasquale sfociate poi nel processo di Brescia dove i due in aula se ne sono dette di tutti i colori.
(frank cimini)

Israele “dimentica” le torture citate dai giudici italiani

Le autorità israeliane rinunciano almeno per il momento a ottenere la consegna di Yaeesh Anan accusato di terrorismo e spiegano di farlo perché il giovane palestinese è indagato in Italia per gli stessi fatti e si trova tuttora in carcere. Nella motivazione della loro iniziativa di cui ha preso atto la corte di appello dell’Aquila non c’è il minimo accenno a un particolare fondamentale.
I giudici italiani nel negare l’estradizione chiesta allora da Israele avevano indicato tra i motivi del rigetto le ricorrenti torture alle quali sono sottoposti i palestinesi in Israele.
Per cui spiegava la corte di appello Anan una volta estradato avrebbe corso seri rischi per la propria incolumità.
“Israele ha dimenticato di menzionare la circostanza ostativa delle torture praticate nelle sue carceri contro i palestinesi. La cui ricorrenza aveva indotto la corte di appello a dichiarare Anan non estradabile – dice l’avvocato Flavio Rossi Albertini – Ma si sa che l’unica democrazia in medioriente soffre di amnesia selettiva“.
“Alla luce dell’esistenza di indagini italiane in corso le autorità israeliane desiderano – si legge nella comunicazione inviata – in questa fase di ritirare la domanda di estradizione e si riservano il diritto di ripresentarla in una fase successiva nel caso scelgano di farlo. Vorremmo ringraziare le autorità italiane per il loro impegno e assistenza in questo caso e ribadiamo la nostra disponibilità a una continua collaborazione tra i due paesi”.
Insomma Israele fa finta di niente rispetto al fatto che un paese amico dica esplicitamente che da quelle parti in mediooriente i detenuti vengono torturati per cui non si fida di consegnare persone accusate di terrorismo.
Va ricordato che Anan e altri due palestinesi sono stati arrestati in riferimento ai loro comportamenti sul web e sospettati di essere in procinto di compiere attentati. Ipotesi ovviamente tutta da dimostrare. Ma intanto stanno in carcere. Yaeesh Anan ha perso la libertà ma nel caso fosse stato estradato in Israele avrebbe rischiato di perdere molto di più. Questo è stato detto con il timbro di una corte di appello del nostro paese. Non è poco. Anzi.
(frank cimini)

Sul 41bis di Cospito giustizia in corto circuito

Sul 41bis di Alfredo Cospito confermato dalla Cassazione che ha respinto il ricorso del difensore la giustizia riesce ad andare in corto circuito con una motivazione che risulta il massimo della contraddittorietà. I supremi giudici da una lato citano le parole della procura nazionale antimafia e antiterrorusmo secondo cui Cospito pur da detenuto “continuava a compiere condotte apologetiche della violenza anarchica”.
Dall’altro lato viene letteralmente bocciato il parere della stessa Dna che dava atto di una ridotta pericolosità dell’anarchico e concludeva per sostituire il regime del 41bis con quello dell’alta sorveglianza un gradino appena più sotto mantenendo la censura sulla corrispondenza.
Secondo la Cassazione il parere della Dna “seppure particolarmente autorevole non costituisce un ‘fatto nuovo’ ma piuttosto una valutazione di carattere meramente giuridico come tale non decisiva ai fini della revoca anticipata del regime carcerario di cui si tratta”.
Insomma la Cassazione gira e rigira la frittata affinché Alfredo Cospito sia seppellito vivo. Nemmeno le sentenze che avevano dichiarato insussistente l’associazione sovversiva nei procedimenti “Bialystock” e “Sibilla” non influiscono in alcun modo sulla “operatività della Federazione Anarchica Informale”.
Per la Suprema Corte non c’è stata nessuna violazione di legge perché la motivazione del Tribunale di Sorveglianza di Roma non risulta mancante avendo dato risposta a tutte le argomentazioni contenute nella richiesta di revoca anticipata.
Il ricorso viene così dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato a pagare le spese processuali e 3000 euro in favore della cassa delle ammende.
La Cassazione spiega la sua decisione facendo riferimento al ruolo di Alfredo Cospito “descritto come figura di vertice del movimento anarchico insurreziinalista Fai-FRI “ancora attivo e pericoloso”.
Gli eventi prospettati dalla difesa di Cospito per la Cassazione “erano già stati valutati in sede di ricorso avverso il decreto genetico del regime speciale oppure non potevano considerarsi nuovi e come tali indicativi del venir meno delle condizioni poste a fondamento di detto provvedimento prima della sua scadenza naturale”.
La realtà è che Cospito viene considerato ancora più pericoloso dopo il lunghissimo sciopero della fame che ne avrebbe aumentato il carisma nell’ambito dei movimenti anarchici. Insomma siamo alla creazione di una sorta di nuovo reato, “il digiuno a scopo di terrorismo”. Per cui reclami e ricorsi non servono. La continuazione dell’ apologia della violenza anarchica serve a confermare il regime del 41bis tradendolo e travisandolo nello spirito e nella lettera perché il regime speciale dovrebbe (condizionale d’obbligo) servire esclusivamebte a impedire contatti con le organizzazioni esterne. L’apologia insomna è un alibi perché non sanno che pesci pigliare.
(frank cimini)

Processo politico Cospito condanna confermata 23 anni

La Cassazione ha confermato le condanne di Alfredo Cospito a 23 anni di reclusione di Anna Beniamino a 17 anni e 9 mesi come aveva sollecitato il procuratore generale Perla Lori spiegando che la sentenza della corte di assise di appello di Torino aveva ben interpretato i fatti ed era corretta. La Suprema Corte ha rigettato sia il ricorso della procura generale di Torino tendente a ottenere la celebrazione di un nuovo processo di appello per aumentare le pene ai due anarchici sia quello delle difese che avevano presentato eccezioni di incostituzionalità. Anche le difese puntavano a celebrare un altro appello per ottenere riduzioni di pena.

Si chiude così la vicenda dei pacchi bomba di Fossano del 2006 nei pressi della scuola carabinieri che non provocarono morti e nemmeno feriti. La procura generale di Torino si era battuta per l’ergastolo a Cospito e per una condanna a 27 anni per Beniamino spiegando che solo per un caso non c’erano state vittime.

Cospito è detenuto nel carcere di Sassari Bancali sottoposto al regime del 41bis ed era stato protagonista di un lungo sciopero della fame proprio perché protestare contro il carcere duro. Anna Beniamino reclusa a Rebibbia aveva interrotto invece il digiuno per ragioni di salute.

Durante l’udienza in Cassazione c’era stato un presidio degli anarchici in solidarietà con Cospito e Beniamino. Su uno striscione la scritta “Fuori Alfredo dal 41bis” e su un altro “Con Alfredo Cospito per la solidarietà internazionale”. La notte precedente tre cassonetti venivano messi in mezzo alla strada in zona Tuscolano e dati alle fiamme con tentativi di appiccare il fuoco a un postamat e di sfondare la entrata di una banca. Sui muri sono state trovate scritte legate ad ambienti anarchici. Gli inquirenti seguono la pista delle proteste contro il 41bis che si svolgono spesso in coincidenza delle scadenze processuali di Cospito.

Nei giorni scorsi a Torino erano state emesse diverse misure cautelari tra arresti domiciliari e obblighi di dimora e di firma in relazione agli incidenti del 4 marzo 2023 durante una manifestazione di solidarietà con Cospito.

Cospito aveva di recente dal tribunale di sorveglianza ottenuto la possibilità di disporre di un Cd per ascoltare musica nel carcere di Sassari ma non ne dispone ancora perché i vertici della prigione sostengono di non riuscire a reperire un lettore di Cd. I suoi avvocati inoltre hanno presentato reclamo contro il trattenimento di alcune missive dirette all’anarchico per decisione prese a Sassari e dalla corte di asse di appello di Torino.
Insomma alla vigilia del 25 aprile trionfa il fascismo dell’epoca moderna con la tortura del 41bis. Ora c’è pure il timbro della Cassazione.
(frank cimini)

Perché non è giusto scrivere i nomi degli agenti del Beccaria


 

C’è un ragazzo che chiede un accendino. L’agente risponde “Ma perché mi rompi i coglioni?”, gli tira un pugno in un occhio e poi arrivano altri con la divisa. In quattro lo buttano a terra, calci e pugni. Il ragazzo piange, sanguina dalla bocca. C’è n’è un altro che gli resta sulla nuca l’impronta della punta di uno stivale mentre il sangue gli cola dal labbro. Gli agenti si fermano solo perché arriva la direttrice che ordina di sfilargli le manette. Le manette in un carcere si dovrebbero vedere solo in casi eccezionali. Nell’inchiesta sul carcere Beccaria vengono evocate spesso: le manette sulle mani dietro  la schiena dei giovani detenuti, nudi, gettati al suolo, legati a un tavolo.

“I nomi e cognomi di questi 13 poliziotti penitenziari arrestati andrebbero elencati uno per uno” dice qualcuno, con gli occhi sulle carte e un sincero sbigottimento nella sala stampa del tribunale. Molti dei venticinque indagati hanno tra i trenta e i quarant’anni, sono persone che per lavoro si sono trasferite a Milano. Quando hanno messo per la prima volta la divisa profumata di fresco e sono entrati al Beccaria pensavano di diventare dei crudeli fustigatori di ragazzini? In conferenza stampa viene spiegato che la percezione di alcuni degli indagati era che fosse normale reagire alle ‘vivacità’ dei giovani con “uno schiaffo educativo” che poi nella realtà descritta nell’ordinanza sarebbero state delle torture. E’ importante rispondere alla domanda sulle ambizioni di questi uomini e una donna quando hanno iniziato a lavorare al Beccaria. Non crediamo che  la metà degli agenti in servizio  siano entrati in un carcere minorile per fare quello di cui sono accusati.  Nell’ultimo report del garante dei detenuti Francesco Maisto affiorava l’immagine dei ragazzi in isolamento che pranzavano coi piatti sulle ginocchia perché il refettorio non funzionava e nelle celle non c’erano nei tavolini. Si spiegava anche che molti di questi ragazzi in teoria sarebbero destinati alle comunità che però non li prendono perché non hanno posto o sono casi molto problematici o sono minori non accompagnati. Com’è stato possibile che per due anni il Beccaria sia diventato un ring di continui combattimenti, col sangue versato in terra (“E’ normale al Beccaria essere picchiati” afferma  un ragazzo intercettato), stanze riservati ai pestaggi, urla di dolore, reclusi che si aggiravano con lividi ed ematoni per i corridoi? Oltre ai ‘soldati semplici’ c’è un solo indagato, per falso, ed è una persona che per un periodo ha comandato la polizia penitenziaria. Può essere anzi è probabile che l’inchiesta non sia finita qui.

“Ci andrei cauto a sostenere che ci fosse un’organizzazione” afferma intanto il procuratore Viola. In effetti non viene contestata un’associazione a delinquere. Esiste però un mondo oltre la giustizia penale ed è il carcere dei 32 suicidi di detenuti, quattro di agenti, degli omicidi in cella e della sofferenza senza numero di questo inizio 2024. Della mancanza di personale, di agenti che devono fare le guardie, gli psicologi e gli educatori perché sono pochi gli psicologi e gli educatori, di agenti che non hanno una formazione adeguata nemmeno per fare gli agenti.

Esistono delle responsabilità politiche maturate almeno negli ultimi 20 anni chiare, precise e concordanti. Il buio oltre le sbarre, il buio senza ritorno. Ecco perché no, l’elenco di nomi e cognomi degli agenti non va fatto se prima non vengono fatti a caratteri cubitali quelli di chi ha amministrato la giustizia da 20 anni. Se gli agenti saranno giudicati colpevoli, pagheranno col carcere a loro volta, perderanno il lavoro, porteranno un’onta indelebile sulle spalle.  Ma il carcere non cambierà col loro carcere.  Solo la politica e la coscienza civile di un Paese possono. E far entrare lì dentro quella che ora sembra una caverna i cittadini e i giornalisti. Fare luce, il più possibile e subito.

(manuela d’alessandro)