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giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Gli indegni volantini a Milano contro il cronista Faieta, è il momento di dire basta

 

In questi giorni sono apparsi in diverse zone della città centinaia di volantini che raffigurano il volto del cronista di ‘Milano Today’ Alfredo Faieta con le orecchie d’asino, un lungo naso e le parole: ‘Niente di quello che ho detto è mai successo! Credibilità zero ma coerenza nel mentire dieci e lode, i migliori fantasy scritti male’.  In  fondo un avvertimento anche alla sua testata: ‘Milano Today mai pensato di dire la verità?. Magari una volta, per provare com’è?’.

Era da molto tempo che a Milano un giornalista non veniva preso di mira e peraltro avviene con una modalità subdola, vile e odiosa, rendendo molto complicato identificare chi sia l’autore. Faieta scrive da anni con passione e scrupolo inchieste pubblicate nella sezione ‘Dossier’ di Milano Today, una delle poche entusiasmanti novità nel campo editoriale per il lavoro di scavo nelle notizie e ricerca di approfondimenti originali oltre la fatuità delle news. Negli ultimi mesi si è occupato per lo più di urbanistica cittadina e di costruttori ed è lì, in quel contesto, che probabilmente i suoi articoli possono avere dato fastidio a qualcuno. Qualcuno che avrebbe potuto difendersi in molti altri modi civili e rispettosi della libertà di stampa, nel merito di quanto scritto, e invece ha scelto questa strada indegna.

Faieta ha denunciato alla Guardia di Finanza e segnalato all’Ordine dei Giornalisti ma i volantini continuano a proliferare. E’ il momento di dire basta.  (manuela d’alessandro)

I pm che indagano su Venditti e Garlasco ammettono l’utilità del processo mediatico

Il processo mediatico finalmente certificato da una Procura che anzi ammette di volersene appropriare per far decollare le indagini.

Succede nell’anfiteatro di Garlasco dove i pubblici ministeri di Brescia costretti dal Riesame, dopo una prima bocciatura, a dover precisare meglio le modalità del sequestro dei dispositivi elettronici del loro ex collega Mario Venditti e di due ex carabinieri, ammettono che alcune prove, o perlomeno elementii utili, potrebbero arrivare proprio grazie al processo mediatico.

Che spesso le Procure facciano trapelare dettagli delle inchieste per vedere cosa succeda ‘là fuori’ non è una novità ma con Garlasco siamo proprio alla schietta confessione.

Sentite qua. La “verosimile presenza di contatti e conversazioni, avvenute in qualsivoglia modalità (testuale, vocale, fotografica, etc.), aventi ad oggetto lo svolgimento anomalo delle indagini della Procura di Pavia su Sempio è ulteriormente corroborata dall’imponente eco mediatica che la vicenda ha avuto nell’ultimo anno e mezzo, elemento che supporta l’ipotesi di presenza, all’interno dei dispositivi in sequestro, di nuove conversazioni utili a ricostruire i fatti e le connesse responsabilità”.

E ancora, scrivono i magistrati secondo i quali Venditti si sarebbe fatto corrompere, “di estrema utilità potrebbe rivelarsi l’individuazione e l’acquisizione dei contenuti delle cosiddette ‘device notification’, cioé delle anteprime dei messaggi di testo inviati per il tramite di applicazioni di messaggistica istantanea, acquisibili anche laddove le relative chat fossero state medio tempore cancellate; ipotesi tutt’altro che remota, alla luce delle considerazioni sopra esposte sull’eco mediatica dell’indagine e della discovery della stessa”.

Del resto qualche settimana fa il compassato procuratore pavese, Fabio Napoleone, aveva ritenuto di sfruttare la facoltà prevista dalla legge Cartabia di scrivere comunicati per i media in casi di interesse pubblico, per rispondere  a mezzo stampa a quanto dichiarato dall’avvocato Lovati nella trasmissione ‘Falsissimo’ di Fabrizio Corona.

Accogliamo la ‘confessione’ della Procura di Brescia come un segno del tempo perché, diciamolo, alla trasformazione di questo polveroso romanzo in soffitta da anni in palpitante poema poema epico-mediatico con tutte le distorsioni del caso hanno contribuito tutti, ma proprio tutti: giornalisti, avvocati e inquirenti. Non ci sono sassi da lanciare. (manuela d’alessandro)

Lo Stato ha trovato il posto per il detenuto obeso: una bara

Il detenuto De Leo che pesava 265 chili aveva un corpo troppo grosso per la cella, per la sala colloqui, per un letto, per respirare. Così grosso che lo Stato non ha saputo come fare a fargli scontare la pena. Ci ha provato in tutti i modi accanendosi con un’ostinazione  oscena.

Gli ha fatto fare il giro d’Italia perché da qualche parte ci doveva entrare, come se lo si potesse piegare, stirare e mettere in un cassetto, bastava soltanto trovare il cassetto giusto e via quel pensiero ingombrante. Lo ha infilato a Genova, al Marassi. Gli ha dato una carrozzina elettrica per girare ma girare non poteva perché era troppo grosso lui e anche la carrozzina. Lo ha trasferito al carcere di Cuneo ma lì gli hanno detto che non poteva entrare perché era troppo grosso per le celle che avevano e allora l’hanno portato all’ospedale Santa Croce di Cuneo sorvegliato giorno e notte perché chissà dove sarebbe potuto scappare. Un sindacato della polizia penitenziaria si è arrabbiato perché per lui si toglievano dieci agenti alla casa circondariale che, come tutte, ha i poliziotti contati. Ma era sempre colpa dell’uomo troppo grosso. A un certo punto è finito pure in una residenza per anziani anche se aveva solo 50 anni.  Infine l’hanno spostato al Lorusso e Cotugno di Torino.Dieci giorni fa è riuscito a telefonare al suo legale Luca Puce.

“Avvocato, sono sempre disteso non mi alzo mai”. “Com’è il materasso?” ha chiesto l’avvocato che lo conosce da tanti anni e gli era affezionato. “E’ sottile, sottilissimo”.  La mattina del 20 ottobre il cuore del detenuto De Leo si è fermato. Il suo corpo troppo grosso ha trovato il posto giusto dove per lo Stato doveva stare. Una bara. (manuela d’alessandro)

L’appassionata arringa del legale di Venditti
Contro giustizia-show e doping giudiziario

Se oggi accettiamo di continuare ad anteporre lo show al sistema giustizia non facciamo altro che avvalorare la tesi per cui la giustizia sia subordinata ai media e all’audience. Non è possibile. Ieri una trasmissione ha inseguito il mio assistito dalla mattina alla sera. Poi ha presidiato per sei l’ingresso del mio ufficio. Il mio assistito ha dei diritti, non si può aggredirlo”.

In un’appassionata conferenza stampa domenicale, Domenico Aiello, legale di Mario Venditti, si scaglia contro il martellamento mediatico su Garlasco, su Venditti, e pure su Andrea Sempio, in corso in questa Italia in cui, dice prima erano solo tutti “ct, poi tutti infettivologi o pneumologi, poi esperti di guerre internazionali, e infine adesso adesso tutti criminologi e genetisti, tutti!”.

E chiede guardare con lucidità e comprensione umana all’intera storia di Garlasco. “Immaginate come si sente la madre della povera Chiara Poggi quello che ha dovuto subire a quasi vent’anni dalla morte della figlia”.

E qui fa un ragionamento che non riguarda solo i media, ma la sua stessa professione. Su Garlasco, ricorda, da anni sono andati “esauriti tutti i mezzi di impugnazione ordinari straordinari, nazionali, europei: tutti legittimi, perché la difesa di un condannato per omicidio ha diritto a esperire ogni mezzo di impugnazione per dimostrare un errore. Ma l’errore – lamenta – nel nostro ordinamento si dimostra con le regole in aula, non sui media. Altrimenti passa il messaggio che la giustizia viene costruita nei talk show. Ma la giustizia non sarà mai opinione, non si esercita a maggioranza, attraverso la simpatia o l’antipatia dei personaggi, delle comparsate. Dobbiamo restituire centralità, dignità, decoro, a quello che facciamo”. Di chi parla Aiello?

Eccovi indizio. “Noi avvocati abbiamo anche l’obbligo di disincentivare le azioni temerarie. Inutile proseguire con tentativi destinati ad affondare davanti a un giudicato della Cassazione e una sequela di ordinanze che rigettano una richiesta di revisione. Tutti tentativi più che legittimi – afferma – ma non devono essere motivati non dal doping dell’eco mediatica che generano”.

Conclusione: “Bisogna abbandonare, come in una sorta di eutanasia giuridica, questa ostinazione del cercare una verità diversa da quella stabilita dalla cassazione. Fare i conti con realtà”.
Se fossi Andrea Sempio io uno squillo ad Aiello per sondarlo lo farei.

Se il peso della prova è 73 tera

Quanto pesa la prova nel processo? E quanto costa? Dati e denari, quando sono troppi diventano un problema. A Ivrea, dove si istruisce il processo sulla strage ferroviaria di Brandizzo (5 lavoratori morti, investiti da un treno in corsa), gli allegati pesano 73 terabyte, e per metterli a disposizione delle parti, la procura dovrà sborsare diverse migliaia di euro, dopo aver superato lungaggini e questioni tecniche inedite.

Il problema è che al di là dei documenti ‘cartacei’, incluse le relazioni di pg e quelle dei consulenti, è stata depositata una mole di materiale video e audio. Talmente pesante, (73 tera, appunto) da rendere materialmente complicatissima la copia, tanto più in un ufficio non abituato a gestire inchieste così ampie e profonde. A fine luglio gli indagati hanno ricevuto la notifica di chiusura indagini, ma ancora non sono riusciti a vedere nulla di quegli allegati. Tanto che in piena estate la procura di Ivrea ha affidato a un consulente informativo il compito di risolvere il problema.

Risposta: offriamo due opzioni. O trasferiamo materialmente gli allegati, al costo di 54mila euro per i soli supporti, con “almeno 225 giorni” di attesa per le 15 copie richieste dalle parti. Oppure (scenario 2) carichiamo tutto su un cloud, per una spesa una tantum di 1500 euro iva esclusa per il ‘databox’, 2250 euro per il “servizio di storage”, 810 di prestazioni professionali, e poi 2000 euro al mese per la connettività sicura e il mantenimento del servizio.

Il tutto con garanzia di caricare tutto sul cloud in 25 giorni lavorativi. Insomma va via un altro mese. Si arriva a fine ottobre. A tre mesi dalla chiusura indagini. A risolvere tutto sarà una preziosa nuvola.