giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Dalle scopate del Cav a quelle del figlio di La Russa

I colleghi della giudiziaria da un bel po’ lamentano di avere poco da scrivere. Un importante pm chiosa: “Qui ormai ci sono solo reati sessuali, il tempo dei colletti bianchi è finito”. Volendo fare un battuta che suona anche come osservazione critica si può dire che nel tempio che fu di Mani pulite i pm sono passati dalle scopate di Silvio Berlusconi a quelle del figlio del presidente del Senato Ignazio La Russa.

O meglio al revenge porn di Leonardo Apache La Russa perché l’accusa di violenza sessuale dovrebbe essere archivista secondo la procura. La richiesta sembra ben argomentata e con ogni probabilità sarà accolta in autunno dal giudice per le indagini preliminari. Ma l’inchiesta su Apache resta un segno dei tempi magri a livello cronachistico. Insomma Milano e il suo palazzacciò non sono più caput mundi.

In verità non manca qualche inchiesta importante. Ma per esempio quella sugli abusi edilizi, con grattacieli che nascono dalla ristrutturazione di cortili non è ben vista (eufemismo) dagli editori dei giornali che sono pur sempre dei padroni e da quasi tutti i partiti. La maggior parte della politica è a favore della famosa legge “salva Milano” nel frattempo arenata in Senato e che in parole povere sarebbe un vero e proprio colpo di spugna, una sorta di insabbiamento.

Per cui se ne parla il meno possibile degli abusi e dei danni ai diritti dei cittadini ai quali viene sottratto spazio e aria in nome della necessità di favorire lo  sviluppo. Va detto che questa inchiesta quando la procura era in mano a Magistratura Democratica  non sarebbe stata possibile. Gli abusi edilizi in grande stile c’erano già ma non si poteva disturbare la giunta di centrosinistra. La moratoria delle indagini su Expo sta lì a dimostrarlo.
Milano ha perso per ora il primato del circo mediatico giudiziario. In pole position c’è la procura di Pavia con l’indagine bis su Garlasco che monopolizza l’attenzione generale tra prime pagine di giornali e tg passando per i talk show dove personaggi improbabili ne raccontano di tutti i colori. E parliamo di un’indagine dove almeno per adesso non è emerso nulla che possa portare a chiedere la celebrazione di un nuovo processo. In compenso però ci sono un sacco di laureati in Garlascologia una facoltà destinata forse a trovare una soluzione al problema della disoccupazione intellettuale.

(frank cimini)

La caccia alla presunta investitrice di un poliziotto nel Far West dei social

La foto segnaletica con lei di fronte e di profilo, i dati personali, l’ultimo domicilio conosciuto, una sintesi dei fatti, l’attribuzione certa di un reato. Mancano solo la scritta wanted e la taglia.

Nel far west di Facebook e di Instagram sta girando un appello indirizzato a iscritti e simpatizzanti. Un gruppo che si chiama “poliziottinoi”, pieno di immagini di persone con le divise dello Stato, ha pubblicato una sorta di avviso di ricerca della donna ritenuta responsabile di aver provocato l’incidente stradale costato la vita all’allievo vice ispettore Enzo Spagnuolo.

Sabato 28 giugno il ragazzo è stato travolto mentre era in moto a Falciano del Massico, in provincia di Caserta. La presunta investitrice indicata per nome e cognome, alla guida di una Fiesta, è fuggita senza fermarsi a prestare soccorso.. La pagina Fb rimanda con un link al sito della Polizia di Stato ed è piena di foto di personale in divisa. Tra i commentatori in molti si lamentano perché le segnaletiche non sono abbastanza chiare, chiedendone di più nitide, per agevolare la caccia.. E c’è chi spiega, motivando la definizione non ottimale degli scatti che si tratta di foto “diramata Canali interno Arma Cc”. Possibile? Chi ha davvero divulgato le fotografie e il resto al di fuori dei circuiti ufficiali? E chi tollera che girino in rete? Come se non bastasse, tra i commenti si leggono frasi che trasudano razzismo e sfiducia nella magistratura.
Interpellato via mail, ore dopo la pubblicazione del tutto, il dipartimento di Pubblica sicurezza dice che “sono in corso gli accertamenti necessari per dare le informazioni richieste”. La procura di Caserta per ora non ha risposto alle domande poste. (Lorenza Pleuteri)

Più armi nel Pil meno welfare indagini su anarchici a gogo

In poche ore arrestato a Roma Massimiliano Mori che gestiva due blog di idee e pratiche anarchiche compresa la pubblicazione di motivazioni di attentati per lo più dimostrativi per una accusa di istigazione a delinquere che in casi del genere non regge alla prova dei dibattimenti. La procura di Bologna ordina 15 perquisizioni in riferimento a fatti dell’aprile 2023. Due auto della polizia incendiate a Rimini, associazione sovversiva finalizzata al terrorismo. Il periodo incriminato è quello delle manifestazioni di solidarietà per Alfredo Cospito. Il pm che firma i provvedimenti è Stefano Dambruoso ex star del contrasto al fondamentalismo islamico che lo fece balzare sulla copertina di Time come il cacciatore numero al mondo di Bin Laden.

Da tempo Dambruoso si è specializzato sul fronte anarchico con risultati  molto scarsi, inchieste flop che manco arrivano in aula. Della campagna di solidarietà con Cospito faceva parte anche il corteo dell’11 febbraio 2023 che nei giorni scorsi ha portato a Milano a condanne fino a 4 anni e 7 mesi. Dopo una requisitoria show in cui i pm accusvano i manifestanti di essere vestiti “in modo aggressivo”.

Il contesto di queste notizie giudiziarie è quello in cui il governo italiano aderisce a Trump firmando la promessa di spendere per acquisto di armi il 5 per cento del Pil. Togliendo soldi a welfare e servizi nonostante la Sora Meloni affermi che non sarà cosi. Non è difficile ipotizzare in questa situazione un incremento almeno piccolo del conflitto sociale. Sul punto è stata già affidata la delega al decreto sicurezza. Piu galera per chi protesta nelle piazze. E per chi lo farà da già carcerato. Tutto si tiene.

Chi comanda sembra avere nostalgia degli anni ‘70. L’infinita emergenza italiana dopo mezzo secolo non conosce limiti. Neppure in un quadro di repressione senza sovversione come quello attuale. Diciamo che siamo a inchieste giudiziarie “esplorative”, a intimidazioni e avvertimenti. Quel poco che si muove o ha intenzione di farlo sarà ucciso nella culla. E si parla esplicitamente  di modificare la già flebile normativa sulla tortura perché la polizia deve poter lavorare senza lacci e laccinoli. Senza dover sopportare iscrizioni del registro degli indagati. Mentre i sindacati di polizia premono affinché sia creato il reato di “terrorismo di piazza”. Affinché quello di Stato possa dispiegarsi liberamente.

(frank cimini)

Quando Leonardo Apache La Russa
fece l’Indiano coi cronisti di Garlasco

Facendo slalom tra microfoni, taccuini e giornalisti spiaggiati nella calura insopportabile della Questura in attesa della rivelazione che li liberi finalmente dallo stato di patologica confusione svelando loro quel che ormai non capiscono più – chi ha ucciso Chiara Poggi – un giovane in pantaloni comodi e maniche di camicia arrotolate usa il tono del cazzeggio avvicinando a turno i cronisti con – ritiene forse – le difese più abbassate.
“Ma venite sempre qui?” Eh, talvolta. “Per esempio, siete venuti anche per la storia del figlio di La Russa?”. Mah, chi fa la nera o la giudiziaria di quella storia si sarà pure occupato. Ma come mai chiedi a noi, bel fioeu di zona 1 con gli occhi blu? “No, sai…è che è un mio amico“. Ah. “E non ho ancora capito com’è andata veramente quella storia”. Aaah. Parla della nota indagine su una presunta violenza sessuale e del relativo presunto caso di revenge porn. Beh, sul revenge porn – fanno notare i giornalisti – hanno chiuso le indagini sì certo c’è la questione dell’elemento soggettivo, si vedrà in tribunale come andrà a finire, il fatto in sé però è abbastanza pacifico. La violenza, invece, boh. “Ah hanno chiuso le indagini, vuol dire che archiviano?”. No, significa che tendenzialmente chiederanno il processo. Anzi, lo hanno già fatto. “Lo hanno già fatto?”. Sì. Invece per la presunta violenza è stata chiesta l’archiviazione, anche se poi la parte offesa si è opposta. “Davvero?”.
Davvero. Davanti a tanta sollecitudine e a quegli occhi glaciali, le illuminate menti dei cronisti vengono trafitte da un sospetto. Fusse che fusse che l’amico del figlio di La Russa è un po’ il figlio di La Russa stesso? Google photos prontamente fornisce loro le risposte che un tempo, quando il mestiere era una cosa per persone serie, avrebbero cercato dentro se stessi. Capello lunghetto, la barba rada, incolta…non c’è bisogno di Dna o di un incidente probatorio. Scusa Leonardo, sei proprio sicuro di non aver capito bene quella storia? Leonardo Apache La Russa smette di fare l’indiano. Colto in flagrante, esce dalla finzione con un sorriso luminoso: “Ma come avete fatto a scoprirmi?”.
Davanti alla questura passa anche Francesco Chiesa Soprani, quello degli audio di una che col delitto di Garlasco non c’entra niente, anche se ai programmi televisivi piace tanto parlarne. Francesco che ci fai qui? “Passavo, ciao”. Ma perché sei entrato in questura, prima? “Niente, andavo a chiedere un’informazione”.
Venite a trovarci davanti in via Fatebenefratelli la prossima volta. Ci annoiamo. Magari rimediate una intervista.

Dare dell’imputato a un indagato è diffamazione

Dare dell’imputato a una persona che è solo indagata è diffamatorio?

Sì, è la risposta delle sezioni unite della Cassazione che si sono espresse su una giurisprudenza contrastante su questo tema. Il caso è quello di un articolo pubblicato dal sito del settimanale ‘L’Espresso’ nel giugno del 2013 (12 anni dopo, benvenuta giustizia!).  Il numero uno di una banca d’affari era indagato con l’accusa di avere tentato una truffa ma non era ancora stato raggiunto dalla richiesta di rinvio a giudizio.

In primo grado il Tribunale di Roma aveva assolto il cronista “perché gli errrori non avevano scalfito l’aderenza al vero nella complessiva ricostruzione dei fatti per la corrispondenza tra lo scritto e la realtà visto il coinvolgimento significativo nell’attività truffaldina”.

La sentenza è stata ribaltata in appello con la condanna del giornalista a 5mila euro di sanzione pecuniaria.

Ed eccoci alla decisione della Suprema Corte secondo la quale  ”la differenza tra i due status, in termini giuridici, è significativa, riverberandosi sulla percezione sociale del grado di probabilità del coinvolgimento del soggetto che ne è titolare nel reato che gli viene addebitato. Non si può, quindi, relegare, di per sé e in astratto, una infedeltà narrativa di tale portata all’ambito della mera marginalità, attribuendole impropriamente neutralità ai fini del riconoscimento del carattere diffamatorio della notizia propalata. Ne deriva che i due atti non sono confondibili e non possono essere impropriamente sovrapposti”

Insomma quel che conta è la percezione dell’opinione pubblica sullo “stato di avanzamento della vicenda giudiziaria che riguarda un soggetto la cui progressione tende ad alimentare un effettivo coinvolgimento”.

Certo viene da pensare che la Cassazione sia molto ottimista sul garantismo dell’opinione pubblica in un Paese dove  essere indagati equivale a una condanna.

(manuela d’alessandro)