giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Crisi senza fine della Sorveglianza, la rabbia degli avvocati milanesi

 

C’è Como, dove i detenuti che ne avrebbero il diritto non vengono scarcerati perché a stendere le relazioni sui loro progressi da allegare alle istanze di misure di prevenzione o liberazione anticipata è rimasto un solo educatore su quattro che erano. Spiega l’avvocato Paolo Camporini della Camera Penale lariana che “le istanze vengono così rigettate per mancanza della documentazione di sintesi”.

C’é Milano, dove chi potrebbe lasciare il carcere non lo può fare perché, mancando 3 magistrati su 12 alla Sorveglianza e 10 persone su 43 nel personale amministrativo, i tempi di attesa per decidere sulle richieste sono biblici (“ritardi anche di 2 anni nella fissazione delle udienze e c’è un arretrato che continua a crescere, al momento di 26mila fascicoli”, da’ i numeri l’avvocato Eugenio Losco, consigliere con la delega al carcere della Camera Penale).

C’è mezza Lombardia (anche Lecco, Monza, Pavia, Busto Arsizio, Sondrio e Varese) dove per il presidente della  Camera Penale milanese Monica Gambirasio “la popolazione carceraria non vede risposta alle proprie legittime istanze e, al contempo, assiste a un drammatico peggioramento delle  proprie condizioni di vita”. A San Vittore, per dire, ci sono 6863 persone a fronte di una capienza regolamentare di 5167.

Oggi gli avvocati si mobilitano – termine tecnico, sarebbe meglio dire si arrabbiano -  per denunciare la “grave crisi” dei Tribunali di Sorveglianza e delle carceri in quello che viene spesso indicato come un distretto giudiziario se non modello, comunque meglio della media in un Paese fustigato più volte dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per come umilia i detenuti. E si appellano per l’ennesima volta negli ultimi mesi  al Ministro Andrea Orlando e al Csm per rimediare. Il presidente dell’Ordine degli Avvocati Remo Danovi annuncia di avere istituito dieci borse di studio per altrettanti praticanti che avranno il compito  di “prestare aiuto alla Sorveglianza per sei mesi mi auguro prorogabili a un anno anche se resta il grave problema del sovraffollamento e di una disumanità dello Stato che non ha paragoni”.

A ottobre, il Presidente della Sorveglianza Giovanna Di Rosa era arrivata a chiedere ai legali milanesi di occuparsi delle spese di assicurazione e viaggio per i ‘volontari’ della giustizia che nel Tribunali suppliscono al deficit di personale nelle cancellerie. Una giustizia che per salvarsi deve affidarsi al volontariato o alle borse di studio fa paura. (manuela d’alessandro)

 

 

‘Vai Fabiano, la mamma vuole che tu vada’

 

Non si è mai vista piangere tanta gente in un’aula, compreso un giudice popolare che si copriva gli occhi per pudore. Non si è mai visto un pubblico ministero (Tiziana Siciliano) porgere dei fazzoletti a un testimone dicendole che era stata fino a quel momento “sin troppo forte”. Non c’è nessun commento alle parole della fidanzata e della sorella di Dj Fabo, morto in Svizzera col suicidio assistito, che qui riportiamo come le abbiamo ascoltate nel processo a Marco Cappato, imputato per ‘aiuto al suicidio’.

VALERIA, LA FIDANZATA DI FABIANO

Fabo

“Ci conoscevamo da 25 anni, prima da amici, poi da una decina di anni da fidanzati. Con lui non non ci si poteva annoiare mai, c’era sempre qualcosa che proponeva, era vivo, era l’essenza della vita. Aveva voglia di vivere ogni secondo al massimo. Non stava mai un attimo fermo, a volte litigavamo per questo, per lui le giornate dovevano durare 48 ore. L’incidente è ‘ arrivato nel momento migliore della nostra storia. Avevamo deciso di trasferirci a Goa. Eravamo felici. Lui avrebbe fatto il dj, io la psicologa e l’insegnante di pugilato per i bambini indiani. Eravamo tornati in Italia per salutare gli amici e la famiglia.

L’incidente

Quella sera, il 12 giugno 2014, lui doveva suonare al compleanno di un amico in un locale a Milano. La festa andò bene, c’era un sacco di gente, era contento di suonare in un posto prestigioso. Dopo la serata, Fabiano decise di tornare nella casa di famiglia sul lago, a Ispra, dove voleva terminare dei lavori, nonostante io gli avessi detto ‘Fermati, sei stanco’. Quando  sua madre mi comunicò dell’incidente, saltavo per la casa per il nervoso  perché glielo avevo detto di non mettersi in auto, ma se lui decideva una cosa neanche il Papa gli faceva cambiare idea.

Lo specchio

In ospedale gli ho portato uno specchio, volevo che vedesse che la faccia era come prima. Lui non poteva parlare, era tracheotomizzato. Gli dicevo: ‘Ti vedi?’, ma lui guardava verso l’alto. ‘Guarda che bello questo bracciale che ti hanno regalato’, ma lui alzava gli occhi al cielo. Ho capito che era la fine. Fabiano forse poteva vivere da tetraplegico ma non da cieco. Amava gli amici forse più della fidanzata, essere circondato dalla gente, vedere le reazioni di gioia o anche di odio che sucitava, perché  o l’amavi o lo odiavi. Non avrebbe potuto vivere senza vedere la gente che ballava quando suonava.

 Le staminali e le ombre

Andiamo in India a tentare il trapianto delle staminali, anche se i medici italiani ci dicono che è inutile. Lui non mollava, sognava di tornare a Goa a suonare sul mare. La mia speranza era che gli restituissero almeno delle ombre. Sembrò succedere qualcosa, riusciva a stringermi la mano, me la strinse un sacco di volte e mi diceva che non vedeva più tutto nero, ma un po’ più chiaro. Era contento. Ma l’effetto svanì presto e quando tornammo in Italia vedeva tutto nero di nuovo.

L’amore

Dopo l’India era cambiato. Non voleva più fare la fisioterapia. Un giorno mi ha detto: ‘Valeria, che vita è questa, per me non ha più senso’ e mi ha chiesto di aiutarlo a morire in Svizzera. Era la primavera del 2016. Non sono rimasta stupita, dissi a sua madre, che persa la speranza delle staminali non ne aveva altre, e senza speranza non poteva vivere. Questa scelta di morire faceva parte di Fabiano, lui che era vita all’ennesima potenza. A questo punto io che ero diventata la sua protesi decisi di aiutarlo. Se non l’avessi fatto avrebbe significato che non lo amavo.

L’ultimo giorno

Il giorno prima abbiamo fatto una prova per posizionare il pulsante nel modo migliore possibile. Fabiano era agitato, non capiva gli infermieri che parlavano in italo – tedesco. Ci siamo innervositi tutti, poi si è calmato e abbiamo scherzato e parlato di tutto per tutto il giorno. La mattina del 27 febbraio 2017 mi sono infilata con lui nel suo letto, mi sono appoggiata vicino al suo orecchio per fargli sentire che c’ero. Si sveglia e mi dice ‘Ci siamo’ , io rispondo che può ripensarci. Mi chiede uno yogurt. Poi lo mettono un po’ seduto sul letto per fargli schiacciare il pulsante. Io e sua mamma usciamo, dopo 5 minuti arrivano gli infermieri e annunciano che è morto.

Sarò energia nell’universo   

Credeva in qualcosa sopra di lui, prima di morire mi assicurò che ci saremmo reincontrati, che lui si sarebbe trasformato in energia nell’universo. Dopo la scelta di pubblicizzare la sua scelta di andare in Svizzera alle ‘Iene’, era sollevato. Si sentiva di nuovo utile e vivo. Gli dissi che, da pugile, sentivo di essere stata sconfitta dalla Signora Morte perché lui voleva morire ma lui mi rispose che non dovevo sentirmi sconfitta perché  quella per lui era una vittoria.

CARMEN, LA MAMMA DI FABIANO

Lui e Cappato

I colloqui tra mio figlio e Marco Cappato erano meravigliosi. Parlavano di molte cose, lui gli raccontava dell’India, della sua musica, era diventato un suo amico. E poi erano uomini, lui interagiva solo con donne, con me e Valeria. Cappato lo informò che avrebbe potuto morire a casa sospendendo le cure. Ma lui non voleva, aveva più  paura della sofferenza che della morte, aveva paura di morire soffocato forse o di un’agonia che spiegarono poteva durare anche dieci giorni. Ma di morire no, mi ha sconvolto questo coraggio che non credevo potesse avere”.

Anche solo la tua testa

Un giorno in ospedale  mi hanno informato che voleva parlarmi. Sono entrata nella stanza e mi ha detto ‘Mamma, voglio che tu accetti la mia decisione di andare in Svizzera’. Tutte le infermiere che erano li’ hanno sentito queste parole. Io l’ho ascoltato emozionata e lui mi ha detto’ Vuoi che continui a vivere  cosi’?', e io gli ho risposto: ‘”Ti vorrei anche solo con la testa’. I suoi dolori erano terribili. Mi diceva che si sentiva ‘un diavolo in corpo’, urlava, aveva contrazioni continue. Un medico mi spiegò che, per paradosso, piu’ faceva fisioterapia più diventava sensibile al dolore. Ha lavorato tantissimo con la fisioterapia, ha lottato ma dopo il ritorno dall’India, quando ci siamo accorti che il trapianto delle staminali non ha dato benefici, non faceva che parlare della Svizzera. Era diventato un incubo. Aveva paura che rallentassimo le procedure, minacciava di non mangiare. Quando io e Valeria parlavamo a bassa voce, si arrabbiava perche’ voleva sapere tutto. Era lucido, forse sarebbe stato meglio lo fosse stato meno.

Via Fabiano, la mamma vuole che tu vada

Fabiano ha fatto tutto da solo, è stato  bravissimo. Per fare capire com’era mio figlio, lui aveva capito che non avevo accettato  interiormente la sua scelta e allora per farlo andare via  sereno gli ho detto ‘Vai Fabiano, la mamma puo’ continuare, voglio che tu vada’. E lui ha schiacciato il bottone.

(manuela d’alessandro)