giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

A Report la mafia a tre teste che in realtà non esiste

A Milano ci sarebbe una mafia a tre teste con la santa alleanza tra Cosa Nostra, Camorra e ‘Ndrangheta utilizzando il capoluogo lombardo e zone limitrofe come una sorta di “laboratorio”. Era la tesi della procura che il giudice delle indagini preliminari Tommaso Pena nel novembre scorso aveva bocciato rigettando 140 richieste di misure cautelari su 154 (una sorta di record probabilmente non solo italiano) per associazione mafiosa.

Se questa prospettazione ritenuta infondata abbiamo visto l’altro ieri sera su RaiTre nella trasmissione Report un’intera puntata come se invece fosse tutto vero. La decisione del gip è stata ricordata solo con un brevissimo accenno di poche parole per dedicare tutto lo spazio alla “straordinaria scoperta fatta dai carabinieri e dalla procura”.

Sigfrido Ranucci non ha avuto neanche la bontà di ricordare che la procura di Milano pur avendo presentato ricorso al Tribunale del Riesame contro la decisione del gip Perna ha limitato l’impugnazione alla posizione di 70 indagati la metà di quanti voleva sanzionare origine. Insomma anche da parte dell’organo dell’accusa c’è stata l’ammissione di un flop quantomeno parziale. In attesa dell’appuntamento del Riesame che non è stato ancora fissato.

Report si comporta come se il network criminale fosse stato ritenuto consolidato. Nel ricorso la procura accusava il gip di aver fatto “copia e incolla” con il parere di un avvocato espresso in tutt’atra circostanza fuori dall’inchiesta. Il gip avrebbe ignorato e smentito “le più eterogenee evidenze investigative processuali dell’ultimo ventennio”.
I giornali solitamente a sostegno della procura operavano un massacro mediatico del giudice. Doveva intervenire il presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia con un comunicato per sottolineare che il controllo del gip lunghi dall’essere classificato come una patologia evidenzia il principio dell’autonomia della valutazione giurisprudenziale”.

Ma di tutto questo nella puntata di Report non si parla. E in questa vicenda è stato del tutto assente il Csm sempre pronto ad aprire pratiche a tutela quando i magistrati vengono criticati dai politici. Ma quando ricevono attacchi dai colleghi e dai giornali va tutto bene.

Report insomma si ripete. Non ha mai preso atto che la storia della trattativa Stato-mafia era del tutto infondata secondo la Cassazione non perdendo occasione di riproporla. Come del resto non tiene conto degli esiti processuali del caso Moro di e si esclude che le Brigate Rosse fossero state eterodirette e avessero avuto complici occulti.
(frank cimini)

Il giudice “un po’ confuso” tifa Borrelli e Toni Negri

Come minimo deve avere un po’ di confusione in testa Marcello Degni il giudice della corte dei Conti che sui social critica l’opposizione per non aver costretto il governo di centrodestra all’esercizio provvisorio e che ora rischia sanzioni da parte dei colleghi.

Nelle sue esternazioni da un lato evoca Francesco Saverio Borrelli che alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario nel gennaio del 2002 pronunciò il famoso triplice “resistere” con riferimento al governo Berlusconi e dall’altro lato posta elogiando la prima pagina del Manifesto in morte di Toni Negri “maestro attivo”. Poi cita il filosofo padovano sul “comunismo come manifestazione gioiosa collettiva etica e politica che combatte contro la trinità della proprietà dei confini e della politica”.

Per Degni Toni Negri è un intellettuale raffinatissimo. La contraddizione nell’elogiare sia Borrelli sia Negri. Il carceriere e il carcerato si potrebbe osservare, ricordando per esempio che Borrelli da giudice condannava per terrorismo senza prove “perché non poteva non sapere considerando la sua statura intellettuale” l’avvocato comunista Sergio Spazzali.

Il comportamento del giudice Degni ricorda l’indicazione di voto che diede Rossana Rossanda alle elezioni del 1984, “Toni Negri alla Camera e Pci al Senato”. In quel caso la contraddizione era ancora più evidente perché eravamo nel pieno delle polemiche sul caso “7 aprile” con il pm Piero Calogero che aveva preparato i testimoni nei locali della federazione padovana del partito comunista italiano.

Ancora Degni dice che quando passa in via Fatebenefratelli pensa sempre a Pinelli voltato dalla finestra, alla ballata che recita “Calabresi e Guida assassini che un compagno avete ammazzato quella lotta non avete fermato la vendetta più dura sarà”.

Impossibile non domandarsi se questo giudice più che maggiorenne e vaccinato ormai alla soglia della pensione si renda conto della confusione che fa sulla storia politica del paese nel tentare di mantenere insieme i suoi miti.

Con le sue esternazioni di oggi è ancora di più con quelle passate che riemergono riesce a togliere dall’imbarazzo (eufemismo al massimo grado) il governo per il “botto” di Capodanno nel biellese. Insomma il giudice Marcello Degni avrebbe bisogno di riflettere, di studiare, di informarsi e soprattutto di pensare a quello che dice perché non se la può certo cavare spiegando che quanto afferma sui social sarebbero pensieri personali i quali non c’entrano con l’attività di giudice. La toppa è peggio del buco.
(frank cimini)

Moro, le bufale senza fine. Domenica su Report

“Aldo Moro non può essere stato ucciso in via Montalcini e poi portato in via Caetani”. Questo dice Ilaria Moroni, direttrice dell’archivio Flamigni, nella puntata di Report che andrà in onda domenica prossima 7 gennaio di cui è stato anticipato il contenuto in un trailer che riguarda la presentazione del libro scritto dall’ex ministro Vincenzo Scotti e dall’economista Romano Benini sulla politica di Aldo Moro.

”Sorvegliata speciale” è il titolo. “Le reti di collegamento della Prima Repubblica” il sottotitolo del pomo che racconta l’avversione degli Stati Uniti e soprattutto di Henry Kissinger per la politica di Moro. Scotti spiega che il segretario di Stato americano era nettamente contrario a che Moro assumesse responsabilità specialmente in relazione a Israele e Medio Oriente. Cose trite e ritrite sulle quali si discute da ormai mezzo secolo ma che servono per riproporre tutta la dietrologia possibile e immaginabile sulla strage di Via Fani e sul caso Moro.

Le perizie che dimostrerebbero che Moro non fu ucciso in via Montalcini di cui parla Ilaria Moroni non esistono, non hanno nulla da spartire con gli atti di ben cinque processi. Ma la dietrologia non finisce mai, le bufale continuano.

E per la fondazione Flamigni, dal nome dell’ex senatore Sergio Flamigni che fu l’antesignano dei misteri inesistenti, le bufale sul caso Moro si sono rivelate da sempre un affare a causa della consistente mole di finanziamenti pubblici dal ministero della Cultura.

40 mila euro il 9 gennaio del 2019, 38 mila euro il 15 aprile, 2000 euro il 15 ottobre. Vanno aggiunti 40 mila euro il 20 maggio dall’istituto centrale per gli archivi, 3491 euro il 7 agosto dall’Agenzia delle Entrate. Dal ministero 49.157 euro il 22 giugno, 8300 euro il 29 dicembre. Poi ancora altri soldi successivamente.

Per carità tutto regolare, tutto secondo la legge. Il primo febbraio del 2021 l’archivio viene trasferito presso lo spazio Memo per gentile concessione della Regione Lazio con visita e complimenti del governatore Zingaretti.

Dietrologia e complottismo vengono incoraggiati. Ogni 16 marzo ogni 9 maggio a dire che bisogna cercare la verità è per primo il Presidente della Repubblica e del Csm a discapito dei processi dive sono state escluse responsabilità diverse da quelle delle Brigate Rosse.

Si tratta di esiti processuali ignorati dalle commissioni parlamentari e dalla procura di Roma che continuano la caccia alle streghe. Tra gli intervistati da Report c’è l’ex procuratore generale Luigi Ciampoli che si vanta di aver indagato lo psichiatra Steve Pieczenik inviato in Italia dal dipartimento di Stato Usa . L’accusa era di concorso nell’omicidio Moro. Non si sa che fine abbia fatto. Adesso c’è il pm Eugenio Albamonte a continuare la caccia e non ha ancora deciso cosa fare dell’inchiesta chiusa da tempo sul ricercatore indipendente Paolo Persichetti, che il gip aveva definito “indagine senza reato e chissà mai se ci sarà”.

La sensazione è che questa dietrologia, nel paese dove la Cassazione ha appena accusato il centro sociale Askatasuna di “pensare alla lotta armata”, serva non tanto per il passato quanto per governare oggi agitando un fantasma che con la realtà attuale c’entra zero.
(frank cimini)

Alcolici e vetro di Capodanno Beppe Sala sindaco sceriffo

Ormai in nome della sicurezza, in omaggio a “law and order” si può vietare tutto o quasi, persino quello che si può comprare e consumare in determinate occasioni. L’ultimo giorno dell’anno in vista della notte di San Silvestro è l’esempio per fotografare una filosofia di governo e non ci sono differenza tra il livello nazionale e quello locale.

A Milano sarà in vigore dalle ore 18 di domani 31 dicembre fino alle otto 8 di lunedì primo gennaio il divieto di di vendere distribuire o somministrare, anche gratuitamente, bevande in bottiglie e contenitori di vetro e lattine anche per asporto e bevande superalcoliche.

L’ordinanza sindacale, firmata dal primo cittadino Giuseppe Sala, si rivolge a esercizi di vicinato, supermercati, attività commerciali, artigiani, pubblici esercizi, distributori automatici, commercio ambulante o con posto fisso e street food, presenti nell’are delimitata dalla circolazione del filobus 90/91 quindi ben oltre il,centro storico.

La mescita o la vendita delle bevande ‘alla spina’ sarà consentita solo in contenitori di carta o di plastica, mentre la consumazione in vetro sarà autorizzata solo per il servizio al tavolo all’interno dei locali.

Abbiamo riportato nel dettaglio l’ordinanza sindacale emessa da un politico che a parole si dice da sempre molto attento ai diritti che qui vengono letteralmente violati nel timore di rosse a bottigliate favorite da eccessivo ingerimento di alcolici.

E quindi via ai divieti che comunque potranno essere aggirati facilmente dai “malintenzionati” prove dei a rifornirsi anche nei supermercati prima delle fatidiche ore 18 o pure dopo fuori dalla citata “area delimitata”.

Non è la prima volta che accade. Ricordo che durante i mondiali di calcio di Italia 90 si arrivò al punto di vietare di ristoranti che la bottiglia di vino restasse sul tavolo durante il pranzo o la cena. Era l’oste o il cameriere a riempire i bicchieri volta per volta occultando la bottiglia alla vista e alla disponibilità dei clienti fino al prossimo giro di mescita.

Insomma ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. I cittadini vengono trattati peggio che da sudditi. In modo aprioristico come persone non in grado di controllarsi. Ovviamente a colpi di divieti. Il sindaco di Caserta Carlo Marino anche lui del Pd ha dimostrato di non essere da meno. Stessa ordinanza.
(frank cimini)

Cospito, giudici sbloccano lettera in inglese nessun rischio

I giudici del Tribunale di Torino hanno accolto il reclamo di Alfredo Cospito contro la decisione della corte di assise di appello che aveva bloccato una lettera in inglese con un disegno a penna raffigurante diverse persone che parlavano tra loro.
“Pur emergendo che il redattore della lettera appartiene a ambienti anarchici – scrivono i giudici- traspare che questi si limita a informarsi delle condizioni di salute di Cospito augurandosi che siano buone, a deprecare che sia stato sottoposto al regime del 41bis e a manifestargli solidarietà per il lungo sciopero della fame che aveva intrapreso”.
“Non constano elementi concreti che la missiva e il disegno possano contenere messaggi criptici suscettibili di pregiudicare le indagini di incentivare la commissione di reati o di mettere a repentaglio la sicurezza e l’ordine dell’istituto penitenziario”.
Alfredo Cospito è detenuto nel carcere di Sassari Bancali ed è in attesa che venga fissata l’udienza al Tribunale di Roma per discutere il ricorso contro l’applicazione del 41bis.