giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Steccanella ricorda la giudice in bicicletta

Quando per parecchi anni ho abitato vicino a lei, in zona Pagano, mi capitava spesso di vedere una signora bionda, molto elegante, che pedalava in bicicletta verso la nostra comune destinazione giornaliera, il Tribunale di Milano, io diretto in motorino verso il mio ufficio e lei verso il suo all’interno del Palazzo, io avvocato e lei magistrato. Tribunale di Milano dal quale non mi pare si sia mai mossa nel corso della sua lunga esperienza professionale, in gran parte da giudicante, anche se non mancò di rivestire la funzione di PM negli anni in cui in quel luogo succedevano tante cose, non tutte belle, ma almeno succedevano, come tante altre cose che succedevano nella nostra città.

Non eravamo amici, ci si dava del Lei, ma non è mai mancato, credo, l’apprezzamento reciproco, fermi restando i rispettivi e diversi ruoli, come sarebbe bello sempre accadesse in qualsiasi luogo di lavoro e non di culto, fino a quando, raggiunta la pensione, non l’ho più incontrata.
Che fosse anche un bravo magistrato non devo dirlo io e mi interessa poco, come poco rileva un episodio di parecchi anni fa che creò tra di noi un certo malumore da parte sua, quando la mia proverbiale intemperanza mi portò a criticare pubblicamente la sua gestione di un processo di appello e un giornalista riprese la notizia per scrivere un articolo che nulla c’entrava con quel fatto, ma poi la cosa rientrò, e tutto si risolse in breve tempo, come ancora mi viene da dire, sarebbe bene succedesse sempre.
Ho di Lei il ricordo di due momenti in cui, in qualche modo portò un po’ di luce in quel luogo spesso cupo e sordo quale è quello dove ogni giorno si determina il destino di esseri umani, coi suoi modi garbati e la dolcezza che aveva nello sguardo e nel timbro di voce, gentile, femminile ma autorevolmente apprezzato.
La prima volta risale a più di 40 anni fa, quando misi per la prima volta piede in Tribunale come carabiniere ausiliario addetto alla scorta dei detenuti che prelevavamo da quel vero e proprio inferno di San Vittore per condurli a giudizio. In quella situazione orrenda di prigionieri in gabbia e gente distratta, lei presiedeva uno dei tanti collegi e mi colpì la sua diversità umana da tutto il resto, quell’aula “sorda e grigia” non le modificava i tratti, anche qui come dovrebbe sempre succedere.
La seconda accadde tantissimi anni dopo, non molto tempo fa, quando me la trovai a decidere le sorti di un mio assistito che i media avevano trasformato in un mostro e nei confronti del quale trovavo insormontabili difficoltà ad ottenere il rispetto dei minimali diritti che il mio mestiere mi impone di perseguire.
Non era tenuta a farlo perché oggetto della udienza era altro, eppure volle ugualmente inserire nel provvedimento finale un inciso che stabiliva che nei confronti del mio assistito non si poteva applicare l’osceno regime di detenzione speciale meglio noto come il famigerato 41 bis e fu solo grazie a quell’inciso che con immensa fatica e molti mesi di attesa riuscii ad ottenere una declassificazione del detenuto, rivelatasi a tal punto giusta da scatenare le ire del noto Delmastro, quello che prova “intima gioia” a togliere il respiro ai carcerati.
Lei non era così, Lei era una bella persona, prima ancora che un bravo magistrato.
Un saluto speciale a Giovanna Ichino, la bella signora in biciletta, da un avvocato del Foro di Milano.
(avvocato Davide Steccanella)

Giudici: perché il Giambellino non era una “associazione”

“C’era la continuazione tra più fatti di occupazioni abusive di immobili ma va esclusa l’esistenza di una associazione per delinquere” Lo scrivono in 113 pagine i giudici della corte di appello di Milano per spiegare perché il 6 dicembre scorso avevano assolto  dal reato più grave i giovani del Comitato  Giambellino Lorenteggio che in primo grado erano stati condannati dopo essere stati agli arresti domiciliari e subito altre misure cautelari.

”Lo scopo del comitato era quello di occupare case popolari vuote e assegnarle ai richiedenti cercando poi di rendere definitiva l’occupazione contro le iniziative della polizia in particolare monitorando eventuali movimenti degli agenti” aggiungono i giudici secondo i quali si trattava di una ipotesi scolastica della associazione per delinquere che è cosa ben diversa dalla associazione per delinquere finalizzata alla esecuzione di un vasto programma criminoso per la commissione di un numero indeterminato e non preventuvato di reati.
Il Comitato agiva a livello di quartiere non aveva la pretesa di estendere le sue attivita’  fuori dai limiti territoriali ove se fosse presentata l’occasione.

La procura di Milano da questa vicenda esce seccamente  sconfitta. Ma purtroppo questo accade dopo la chiusura delle scuole di teatro e di calcio e pure della mensa popolare. Insomma i pm hanno distrutto il Giambellino azzerando la lotta per la casa e contro le disuguaglianze sociali. Uno dei pm apparteneva a Md e questo dimostra che quando c’è da praticare la repressione senza che vi sia sovversione Magistratura Democratica non è seconda alle correnti centriste e di destra.

(frank cimini)

Assolto per vizio di mente è in carcere non si trova Rems

Assolto per vizio di mente su richiesta conforme del pm da una serie di comportamenti violenti, tra cui la rapina, sta ancora in carcere perché non si trova una residenza dove collocarlo. L’assoluzione è del 12 dicembre. Il giorno 23 dicembre il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha rivolto un appello a varie autorità affinché si trovi una Rems in ambito regionale lombardo.

Il protagonista di questa terribile vicenda è un uomo di 50 anni che tra l’altro aveva minacciato di morte anche sua madre, al fine di ottenere soldi per comprare sostanze stupefacenti.

Il periodo trascorso in carcere non solo non gli ha giocato ma ha prodotto un aggravamento delle sue condizioni psichiche, scrive in sede di motivazione il giudice che lo ha assolto. Secondo il giudice l’uomo, difeso dall’avvocato Federica Liparoti, deve essere trasferito in una struttura dove sia curato e seguito. Altre misure non sono possibili.

La persona di cui stiamo parlando, secondo il giudice, non risulta consapevole della malattia, come emerge dalle perizie alle quali era stato sottoposto.

Il problema è che a tre settimane dalla condanna sta ancora in carcere perché il sistema non è stato in grado di individuare una struttura adeguata.

(frank cimini)

Da Nordio per Cospito ultima carognata su farina e lievito

Evidentemente Carlo Nordio, il “liberale e garantista” ministro della Giustizia non ha di meglio da fare in questi giorni. Insieme al Dap ha impugnato in Cassazione l’ordinanza con cui il Tribunale di Sorveglianza di Sassari, ribaltando la decisione della direzione della prigione e del magistrato monocratico, aveva autorizzato Alfredo Cospito ad acquistare farina e lievito.

Il Tribunale aveva sottolineato che il divieto di acquistare farina e lievito “cozza contro la linea di indirizzo posta dalla Corte Costituzionale che con specifico riferimento alla materia ‘alimentare’  aveva spiegato che anche chi si ritrova ristretto secondo le modalità dell’articolo 41bis deve conservare la possibilità di accedere a piccoli gesti di normalità quotidiana, tanto più preziosi in quanto costituenti gli ultimi residui in cui puo’ espandersi la sia libertà individuale”.

Insomma per la Consulta  il divieto relativo all’uso di farina e lievito va contro lo spirito e la lettera dell’articolo del regolamento penitenziario del carcere duro. In pratica siamo al di là del bene e del male.

I giudici scrivevano anche: “Del resto non si ha notizia di detenuti che abbiano appiccato il fuoco alle suppellettili della camera utilizzando farina. Lo fanno invece purtroppo frequentemente, con gli accendini e i fornelli a gas di cui dispongono”.

E ancora si legge nell’ordinanza poi impugnata: “I detenuti comuni e del reparto 41bis possono acquistare olio di oliva e di semi, prodotti che sono notoriamente altamente infiammabili… Questo a riprova che il divieto relativo alla farina basato sulla sola possibilità che i detenuti possano realizzare congegni esplosivi o incendiari non ha serio fondamento ed è dunque irragionevole“.

Secondo la direzione del carcere il Dap e il Ministero della Giustizia non ci sarebbe stata lesione di alcun diritto e il ricorso del detenuto aveva a oggetto una mera lamemtela su aspetti attinenti alla regolamentazione dettata dall’amministrazione. “È inspiegabile infine che il Tribunale metta in discussione che le ragioni poste a fondamento del diniego siano qualificabili come ragioni di sicurezza… Con la farina può essere prodotta colla utilizzabile per occultare oggetti non consentiti. Anche sostanze come il lievito possono diventare facilmente infiammabili o addirittura esplosive” si legge nel ricorso.

La richiesta di Nordio alla Cassazione è quella di annullare l’ordinanza senza rinvio o in subordine di rimandare le carte al Tribunale per un nuovo esame.

Si tratta dell’ultima in ordine di tempo carognata ai danni dell’anarchico Alfredo Cospito che sta pagando ancora sulla sua pelle il lunghissimo sciopero della fame contro la tortura del 41bis che affligge circa 700 detenuti. Il digiugno di Cospito in realtà è stato considerato a scopo di terrorismo nell’infinita  emergenza italiana sfociata in questi giorni nelle cosiddette “zone rosse Capodanno”.

(frank cimini)

Per andare in Dna lotta tra pm a chi ce l’ha più duro

Per un posto alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo c’è una lotta senza esclusione di colpi tra magistrati. Il pm di Genova Federico Manotti lo scorso 9 dicembre ha scritto una nota urgente al Csm chiedendo che la pratica ritorni in commissione prima di approdare alla decisione finale del plenum perché la sua candidatura era stata valutata meno significativa rispetto a quella di altri colleghi.

Manotti lamenta che la terza commissione non ha tenuto conto che lui si occupa si terrorismo sia interno sia esterno da circa 10 anni e che aveva fatto esperienze anche in materia di criminalità organizzata. Manotti aggiunge che i candidati Giovanni Munfo’, Antonella Fratello e Maurizio Giordano “non hanno alcuna esperienza in materia di terrorismo”.

Manotti aggiunge che Eugenio Albamonte invece ”a eccezione di due applicazioni non ha fatto parte della direzione distrettuale antimafia”. Il pm genovese chiede che sia riconosciuto pure a lui co e ad altri candidati un punteggio pari a 6 “consentendomi di rientrare tra i soggetti proposti”.

Federico Manotti attualmente rappresenta  l’accusa nel processo per associazione sovversiva alla rivista Bezmotivny accusata di essere clandestina nonostante venisse spedita per posta e si trovasse in bacheca nella piazza di Massa Carrara, prima di essere chiusa per mancan di soldi.
Eugenio Albamonte pm a Roma e esponente della corrente di Area è  il candidato in pole-position. È noto per aver indagato sui misteri inesistenti del caso Mor ovviamente sen a a risultati e soprattutto per perseguire e perseguitare da cinque anni il ricercatore
storico Paolo Persichetti. Albamonte ha impiegato un lustro per prendere atto che non vi era nulla di penalmente rilevante passando anche attraverso un perquisizione avvenuta l’8 giugno del 2021 che aveva portato tra l’altro al brillante risultato di sequestrare le carte mediche del figlio diversamente abile di Persichetti.

Sulla richiesta di archiviazione deciderà il gip Valerio Savio. Intanto possiamo registrare che la lotta per il posto in Dna tra candidati esperti o presunti tali è tra pm “garantisti”. Forse sarebbe meglio augurarsi che la scelta cada su quelli meno esperti. Magari farebbero meno danni.

((frank cimini)