giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Yaeesh non estradabile a tenerlo dentro ci pensiamo noi

La corte di appello dell’Aquila dice che non vi sono le condizioni per estradare Anan Yaeesh in Israele perché rischierebbe di essere sottoposto a trattamenti disumani crudeli e degradanti ma il vero motivo per cui il giovane attivista palestinese non viene consegnato a Telaviv è quello dell’indagine che lo riguarda centrata sugli stessi fatti per i quali era stata chiesta l’estradizione.

Parliamo dell’operazione che ha portato in carcere con la firma del gip aquilano Anan Yaeesh e altri due palestinesi con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al terrorismo internazionale, quella che nel corso di un presidio di solidarietà è stata definita “una bolla mediatica”. Insomma non potevano consegnarlo perché rischiava di essere torturato e lo hanno arrestato.

Il rischio della tortura e della violazioni dei diritti umani la corte di appello lo ammette dando credibilità alle relazioni depositate dall’avvocato Flavio Rossi Albertini che provengono da organizzazioni non governative ritenute affidabili sul piano internazionale quali Amnesty Internationale Humans Right Watch “che ben possono essere utilizzate ai fini della verifica della condizione ostativa all’estradizione.

In queste relazioni, ricorda la corte di appello, si fa riferimento a condizioni di detenzione penose per i cittadini palestinesi, caratterizzate sovraffollamento, violenze fisiche, condizioni di scarsa igiene e di mancata assistenza sanitaria u,teriorme te peggiorate in concomitanza con il conflitto in corso”.
In buona sostanza non potendo per ragioni di immagine della democratura italiana spedirlo in Israele “ci pensiamo noi a tenerlo in vinculi. In questo modo la procura di Telaviv sarà soddisfatta del comportamento della sua sezione distaccata a L’Aquila,
frank cimini

L’Aquila sezione distaccata della procura di Telaviv

Evidentemente gli apparati antiterrorismo italiani e israeliani non erano sicuri dell’estradizione di Anan Yaeesh di cui si discuterà in relazione alla custodia in carcere in udienza domani alla corte di appello dell’Aquila. E quindi al mandato di arresto emesso da Telaviv del quale è stata chiesta la revoca da parte dell’avvocato Flavio Rossi Albertini se n’è aggiunto un altro firmato dal gip del capoluogo abruzzese con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al terrorismo internazionale che riguarda anche altri due palestinesi.
I tre avrebbero fatto operazioni di proselitismo e sarebbero stati pronti a compiere attentati anche suicidari. Questo riportano le agenzie di stampa e i siti online dei giornali insieme a dichiarazioni di politici entusiasti del blitz a cominciare dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.
Pare di capire che l’estradizione di un cittadino palestinese verso Israele che è un paese in guerra sarebbe complicata. Di qui la decisione di arrrestsrlo per decisione della magistratura italiana. In questo modo c’è la sicurezza di tenerlo in galera e di non doverlo liberare in caso di un rigetto della richiesta di consegnarlo a Israele.
Le indagini il condizionale è più che mai d’obbligoavrebbero accertato la costituzione di una struttura operativa militare denominata “Gruppo di risposta rapida – Brugate Tulkarem articolazione delle Brigate dei Martiti di Al – Aqsa che si propone il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo anche contro uno stato estero.
Per gli avvocati della difesa ci sarebbe il rischio concreto ed effettivo che Yaeesh venga sottoposto a trattamenti inumani e degradanti contesa la tortura.
(frank cimini)

È ai domiciliari ma per seguire udienza va in galera

Premetto che in quasi mezzo secolo di cronaca giudiziaria non avevo mai visto e sentito una cosa del genere. Siamo al Tribunale Massa al processo contro un gruppo di anarchici accusati di istigazione a delinquere, apologia di reato aggravate da finalità terroristiche offese all’onorevole e al prestigio del presidente della Repubblica. Il processo è stato chiamato “scripta scelera” in relazione alla rivista “Bez Motivny” chiusa ormai da tempo per mancanza di fondi
L’imputato Luigi Palli sta agli arresti domiciliari a Faenza ma non viene autorizzato a essere presente in aula di persona. Se vuole seguire udienza deve presentarsi al carcere della Dozza a Bologna e farlo per videoconferenza.
Pare che non si riescadavvero a scacciare il convitato di pietra dell’associazione terroristica da questoprcesso. Il motivo sarebbe “l’esplosiva” (aggettivo utilizzato dal giudice) situazione derivante dalla presenza di quell’imputato e del pubblico in aula.
Palli non c’è. Ma poi quando l’udienza inizia effettivamente nel pomeriggio il giudice monocratico si rimangia la decisione precedente cambia idea e dispone la presenza dell’imputato Palli per la prossima udienza, purché, aggiunge non gli arrivino poi note di polizia negative. Cioè il giudice tratta gli imputati e gli avvocati oltre che il pubblico come scolaretti. “Dovete fare i bravi, se no, sono guai”.
In aula sono presenti la procura antiterrorismo di Genova e l’avvocato dello Stato per il risarcimento danni al presidente della Repubblica. Insomna un classico processo emergenziale nell’anno di grazia 2024.
(frank cimini)€

La spia Rovelli: do ut des con il commissario Calabresi

“Conoscevo Calabresi perché era vicedirigente della Digos e seguiva gli anarchici. Per aprire un locale servivano i permessi, diciamo che fu una sorta di scambio. Tu mi dai delle informazi9ni, io ti faccio avere le licenze”. Enrico Rovelli ex manager di rockstar e organizzatore di eventi musicali festeggia i suoi 80 anni con una compiacente (eufemismo) intervista al Corriere della Sera.
Rovelli afferma di essere ancora anarchico anche se in pratica smentito dalle sue stesse parole con cui ricostruisce il ruolo che ebbe ai tempi della strage di piazza Fontana e della morte per defenestramento di Pino Pinelli.
“Di notizie importanti non ne ho mai date, se lo avessi fatto non sarei qui a raccontarlo – spiega in un colloquio col giornalista per dire e non dire – nell’area anarchica milanese eravamo in due a tenere i rapporti con Calabresi, io e Pino Pinelli. Pino aveva un rapporto speciale con Calabresi, ogni Natale si regalavano un libro”.
Gabriele Fuga avvocato anarchico autore insieme a Enrico Maltini di “La finestra è ancora aperta” sulla morte di Pinelli tiene a precisare: “È gravemente offensivo per Pinelli e la sua famiglia l’accostamento quasi in ‘simbiosi’ che fa con Pino in merito alla fondazione del circolo del Ponte della Ghisolfa e rapporti con Calabresi. Lui Rovelli dava informazi9ni e Pino… libri”.
Poi Gabriele Fuga aggiunge: “Si sono dimenticati Rovelli e soprattutto il suo intervistatore di Anna Bolena (nome d’arte di Rovelli n.d.r.) che era al servizio di Federico Umberto D’Amato, responsabile dell’ufficio affari riservati”.
D’Amato, noto anche per una rubrica culinaria sul settimanale L’Espresso, fu uno dei personaggi chiave nella storia della strategia della tensione. Anna Bolena era il nome in codice nei rapporti con i servizi segreti che ebbero un ruolo importante sul quale la magistratura non indagò nel nascondere la verità sulla fine di Pinelli. Via Fatebenefratelli sede della questura vide un via vai di 007 arrivati da Roma subito dopo che Pinelli volo’ dal quarto piano.
Le parole di Rovelli sono significative del modo in cui Luigi Calabresi faceva il commissario, scambiava permessi quantomeno in violazione dei doveri di ufficio in cambio di informazioni sugli anarchici che Rovelli adesso a 80 anni punta a ridimensionare ma sulle quali non sapremo mai la verità.
È una intervista da leggere soprattutto per chi santifica Calabresi che quella notte famosa era il più alto in grado a contatto con l’interrogatorio dell’anarchico e l’ufficio dove si svolgeva era il suo. È da lì secondo la testimonianza di Lello Valitutti in questura anche lui perché fermato Calabresi non si mosse. Anche se il dettaglio non è importante. Il ruolo recitato per nascondere la verità appare fuori discussione. Al di là della sentenza creativa sul malore attivo con cui la magistratura se ne lavava le mani.
(frank cimini)

L’antiterrorismo militante processa le Br 50 anni dopo

In questo paese esiste una struttura di antiterrorismo militante di cui fanno sicuramente parte i pm di Torino che hanno chiuso le indagini sui fatti del 5 giugno 1975 a Casina Spiotta nell’Alessandrino quando venne uccisa Mara Cagol durante la liberazione dell’imprenditore Vallsrino Gancia.
La procura vuole processare Renato Curcio, Mario Moretti, Lauro Azzolini e Pierluigi Zuffada per l’omicidio del brigadiere Giovanni d’Alfonso. Per la procura avrebbero avuto ruoli diversi, tra il sequestro dell’imprenditore e il conflitto a fuoco. Azzolini risponde per l’omicidio D’Alfonso. Moretti e Curcio avrebbero avuto un ruolo di concorso nell’organizzazione del sequestro di Gancia. Le impronte di Zuffada oltre a quelle di Azzolini sarebbero state trovate nella relazione in cui si spiegavano le fasi del blitz. Giusto per le famose impronte era stato condannato, l’unico. Massimo Maraschi.
L’indagine era stata riaperta dopo un esposto presentato dagli eredi di D’Alfonso. In precedenza era stata archiviata. Questa sentenza venne revocata nonostante pm e gip non avessero potuto leggerla perché una alluvione l’aveva portata via. E in questo modo arriviamo adesso alla chiusura dell’indagine nuova che prelude alla richiesta di processo.
Ovviamente nel corso degli anni mai si è tentato di accertare se Mara Cagol fosse stata “finita” con un colpo di grazia mentre era a terra inerme.
La giustizia su quegli anni va in una sola direzione. Del resto la storia la raccontano i vincitori e i vinti non hanno diritto di parola. Si tratta della famosa memoria condivisa, appunto la verità raccontata da chi prevalse con i “pentiti”, le leggi speciali, la tortura a conclusione di un durissimo scontro sociale e politico sfociato in una guerra civile a bassa intensità e nemmeno troppo bassa.
L’avvocato Davide Steccanella difensore di Azzolini e Zuffada si limita a commentare: “Voglio sapere se in Italia è possibile revocare una sentenza di proscioglimento senza averla letta. È questa l’eccezione che riproporrò nel corso del procedimento dopo che la Cassazione l’aveva definita intempestiva”.
Curcio interrogato mesi fa come indagato aveva chiesto di essere illuminato sulla morte di sua moglie Mara. Il magistrato promise che si sarebbero messi in moto. Parole al vento.
(frank cimini)