giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Mafia, a Opera i detenuti leggono i nomi delle vittime e incontrano i familiari

C’è il silenzio denso e la ritualità assorta delle cerimonie mistiche. Stanno in coda, stringendo il foglio con la lista. Uno a uno, chi con voce tenue, chi spavalda, si avvicinano al leggio in ferro e pronunciano con cura i nomi, ripetendoli quando inciampano nel pronunciarli.

Il pubblico è diviso a metà: sulla sinistra i condannati in regime di massima sicurezza, a destra quelli che devono scontare pene per reati meno gravi. In tutto sono più di un centinaio. Tra loro i familiari delle vittime e chi li accompagna ogni giorno nelle strade della prigionia.   Arrotolano il foglio, tornano in platea e danno le mani a chi li aspetta, anche agli agenti delle polizia penitenziaria.

“Sono stato combattuto fino all’ultimo perché non me sa sentivo di sporcare quei nomi con la mia voce.  Mi sono detto ‘mi alzo o non mi alzo’, poi alla fine la mia coscienza mi ha suggerito ‘alzati, devi fare qualcosa’”. A Opera va in scena quella che il direttore Giacinto Siciliano, padre dell’iniziativa a cui ha aderito anche ‘Libera’, definisce “una prima assoluta in un carcere italiano”. Alcuni detenuti per reati di sangue salgono sul palco dell’auditorium per ricordare i 940 nomi delle vittime della mafia e, al termine della lettura, incontrano una decina di familiari caduti per mano della criminalità organizzata, dando vita una discussione carica di emozioni e contenuti.

L’idea era nata a settembre durante uno scambio tra la mamma di una ragazza uccisa e dei carcerati nell’ambito delle attività del Centro per la giustizia riparativa e la mediazione penale del Comune di Milano e del Gruppo della Trasgressione.

Quello che provano adesso lo raccontano loro, col viso rivolto ai parenti delle vittime accanto ai quali occupano le dieci poltrone bianche sul palco, vuote durante la lettura.

“Mentre leggevo i nomi, mi sono venute in mente le persone che ho ucciso io. Mi è venuta in mente la prima volta che ho ucciso un uomo e la soddisfazione che ho sentito. Quell’uomo si chiamava Roberto. Fino a che sono entrato in carcere, non mi ricordavo come fosse fatto, poi, dopo il lungo lavoro che ho fatto qui dentro, ho cominciato a mettere a fuoco lui, i suoi figli. In quel momento è cominciata la sofferenza ma anche la purificazione. Il nostro dolore è diverso dal vostro che, come vittime, dimostrate una grande apertura dialogando con noi. Cosa possiamo fare per riparare? Noi del Gruppo della Trasgressione ci stiamo relazionando coi ragazzi in bilico che incontriamo nelle scuole. Questo è il nostro modo per dire che siamo vivi, per dare un senso al nostro passato. Il vostro coraggio è un modo per darci forza”.

“La voce mi tremava, mi sono sentito piccolo piccolo davanti a voi. Quando dall’altra parte c’è chi, come voi, non guarda il reato ma la persona, si avverte una grande forza dentro. La parola perdono è una parola grande, però il dialogo mi fa vivere”. Continua a leggere

Sole 24 Ore, i pm studiano anche i finanziamenti milionari per il Mudec

Potrebbero esserci anche i finanziamenti per il Mudec, l’ambizioso Museo delle Culture ricoperto di cristallo inaugurato nel 2015, tra le “operazioni straordinarie” meritevoli di “adeguato approfondimento” indicate dai pm milanesi nel decreto di perquisizione che ha segnato il cambio di passo dell’indagine sul gruppo editoriale.

I magistrati fanno riferimento a “finanziamenti intercompany a 24 Ore cultura srl” ed è impossibile non pensare ai prestiti milionari concessi dalla società capogruppo Sole 24 Ore spa alla sua controllata per sostenere il progetto del nuovo polo espositivo milanese in collaborazione col Comune.

La società che si occupa di mostre e pubblicazioni con la griffe del Sole ha puntato forte sul Mudec per risollevarsi ma i risultati, almeno per adesso, appaiono sconfortanti. Impietosi i numeri nel  bilancio al 31 dicembre 2015 (presidente del cda era Donatella Treu, indagata con l’ex direttore Roberto Napoletano per false comunicazioni in relazione alle copie digitali ‘gonfiate’) : perdite per oltre 7,1 milioni di euro con un debito di 14, 5 milioni con la controllante e oltre 8,7 milioni di debiti verso i fornitori. Vincendo nel 2014 una gara pubblica in cui era unico partecipante, il Sole si è assicurato  per 12 anni consecutivi la realizzazione dei progetti espositivi e la gestione dei servizi, tra cui caffetteria e ristorante, lasciando a Palazzo Marino la tutela delle collezioni permanenti. Sempre dal bilancio apprendiamo che Food 24, costituita per la gestione del ristorante del Mudec, ha chiuso il 2015 con “una perdita di 419mila euro” perché “nella fase di avvio il Museo ha avuto un numero di visitatori inferiori alle attese” (solo “50mila visitatori nei primi sette mesi”, poi balzati a 120mila all’inizio del 2016). Alla fine del 2015, Sole 24 Ore Cultura srl aveva verso la sua controllante “debiti per finanziamenti” per oltre 14 milioni di euro. Una cifra enorme se pensiamo alle dimensioni ridotte della società.

(manuela d’alessandro)

decreto perquisizione Sole 24

Ecco il decreto che accusa Napoletano. Se non viene rimosso oggi, Sole a rischio commissariamento

Alle cinque della sera di oggi il ‘Sole 24 Ore’ rischia di sprofondare nel buio senza fine. Se il cda straordinario convocato dopo il blitz dell Procura non dovesse revocare il direttore Roberto Napoletano, strappandolo dal limbo dell’autosospensione, il gruppo editoriale potrebbe essere commissariato.

A quanto apprendiamo da fonti interne, il cda si presenta spaccato in due all’appuntamento decisivo. Da una parte ci sono Luigi Abete e Marcella Panucci che chiedono di congelare la situazione in attesa, forse, che un’ eventuale cordata guidata dal primo prenda in mano il giornale. Entrambi facevano parte del cda le cui operazioni sono al centro dell’inchiesta della Procura di Milano.

Sull’altro fronte, il presidente del cda Giorgio Fossa, l’amministratore delegato Franco Moscetti (in carica da novembre), il presidente dell’organismo di Vigilanza Gherardo Colombo e tutto il nuovo management premono affinché Napoletano esca del tutto dal gruppo, superando l’autosospensione che viene considerata un’ipocrita forma di continuità col passato.

Se dovvesse prevalere la volontà di Abete, tutto il nuovo corso del ‘Sole’ è pronto a dimettersi aprendo così la strada alla catastrofe. A quel punto, con il gruppo senza guida e con un default in atto, la Procura potrebbe chiedere addirittura il commissariamento.

Le accuse per Napoletano, ovviamente tutte da provare ma che comunque imporrebbero un passo indietro in attesa degli sviluppi dell’indagine, sono gravissime.

Il direttore, come potete leggere nel decreto di perquizioni che vi proponiamo,  avrebbe contribuito a gonfiare 109mila copie digitali vendute alla società anonima inglese Di Source controllata da una fiduciaria dietro la quale si nascondevano dei manager del gruppo che avrebbero guadagnato 3 milioni di euro dalle vendite fittizie. (manuela d’alessandro)

decreto perquisizione Sole

“Botte a mia sorella”, Cristiano De André querela la figlia Francesca

 

Prima le botte evocate in televisione, da verificare, poi quelle legali, per carte bollate depositate in Procura. Alla prima intervista della figlia Francesca a Domenica Live, Cristiano De André si è adirato. Alla seconda, sette giorni dopo, è passato alla controffensiva, querelando – a quanto apprende Giustiziami -  la figlia Francesca e diffidando Canale 5 dal mandarla ancora in onda.

Tutto inizia domenica 26 febbraio. L’avvenente Francesca, nota per comparsate televisive tra cui spicca la partecipazione a L’isola dei Famosi, figlia di Cristiano De Andrè nonché nipote di ‘Faber’, sotto la fascetta ‘esclusiva’ del programma condotto da Barbara D’Urso massacra mediaticamente il padre con queste frasi: “Mio padre Cristiano ha picchiato mia sorella quest’estate. Alice ha 17 anni e se fosse maggiorenne sarebbe qui a raccontarlo. Quest’estate l’ha letteralmente massacrata di botte. Mia sorella è dovuta scappare di casa alle 6 di mattina. Erano in Sardegna”. Barbara D’Urso prende saggiamente le distanze da quelle certo inattese dichiarazioni, poi però sette giorni dopo ospita di nuovo la giovane De André. E verso la fine dell’intervista, arriva il nuovo colpo di teatro. Chiede l’intervistatrice D’Urso: conosci una certa Dolores? E Francesca: “Non mi aspettavo questo tipo di domanda. Te lo accenno e basta. Dolores è una ragazza che ho conosciuto che ha vissuto un rapporto con mio padre. Lei ha la mia età. Da questo rapporto lei ne è uscita completamente traumatizzata e ha dovuto andare in analisi”.

Il burrascoso Cristiano decide allora di affilare le armi legali. Mandato all’avvocato Marco Marzari, diffida trasmessa a Cologno Monzese per il programma, querela depositata in Procura per la figlia. Documento che contiene una serie di riferimenti alla scelta della rete Mediaset, “inopportuna” a dire del querelante, di invitare nuovamente Francesca in trasmissione dopo le prime dichiarazioni penalmente sensibili rilasciate il 26 febbraio. Il programma ha poi invitato, certo, Cristiano De Andrè a replicare, ma l’offerta è stata declinata, considerando quel contesto televisivo non adattissimo a chiarire questioni così delicate.

Ciò che la vita disunisce, il Tribunale riavvicina. Forse si rivedranno a Palazzo di Giustizia.

La sentenza dei giudici di Trento: per essere buoni genitori non contano né il seme né il sesso

Nei paesi civili di regola, ma sarebbe anche previsto dalla nostra Costituzione, il potere legislativo scrive le leggi e quello giudiziario le applica. Per numerose ragioni, che qui è inutile ricordare, da molti anni in Italia non funziona così, e ormai ci siamo abituati alla “supplenza” del magistrato alle lacune del legislatore. Per cultura e indole personale questo andazzo mi piace molto poco quando si manifesta in materie come il diritto penale, però vanno riconosciuti, ai giudici nostrani, molti meriti nel campo invece dei cosiddetti diritti civili.

Del resto, di fronte ad un legislatore che su tali tematiche sembra arenato su logiche medievali, e basti pensare alla recente e sconcertante vicenda di Fabiano Antoniani, ben vengano anche pronunce giudiziarie più “creative”, se utili a rimuovere discriminazioni a dir poco incomprensibili. E’ di ieri la notizia di una decisione della Corte di appello di Trento, diventata in breve virale su tutti i media come “La sentenza dei due papà”. In realtà la Corte ha semplicemente riconosciuto ad una coppia omosessuale, formata da due uomini, la possibilità di trascrivere anche in Italia un provvedimento estero che riconosceva a entrambi un legame genitoriale con due gemelli, nati mediante maternità surrogata. Perché sia chiaro, i giudici di Trento non hanno affatto introdotto anche in Italia la pratica, da noi vietata, dell’utero in affitto, secondo quella definizione un po’ becera ieri riportata da molti, ma si sono limitati a riconoscere validità ad un provvedimento di uno Stato estero, che statuiva secondo legislazione locale.

In pratica, preso atto di un fatto storico accaduto altrove, dove tale pratica è consentita, si doveva unicamente decidere se la conseguente attribuzione di paternità a entrambi, sempre avvenuta altrove, fosse in contrasto o meno con l’ordinamento italiano. E sul punto la Corte ha giustamente osservato che “nel nostro ordinamento il modello di genitorialità non è esclusivamente fondato sul legame biologico” come dimostra, si legge: “la favorevole considerazione al progetto di formazione di una famiglia caratterizzata dalla presenza di figli, anche indipendentemente dal dato genetico, con l’istituto dell’adozione”. Ragion per cui, scrivono i giudici di Trento, se “il concetto di responsabilità genitoriale si manifesta nella consapevole decisione di allevare e accudire il nato”, non vi è ragione per non riconoscere efficacia di genitorialità anche “in assenza di un legame genetico”. Applicando pertanto il principio stabilito da una sentenza della Corte di Cassazione del 2016, la Corte ha dichiarato trascrivibile anche in Italia l’atto di nascita redatto all’estero.

Il ragionamento non fa una grinza. Posto che il partner di quella coppia avrebbe potuto tranquillamente diventare padre adottivo dei due gemelli sposando la madre surrogata, non vi è ragione per ritenere che non lo possa diventare sposando invece l’altro genitore biologico, sol perché di sesso maschile. Ma quello che a mio parere riveste grande importanza è il principio per cui non basta generare un figlio per essere buoni genitori.

L’effettiva idoneità a quello che è forse il “mestiere” più difficile del mondo, infatti, si misura dopo, ossia nella effettiva capacità di crescere e allevare quel figlio. Questo dovrebbe fare riflettere anche tutti quei “benpensanti” nostrani, che puntualmente, come in occasione della mancata approvazione della stepchild, soloneggiano sulla necessità che ad allevare un bambino siano per forza un uomo e una donna. Se il compito di un genitore è quello di fare crescere un figlio con amore e attitudine educativa, così come non conta il seme di provenienza, non dovrebbe contare neppure il sesso. Fatto peraltro, dato da anni per pacificamente assodato in molta parte di mondo, e soprattutto in quella che ci piace molto spesso copiare, ma evidentemente per la Coca Cola e i Mac Donald gli americani vanno bene, ma, come si diceva una volta: “non toccatemi la famiglia”.

avvocato Davide Steccanella