giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Da 40 giorni in carcere da assolto
Vizio di mente, ma in Rems non c’è posto

Da almeno un anno delira, crede di sapere individuare i positivi al coronavirus e di poterli guarire con il suo “effetto”, si sente “controllato dagli aeroplani”. Assolto 40 giorni fa su uno scippo per “totale incapacità di intendere e volere al momento del fatto reato”, è ancora in prigione. Sì, da assolto. Com’è possibile? Perché il giudice, ormai 50 giorni fa, il 29 aprile, ha sostituito la custodia cautelare in carcere con una misura di sicurezza in Rems. Solo che in Rems di posto non ce n’è. 

Si chiama O.D.B., ha 22 anni, è marocchino. E’ già passato, un anno fa, da Castiglione delle Stiviere. E lì ha mostrato una forma di “psicosi paranoide”, collegata anche ad “abuso di cannabis e alcool”, come certifica il perito nominato dal tribunale di Brescia, Giacomo Francesco Filippini. Dopo un periodo di cura presso il Cps, poi, ha abbandonato la terapia mostrando, da novembre 2021, un “progressivo peggioramento del quadro psicopatologico caratterizzato da ideazione paranoidea, tematiche di controllo, interpretatività, fenomeni allucinatori e bizzarrie comportamentali”.

A gennaio scorso Odb sfila il portafoglio a una donna di 78 anni. Lo beccano subito. Il giudice delle direttissime convalida l’arresto e gli impone l’obbligo di presentazione alla Pg. Tre giorni dopo commette un altro scippo. E allora la misura si aggrava: carcere. La sua avvocata chiede l’abbreviato condizionato alla perizia psichiatrica, che decreta: “totalmente incapace di intendere e di volere al momento del fatto”. Il 29 aprile il giudice di Brescia Luigi Andrea Patroni Griffi dispone il Rems al posto del carcere di Pavia. Misura di sicurezza per la durata di due anni: Odb è pericoloso, non mostra “alcun sentimento di sincero pentimento né tantomeno di colpa per l’accaduto, vissuto con freddezza e distacco anaffettivo”, si legge nella perizia. Se rimesso in libertà “non seguirebbe le cure”. Lo stesso giudice lo assolve il 9 maggio.
C’era un precedente quasi identico. Un arresto a Mantova, a dicembre scorso, per tentata rapina. Carcere, ma poi Odb viene rimesso in libertà dal Riesame. Intanto lo psichiatra Pietro Lucarini riceve l’incarico per una perizia. Esito identico: “disturbo psicotico”, “vizio totale di mente”, “persona socialmente pericolosa” per cui si rende necessaria la misura di sicurezza in un Rems. Poi il 24 maggio l’assoluzione anche a Mantova: reato commesso da persona non imputabile.

Eppure a oggi Odb è ancora in prigione, “seguito, per fortuna, da una psichiatra estremamente competente. Però nel 2022 una situazione del genere è inaccettabile”, dice la sua legale, Federica Liparoti. La quale il 7 giugno, dopo istanza al Dap riceve risposta: “Tutte le strutture del territorio nazionale hanno dichiarato l’indisponibilità”. Per Odb, al momento, non c’è posto.

I consigli dell’avvocato Gabriele Fuga dalla cella accanto

Quando in Italia accadeva quello che accade oggi per esempio in Turchia. Arrestavano gli avvocati o licostringevano a rifugiarsi all’estero. Con l’alibi della “lotta al terrorismo” lo stato democratico nato dalla Resistenza antifascista massacrava il diritto di difesa identificando i legali con la “banda armata” di cui eranoaccusati di far parte i loro assistiti. Gabriele Fuga racconta la sua vicenda giudiziaria politica e umana nel libro che ha per titolo “La cella dell’avvocato”, circa 300 pagine, 17 euro, edito da Colubri’ cioè Renato Varani uno dei pochi editori rivoluzionari rimasti a combattere nel modo in cui è possibile farlo adesso.
Fuga, già autore insieme al compianto Enrico Maltini di “La finestra e’ ancora aperta” (la più completa ricostruzione dell’omicidio Pinelli) ricostruisce un periodo storico, parte integrante del più serio tentativo di rivoluzione nel cuore dell’Occidente.
Sulla base esclusiva delle dichiarazioni a verbale del “pentito” Enrico Paghera l’avvocato Fuga fu incarcerato con l’accusa di far parte di Azione Rivoluzionaria gruppo anarchico. Verrà assolto dopo
unanon breve carcerazione preventiva e dovette fronteggiare un altro mandato di arresto spiccato a Milano in relazione all’attività di Prima Linea. Il giudice che aveva firmato il provvedimento poi revocato dopo l’assoluzione nel processo di Livorno sarà eletto parlamentare europeo nelle liste del Pci.
Fuga racconta la vita in carcere, l’assistenza legale fornita agli altri detenuti, istanze, consigli, suggerimenti. A Livorno dopo aver litigato con i suoi legali amici tentò anche la strada dell’autodifesa, spiegando che il consiglio dell’ordine di Milano non lo aveva sospeso e che quindi lui era nel pieno delle sue funzioni. Il pm diede parere contrario dicendo rivolto ai giudici: “io non posso stare sullo stesso piano di un imputato che condannerete come terrorista”. Questo era il clima in cui si svolgevano i processi. I giudici negarono l’autodifesa, ovviamente.
Nel libro sono evocate le storie di altri legali accusati di terrorismo. Da Sergio Spazzali a Edoardo Arnaldi il quale si uccise a Genova nel suo studio durante una perquisizione per non finire in carcere. Da Luigi Zezza che si rifugiò a Parigi lavorando nel quotidiano Liberation a Giovanni Cappelli andato pure lui all’estero.
“Qualunque sia la vostra sentenza qualunque sia l’esito dell’ istruttoria in corso a Milano io continuerò a fare l’avvocato- aveva detto Fuga in sede di dichiarazioni spontanee a Livorno- perché come anarchico e come legale rivendico il diritto e il dovere di difendere tutti i compagni che si rivolgono a me anche quelli che vengono ritenuti ‘compagni che sbagliano’ distinzione che non mi interessa e che non mi permetterei mai fare”. (frank cimini)

Moro per sempre. Neanche la guerra frena i dietrologi

Neanche la guerra in Ucraina riesce a frenare i dietrologi sempre a caccia di fantasmi e misteri inesistenti a 44 anni dal rapimento Moro. L’onorevole Federico Mollicone di Fratelli d’Italia dice che il mosaico è incompleto e propone la ricostituzione della commissione parlamentare di inchiesta “accelerando l’iter della nostra proposta di legge ora incardinata presso la commissione Affari Costituzionali”.
Mollicone riesce a definire prezioso il lavoro della commissione presieduta da Giuseppe Fioroni nella scorsa legislatura che come i suoi predecessori non aveva portato risultati concreti.
In tempi che dovrebbero essere di spending review evidentemente prevalgono le necessità della propaganda e il rifiuto di prendere atto degli esiti processuali che avevano escluso responsabilità diverse da quelle delle Brigate Rosse.
Insomma in Parlamento c’è chi è pronto a buttare altri soldi dalla finestra per inseguire piste che parlano di congiure di palazzo di servizi segreti di mezzo mondo che avrebbero preso parte o addirittura organizzato l’operazione.
La mamma dei dietrologi come quella dei cretini è sempre incinta. La novità in occasione del quarantaquattresimo anniversario è che a muoversi sul punto ci pensa un esponente della destra muovendosi in un campo che era stato fin qui quasi esclusivo appannaggio della “sinistra”. E soprattutto degli eredi di un partito troppo interessato a negare che i fatti del 16 marzo del 1978 furono lo sbocco di un durissimo scontro sociale e politico sfociato in una guerra civile a bassa intensità e neanche troppo bassa a dire il vero.
In questa legislatura la commissione non era stata ricostituita ma evidentemente ci sono persone in crisi di astinenza a destra oltre che a sinistra.
Rimpiangono il presidente Fioroni la cui ultima attività conosciuta è stata quella di aver fatto da sponda all’operazione di propaganda messa in piedi da Magistratura Democratica con il pm Eugenio Albamonte insieme a un gip della stessa corrente per sequestrare l’archivio del ricercatore indipendente Paolo Persichetti. Accadeva questo l’8 di giugno dell’anno scorso. Da allora il reato contestato è stato cambiato cinque volte e ruota intorno a una molto presunta violazione del segreto relativo a atti della commissione.
Non è stata ancora estratta la copia forense. A Persichetti nulla è stato restituito bloccando tutta la sua attività. Tutto ovviamente nel silenzio generale perché gli organi di informazione del caso Moro scrivono solo se c’è da rimestare nel torbido a caccia di improbabili complici. E adesso a dare una mano alla “sinistra” arrivano gli ex fascisti di Fdi. L’Unità’ nazionale della dietrologia erede del partito della fermezza (frank cimini)

Arresti tra i NoTav per i fumogeni nei sit-in ai cantieri

La magistratura appare sempre più in prima linea a tutela dell’affare alta velocità. 2 militanti NoTav sono finiti in carcere altri 2 ai domiciliari e in 9 sono destinatari di obbligo di firma con divieto di risiedere nei comuni della Val di Susa accusati di Resistenza aggravata a pubblico ufficiale è violenza privata in relazione a sit-in e manifestazioni sia davanti ai cantieri sia a Torino città. “Utilizzo di artifici pirotecnici” si legge nella misura cautelare. Cioè nell’Italia del governo di migliori si finisce in galera per quattro fumogeno mentre si protesta legittimamente contro un’opera che da 30 anni sta devastando un territorio un tempo tra i più incontaminati del paese.
Il movimento NoTav in un comunicato fa osservare: “In Val di Susa abbiamo vissuto anni di pandemia in cui mentre chiedevamo risorse per affrontare la crisi sul territorio, mentre cercavamo di prenderci cura della nostra comunità e dei nostri affetti il sistema del Tav occupava intere porzioni del nostro territorio con migliaia di uomini, idranti e lacrimogeni per installare cantieri che servono solo a drenare denaro pubblico. Il nostro è un movimento con decenni di storia alle spalle, abbiamo visto passare governi, questori e prefetti. Abbiamo sempre deciso collettivamente come portare avanti la nostra resistenza, come affrontare la violenza istituzionale che nonostante la contrarietà popolare all’opera ha militarizzato senza remore un’intera valle. Non ci faremo certo intimorire da questa operazione, consapevoli che in questi tempi di guerra, crisi climatica e sociale la nostra lotta, nel nostro piccolo, è uno spiraglio per costruire una speranza per il futuro”.
Il movimento denuncia il tentativo con questa operazione di arrivare a una divisione tra buoni e cattivi. È stato perquisito il centro sociale Askatasuna del quale politici particolarmente zelanti insistono a chiedere la chiusura.
Il problema è politico ma come al solito viene presentato come questione primaria di ordine pubblico. Nel caso specifico magistratura e politica appaiono sempre più unite nella lotta a tutelare tra l’altro appalti e lavori sulla cui trasparenza si è sempre fatto a meno di indagare in profondità. Ogni energia investigativa è concentrata su chi si oppone all’opera forzando fino a contestare nel recente passato la finalità di terrorismo poi caduta in Cassazione dove alcuni giudici facevano notare che il troppo è troppo. La procura di Torino però non demorde: per chi accende fumogeni c’è persino la galera (frank cimini)

Il carcere istituzione reietta, saggio dI Valeria Verdolini

Ci sono addirittura ex magistrati che in servizio lo usarono per acquisire fonti di prova estorcere confessioni a proclamare l’inutilità del carcere a proporre la necessità di superarlo come unica sanzione possibile.
Quindi bisogna chiedersi come definire il carcere nel terzo millennio. Un contributo rilevante e controcorrente arriva da Valeria Verdolini, sociologa, docente all’Universita’ Bicocca. 247 pagine, 18 euro, Carrocci Editore. Il titolo è “L’istituzione reietta”.
Per spiegare come arriva a tale definizione, Verdolini afferma che il carcere si presenta come istituzione residuale che svolge una serie di compiti non richiesti dal mandato formale ma ascrivibili a un welfare a basso costo, housing sociale per i senza fissa dimora, centro di accoglienza per i migranti, comunità terapeutica per i tossicodipenfenti, comunità psichiatrica per le fragilità, centro impiego per i disoccupati, residenza sanitaria e di lungodegenza per anziani.
Si tratta di vulnerabilità che raramente trovano una risposta integrata fuori dalle mura del penitenziario. “Proprio perché contiene, incapacita, raccoglie e gestisce ho scelto l’aggettivo ‘reietta’ – scrive l’autrice – Reietto deriva dal latino reiectus, participio passato di reicere. Il primo significato è respingere rigettare, un’eccezione che comprende le riflessioni sul carcere come discarica sociale, come pattumiera senza speranza”.
L’istituzione è reietta proprio perché si demanda a essa una serie di funzioni che si sono ritirate o che comunque non presentano risorse sufficienti per gestire la popolazione che ne richiede il sostegno. La funzione di discarica sociale viene assolta solo in parte perché non è risolutiva, non ingloba tutta la sofferenza sociale ne’ tantomeno la marginalità.
Si potrebbe parlare di funzione vicaria del carcere, ennesima puntata dell’infinita emergenza italiana, iniziata almeno mezzo secolo fa con la magistratura chiamata dalla politica a risolvere la questione della sovversione interna per delega totale. E che dura fino si giorni nostri. Verdolini ricorda il doppio binario pentitismo/carcere durissimo. Un meccanismo che non disinnesca i processi di devianza ma tende ad amplificarli o ad affievolirli solo sulla base di un criterio di opportunità.
E infatti stiamo a parlare oggi di ergastolo ostativo e delle difficoltà per arginarlo perché grandissima parte della politica e della magistratura in questo unite nella lotta fanno prevalere il bisogno di sicurezza sulla necessità di rispettare i diritti delle persone. Che restano persone portatrici di diritti anche dopo aver preso l’ergastolo e non possono essere inchiodate per sempre a reati commessi moltissimo tempo fa (frank cimini)