giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Covid e carcere ennesima emergenza nel libro di Berardi

Se la pandemia è stata trasformata da chi ha responsabilità politica nell’ennesima emergenza italiana negatrice e affossatrice di diritti va registrato che resta il carcere il luogo in cui il Covid o meglio la sua gestione ha prodotto gli effetti più devastanti. Gira intorno a questa realtà descrivendola fin nei minimi particolari il lavoro di Sandra Berardi presidente e animatrice di Yairaiha Onlus associazione per i diritti dei detenuti di Cosenza che si presenta come “abolizionista convinta”. Il titolo del libro è “Carcere e Covid”, 209 pagine, edito da Strade bianche Stampa Alternativae costa almeno 10 euro.
“Il carcere è un mostro dai denti ben serrati e c’è un meccanismo cattivo che ne rinsalda il morso, un sorta di danza macabra che si muove al ritmo stonato delle poche o nulla quando non false informazioni che dal carcere arrivano – scrive nella prefazione Francesca De Carolis – Il carcere area di sospensione del diritto dove pure la legislazione di emergenza viaggia su un secondo binario complice l’indifferenza di un’opinione pubblica facilmente manipolabile. La cosiddetta emergenza Covid ha fatto esplodere le contraddizioni che vivono i detenuti e ne ha svelato la ferocia”.
Al centro del lavoro di Berardi una situazione che era già esplosiva prima del Covid. La sospensione delle visite degli operatori e dei colloqui con i familiari portava alle proteste, alle rivolte e al pesante bilancio di 13 detenuti morti. L’autrice ricorda che mentre campeggiavano le immagini dei reclusi sui tetti “i professionisti dell’antimafia e amanti della dietrologia si affrettavano a profilare regie occulte in rivolte che erano spontanee”.
Insomma i media facevano il loro sporco lavoro nello spostare l’attenzione dall’emergenza squisitamente sanitaria alla sempreverde emergenza mafia inducendo il Governo a varare normative e procedure poi passate al vaglio della Consulta perché di dubbia costituzionalità.
A gennaio 2020 i detenuti sono 60.971, poi 259 in più al 29 febbraio a fronte di una capienza regolamentare di 50.931 e il tasso di sovraffollamento risulta ancora maggiore nelle regioni colpite dal virus. Le rivolte riguardano gli istituti più affollati. E basterebbe questo dato per ribaltare le ricostruzioni strumentali e le fakenews. Il 21 gennaio del 2020 il rapporto del comitato del consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura punta il dito contro le condizioni igienico-sanitarie, la mancanza di misure alternative, il limite minimo di spazio per ogni recluso. Il Comitato invita l’Italia a evitare il sovraffollamento a abolire la misura dell’isolamento diurno imposta come sanzione penale accessoria per i condannati all’ergastolo. Argomenti questi su cui nessuna forza politica eccezion fatta per i radicali dimostra di avere qualcosa da dire. Brilla per il suo silenzio il ministro Bonafede.
La commissione per i diritti umani del Governo fa sapere di “rammaricarsi per le valutazioni espresso dal comitato europeo per aver avuto la sensazione che esistesse un modus operandi da parte della polizia penitenziaria incline all’aggressione contro i detenuti”.
Non tutti sono sordi o ciechi. Alcuni giornali, certo di nicchia non i cosiddetti giornaloni, denunciano la situazione vera. Il libro di Sandra Berardi riporta il testo di lettere di diversi detenuti che raccontano le loro esperienze di malati. Alessandro dal carcere di Secondigliano: “Sembra che con questo COVID-19 tutti abbiano perso la ragione”.
Poi c’è il racconto del balletto sui numeri dei morti nelle rivolte che Bonafede definisce “atti criminali fuori dalla legalità”. La morte dei 13 detenuti “una drammatica conseguenza”.
Sono le storie di vita in carcere a spiegare il perché delle rivolte con buona pace dei dietrologi la mamma dei quali come quella dei cretini in questo paese è sempre incinta. “La dietrologia impazza – scrive Berardi – dai sindacati di polizia ai politici. La presenza del pm antiterrorismo Nobili che tratta con i detenuti viene associata da un articolo di Repubblica a quella dell’ex Br Maurizio Ferrari che sta insieme ai parenti dei reclusi in un presidio all’esterno”. Il Corriere della Sera fedele alla sua storia almeno fin dal 1969 se la prende con un gruppo di anarchici in piazza. Il “Fatto Quotidiano” insiste sulle regie occulte di cui non esiste nessun riscontro.
Dall’emergenza sanitaria si è passati al securitarismo a tutti i costi. A farne le spese ovviamente è stata soprattutto la popolazione detenuta che già prima del Covid se la passava malissimo.
All’inizio del lavoro di Sandra Berardi sono citate le parole di Angela Davis: “La giustizia è una e indivisibile. Non si può decidere a chi garantire i diritti civili e a chi no”
(frank cimini)

Arrestato leader NoTav, Francia Italia eurorepressione

Evidentemente l’Italia non vedeva l’ora di dire un si alla Francia a livello di repressione dei movimenti antagonisti e il momento è arrivato. È stato arrestato dai carabinieri della compagnia di Susa in esecuzione di un mandato di arresto europeo emesso dalle autorità francesi Emilio Scalzo, 66 anni, uno dei leader storici del movimento NoTav. Scalzo avrebbe aggredito un agente della gendarmeria francese, stando all’accusa, durante gli scontri tra anarchici e polizia d’oltralpe in occasione di una manifestazione partita da Claviere e poi sconfinata in territorio francese.
Scalzo è stato fermato dai militari dell’arma a Bussoleno dove abita. I NoTav dopo aver diffuso la notizia dell’arresto hanno organizzato per la serata di ieri una protesta al presidio di San Didero con lo slogan “Ridateci Emilio Subito”.
È impossibile non mettere in relazione l’arresto di Emilio Scalzo con le partite repressive in corso sul fronte Italia Francia. Innanzitutto c’è la vicenda delle estradizioni relative a nove ex militanti di gruppi della lotta armata per fatti di quaranta e anche cinquanta anni fa fermati a Parigi e poi liberati in attesa delle decisioni dei magistrati, con le udienze che riprenderanno a fine settembre nell’ambito di un iter politico giudiziario che si preannuncia lungo e complesso. L’Italia finora è stata chiamata a completare i dossier relativi a ogni singolo caso.
Inoltre la corte di giustizia di Strasburgo dovrà fissare entro la fine dell’anno in corso l’udienza in cui dovrà decidere la compatibilità del reato dì devastazione e saccheggio con l’ordinamento francese.
Si tratta della storia relativa all’anarchico Vincenzo Vecchi condannato in Italia a 12 anni di reclusione per fatti relativi anche alle manifestazioni del G8 di Genova dell’estate 2001 e per il quale l’Italia chiede la consegna che finora era stata negata. Era stata la giustizia francese a rivolgersi a quella europea per chiarire i contorni giurisprudenziali del caso. La decisione di Strasburgo ha un valore che va ben al di là della vicenda in cui è coinvolto Vecchi perché il reato di devastazione e saccheggio non previsto dalla legislazione francese è stato a lungo utilizzato in Italia per reprimere le manifestazioni di piazza.
Sul punto c’era stato un lungo contenzioso con la Grecia in relazione alla posizione di quattro anarchici per la manifestazione antiExpo del primo maggio del 2015 a Milano. Alla fine i greci negavano l’estradizione scegliendo di processare i loro cittadini in patria decidendo condanne intorno ai due anni e mezzo di reclusione, pene infinitamente inferiori a quelle che si rischiano con la stessa accusa in Italia dove il codice parla di sanzioni tra gli 8 e i 15 anni di prigione.
(frank cimini)

Il pm che arrestò se stesso. Storia di un romanzo

in questi tempi di magistrati che si arrestano tra loro o che tentato di farlo, di procure che cercando di vincere i processi lanciando sospetti infondati sui giudici e sui gip abbiamo letto la storia di un pubblico ministero che arrestò se medesimo. La cosa tecnicamente è impossibile e infatti sta in un romanzo scritto nel 1985, non ancora pubblicato ma che con ogni probabilità lo sarà entro la fine dell’anno proprio perché l’argomento è diventato di stringente attualità.
Il titolo del romanzo è “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere”. L’ambiente è quello dell’emergenza antiterrorismo. Il protagonista è il pm Leopoldo Fiore sostituto procuratore a Milano che considera colpevoli tutti quelli che si avvalgono della facoltà di non rispondere e ovviamente utilizza a piene mani la legge sui pentiti dando in pratica dei fiancheggiatori a quei pochissimi suoi colleghi che la criticano in nome dello Stato di diritto.
Non è il caso di svelare troppi particolari della trama perché non vogliamo togliere il gusto di leggere a chi si recherà in libreria tra pochi mesi trovando il romanzo insieme ad altri tre racconti.
Tra un “pentito” e l’altro il dottor Fiore ne trova uno che lo “tradisce”. Chi di spada ferisce di spada perisce. Il collaboratore di giustizia come si usano definire questi signori svela una serie di irregolarità chiamiamole così con un eufemismo che caratterizzano le indagini.
E Leopoldo Fiore emette un mandato di cattura a suo carico per minacce, falso ideologico e abuso d’ufficio. Il capo della procura ne prende atto gli ricorda di averlo sempre difeso contro tutti gli attacchi, “ma questa volta hai proprio sbagliato”. Così Il dottor Fiore finisce in galera. E che cosa fa? Si avvale della facoltà di non rispondere, proprio quel comportamento che aveva sempre censurato considerandolo addirittura indizio di partecipazione al terrorismo.
L’autore del romanzo è un antico compagno di battaglia e di militanza di chi scrive queste povere righe, una sorta di recensione di un libro che non è ancora uscito sulla giustizia di tanti anni fa ma che trova riscontro in quello che accade adesso, tempi di loggia Ungheria, argomento tabù per magistrati, politici e mezzi di informazione.
A scrivere il romanzo è l’avvocato Gabriele Fuga, noto tra l’altro per un lavoro fondamentale fatto insieme al compianto Enrico Maltini, “La finestra è ancora aperta”. Si tratta della ricostruzione più completa dell’assassinio in questura dell’anarchico Pino Pinelli dove si svela il ruolo fondamentale nel coprire la verità che ebbero gli uomini dei servizi segreti arrivati da Roma.
Nel romanzo dedicato al dottor Fiore si parla anche di avvocati arrestati “per terrorismo”. Fuga fu uno di quei legali finiti in carcere perché chiamati in causa dai soliti pentiti. L’inchiesta che costò la galera all’avvocato Fuga era coordinata da un pm che poi fu eletto come parlamentare europeo nelle liste di un partito che è fin troppo facile immaginare quale fosse. Il solito. (frank cimini)

Emergenza Covid usata per ledere i diritti dei detenuti

“La conseguenza è paradossale. Sarà consentito anche a una persona non vaccinata di essere presente in aula come pubblico. Non sarà consentito di essere presente all’imputato se detenuto vaccinato o meno che sia. Ancora più paradossale se si considera che le persone detenute sono sottoposte a controlli sanitari e in gran parte anche vaccinate”. In un comunicato gli avvocati Eugenio Losco e Mauro Straini criticano la decisione del governo di disporre la proroga dello stato di emergenza Fini alla fine dell’anno.
“Ma è davvero sanitaria la ragione della proroga di tali limitazioni o per usare le parole dello stesso governo “molti degli istituti introdotti hanno permesso anche recuperi di efficienza dello stesso sistema e semplificato alcune incombenze avviando percorsi di ammodernamento e semplificazione delle procedure tanto da essere indicati anche come utili esiti da stabilizzare nell’ambito dei più complessivi progetti di riforma? A qualcuno interessano ancora i diritti dei detenuti?” chiedono gli avvocati Losco e Straini.
Nel comunicato si ricorda che si tratta di limitazioni assai incisive tanto che all’inizio di marzo del 2020 fu proprio la sospensione dei colloqui con i familiari a scatenare le proteste nel corso delle quali morirono 13 persone in circostanze non del tutto chiarite, è la tesi dei legali. Insomma l’intensità delle limitazioni è massima solo nei confronti della popolazione detenuta mentre per esempio non è stata prorogata la possibilità di udienze a porte chiuse che garantivano però la presenza fisica dei reclusi.
(frank cimini)

NoTav, La sorveglianza speciale in tempi di democratura

Il libro, un romanzo di immaginazione dal titolo “Io non sono come voi” non è più tra le aggravanti come chiedeva invece la procura, ma il Tribunale di Torino comunque ha deciso la misura della sorveglianza speciale di 18 mesi per Boba, al secolo Marco Bolognino, 53 anni, anarchico, militante NoTav, redattore di Radio Blackout, condannato in primo grado a 18 mesi per lesioni in relazione a una manifestazione di piazza e a 4 anni per incendio doloso al carcere delle Vallette.
Il Tribunale del capoluogo piemontese si conferma leader nella repressione delle lotte sociali e del dissenso dopo aver tentato invano di trasformare un compressore bruciacchiato da una molotov nel rapimento Moro del terzo millennio (stoppato dalla Cassazione tre volte) e aver condannato Dana Lauriola che aveva usato un megafono durante un sit-in in autostrada a due anni di reclusione, pena che sta scontando tuttora ai domiciliari dopo nove mesi di carcere.

Boba attualmente a piede libero continua le sue battaglie politiche partecipando a manifestazioni e incontri pubblici dando fastidio diciamo e presentandosi come socialmente pericoloso secondo la sezione misure di sorveglianza del Tribunale. Per cui la sua libertà va limitata.
L’istituto della sorveglianza speciale nacque sotto il fascismo ma non è infrequente che venga utilizzato dallo stato democratico nato dalla Resistenza antifascista.
“Anche reati non connotati da immediata offensività della sicurezza e tranquillità pubblica laddove commessi come strumento di lotta ideologica possono rientrare nella previsione degli articoli di legge dei quali ci stiamo occupando” avevano scritto i giudici nel motivare la misura cautelare contro la quale l’avvocato Claudio Novaro ha depositato ricorso in appello.
“Affiggere dei volantini dal contenuto politico anche laddove si ritenga che gli stessi rappresentino uno strumento di lotta ideologica non pare costituire alcun pericolo per la sicurezza e la tranquillità pubblica a meno di non ritenere tali ogni forma di dissenso e di protesta” scrive il difensore nel ricorso che sarà esaminato dalla corte d’appello nei prossimi mesi.
“Analogo discorso vale per l’occupazione di immobili da tempo dismessi di proprietà dello Stato o del demanio e del tutto inutilizzati” aggiunge il legale che critica la volontà di considerare a fini preventivi anche reati contravvenzionali.
Secondo l’avvocato Novaro appare sintomatica la straordinaria distanza tra le posizioni dei giudici e la dottrina giurisprudenziale più avanzata “che ha considerato le misure di prevenzione personali alla stregua di istituti estremamente problematici per un diritto penale democratico avanzando plurimi dubbi sulla loro compatibilità con il quadro costituzionale di riferimento”.
La difesa ricorda che le condanne di Bolognino non sono definitive e che quindi non possono essere utilizzate in sede di misure di prevenzione. In via subordinata il legale critica anche l’eccessiva durata della sorveglianza speciale e l’eccessiva afflittivita’ delle prescrizioni adottate dal Tribunale come quelle di non frequentare esercizi pubblici tra le 18 e le 21 e di non rincasare dopo le 21. Inoltre non sarebbe del tutto motivato il divieto di partecipare a manifestazioni pubbliche.
(frank cimini)