giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Dite al Ministro che nel 62% dei casi la prescrizione è prima del processo

 

Il blocco della prescrizione dopo il primo grado di giudizio invocato dal Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede “è inutile perché è fatto notorio che il 70 per cento dei procedimenti penali finisce in prescrizione al termine delle indagini preliminari”. Lo scrivono in una nota gli avvocati delle Camere Penali di Milano, Como, Lecco, Pavia, Sondrio, Varese, Monza  e Busto Arsizio secondo i quali sarebbe una “riforma dannosa e anticostituzionale che renderebbe eterni i processi di primo grado”.

Le ultime statistiche ufficiali disponibili sul sito del Ministero della Giustizia danno ragione ai legali, anche se indicano con una percentuale un po’ più bassa, il 62%, la fetta dei procedimenti che spirano quasi agli albori: il 58% nella fase preliminare del giudizio più il 4% di casi che si prescrivono con le sentenze di gip e gup. Solo il 19% dei casi di prescrizione riguarda il primo grado, il 18% la corte d’appello e l’uno per cento la Cassazione.

Sempre i numeri del Ministero offrono una panoramica sulle incredibili diversità tra i vari tribunali in materia di prescrizione, difficilmente spiegabili. A Tempio Pausania la prescrizione incide nel 51,1% dei casi, a Vallo della Lucania nel 41% e a Spoleto nel 33,1%, per indicare le prime 3 sedi più colpite dal trascorrere del tempo. Le ultime in questa speciale graduatoria (Urbino, Rovereto, Napoli Nord, Aosta, Piacenza, Trento, Asti, Bolzano) sembrano essere su un altro pianeta, con percentuali di incidenza della prescrizione comprese tra lo zero e lo 0,5 per cento.  E’ il ‘fattore umano’, cioé l’organizzazione dei Tribunali, a determinare queste differenze?  Gli avvocati lombardi invitano prima di fare una riforma, definita dal Ministro e avvocato Giulia Bongiorno “una bomba atomica sui processi, a “esaminare le cause, le possibili soluzioni per le criticità del sistema e le ripercussioni negative sui cittadini” che potrebbero venire condannati a “processi eterni”.

Sembrano molto sagge  le parole scritte  dal Guardasigilli Alfredo Rocco nei lavori preliminari al suo Codice, ancora base del nostro diritto penale sebbene elaborato in epoca fascista: “Il passare del tempo influisce inevitabilmente su tutte le umane vicende , qualunque sia la valutazione che possa farsene dal punto di vista etico o razionale. Il tempo, anche se non riesce a cancellare il ricordo degli avvenimenti umani, lo attenua o lo fa impallidire. E se, di per sé, non può creare o modificare o distruggere i fatti umani, può ben peraltro, con la sua lenta e continua azione demolitrice, influire sulla vita dei rapporti giuridici che da quei fatti hanno origine”. (manuela d’alessandro)

Fondi Expo per il processo telematico, Milano sconfitta in Europa

Milano battistrada nazionale del Processo Civile Telematico, Milano che a luglio faceva sapere a mezzo stampa di essersi candidata alla prestigiosa ‘Bilancia di cristallo della giustizia’, il riconoscimento del Consiglio d’Europa alla pratiche innovative che contribuiscono all’efficienza e qualità della giustizia.

Ma poi, vuoi mettere: con tutti i milioni elargiti nel nome di Expo proprio per realizzare il sogno di un processo ‘leggero’, senza straziare foreste, come si poteva non vincere?

E invece. E’ di oggi la notizia che ad aggiudicarsi la ‘Bilancia’ è il Tribunale di Catania scelto per il progetto che punta a migliorare i tempi delle procedure reative ai ricorsi dei migranti che si sono visti rifiutare la protezione  internazionale dalle Commissioni Territoriali. La proposta etnea è stata selezionata assieme ad altre provenienti dall’Azerbaijan, Bulgaria e Norvegia, scelte tra 37 candidature arrivate da 18 Paesi.

Un dubbio: e se ai giurati l’idea di consegnare una ‘Bilancia di cristallo’ a un Tribunale che ha assegnato i fondi Expo in modo così opaco, tanto da ‘meritarsi’ gli strali dell’Anac e due inchieste penali, sia apparsa un po’ comica?

(manuela d’alessandro)

Perché la separazione delle carriere non è il rimedio al male

 

E’ di questi giorni la raccolta firme a sostegno dell’iniziativa popolare per la separazione delle carriere della magistratura promossa da UCPI (Unione Camere Penali Italiane) e annunciata nella Gazzetta Ufficiale, serie generale n. 93 del 21 aprile 2017.

Il nucleo centrale risiede nella sostituzione dell’attuale primo comma dell’art. 106 della Costituzione che dovrebbe, nell’intenzione dei proponenti, diventare il seguente: “le nomine dei magistrati giudicanti e requirenti hanno luogo per concorsi separati”.

Le ragioni a sostegno dell’iniziativa (che potremmo dire quasi “rivoluzionaria” nel nostro paese) sono plurime, e per la gran parte già note, posto che trattasi di problematica di cui si discute ampiamente da anni e da più parti, ma sostanzialmente si condensano nella volontà di meglio garantire la necessaria “terzietà” del giudicante rispetto ad una delle due parti in contesa, in coerenza con quel “modello accusatorio” che fu il principio ispiratore del codice di rito del 1989.

“Giocheresti una partita arbitrata dal fratello del tuo avversario?” si legge sul sito web del comitato promotore (separazionecarriere.it.) per evidenziare, con efficace slogan, quello che viene ritenuto essere il vizio capitale dell’attuale ordinamento giudiziario: il comune concorso di provenienza.

Da un lato perché chi proviene da una stessa selezione non potrebbe in futuro conservare giusta equidistanza da chi verrebbe comunque visto come un ex “compagno di scuola” e dall’altro perché quella comune legittimazione concorsuale consente successivi passaggi di funzione ulteriormente rafforzanti lo spirito di “colleganza” tra giudicanti e requirenti.

Ne deriva che eliminando quel vizio originario il giudizio penale riacquisterebbe, secondo i promotori, la sua giusta natura di leale confronto tra due parti in perfetta par condicio di fronte al Giudice.

Le motivazioni sono certamente più che lodevoli, ma personalmente non ritengo efficace il rimedio proposto, e non tanto per ragioni “culturali” o “politiche”, ma per un motivo ben più pratico, che cercherò di spiegare.

Se il punto dolens, e su questo siamo ovviamente tutti d’accordo che lo sia, è che a noi difensori capiti talvolta di incappare in giudici palesemente sbilanciati verso la pubblica accusa, la ragione dipende esclusivamente dalla persona di quel giudice che ha evidentemente sbagliato mestiere.

Chi sceglie di esercitare una funzione così delicata, che incide direttamente sulla vita delle persone, deve infatti avere molto chiaro che il suo lavoro consisterà unicamente nel valutare in assoluta oggettività lo spessore delle prove raccolte dalle parti in contesa, e senza il benché minimo condizionamento aliunde, qualunque esso sia.

Un giudice che invece pronuncia una sentenza “in nome del popolo italiano” (evidentemente formato anche da soggetti diversi dai suoi “compagnucci di concorso”) tenendo anche conto della diversità d’ufficio di una delle due parti, è un pessimo magistrato per tara genetica e resterà un pessimo giudice vita natural durante.

Chi nasce pessimo giudice non migliora in forza di legge, né l’imparzialità di giudizio può essere garantita a colpi di commi.

Nella mia professione ho incontrato, come tutti, pessimi giudici e ottimi PM, e come non ho mai pensato che un pessimo PM potesse trasformarsi in futuro in ottimo giudice, altrettanto vale per quei pessimi giudici che non sarà certo un diverso concorso a trasformarl in bravi magistrati.

So bene che mi si obietterà che la riforma di un sistema prescinde dalle singole individualità, e che in ogni caso “il meglio è nemico del bene”, ma proprio perché il tema della terzietà del giudice è fondamentale, temo le soluzioni foglia di fico un po’ ipocrita.

“Avete voluto la separazione delle carriere ? Allora non lamentatevi più” e i pessimi giudici e le pessime sentenze avranno pure l’avallo di una imparzialità per…legge.

avvocato Davide Steccanella

Quei crediti formativi agli avvocati romani per la manifestazione di piazza

Tutto o quasi pare essere lecito al gran mercato dei crediti formativi, anche  sontuose dormite cullate da relatori che parlano a loro stessi. Ma qui si è andati un poco oltre. Gli avvocati romani che hanno partecipato al corteo di sabato scorso da piazza della repubblica a piazza San Giovanni per invocare l’equo compenso sono stati premiati con 3 crediti formativi deontologici. Una decisione sconcertante  per alcune toghe capitoline che hanno espresso vivo disappunto anche sui social.

A deliberare il valore formativo dell’evento è stato il consiglio dell’Ordine romano motivandolo così in una lettera ai propri iscritti: “Dal palco si susseguiranno le relazioni di autorevoli esponenti del mondo delle professioni e dell’avvocatura, ben potendosi inquadrare in quest’ottica la partecipazione  e l’ascolto delle relazioni quale attività di aggiornamento professionale in materia di deontologia e di ordinamento forense rispetto ai temi che saranno trattati su compenso professionali, dignità e decoro dlela professione”. Ora, proprio il “decoro” della professione avrebbe forse dovuto suggerire agli elargitori di crediti che una manifestazione con un taglio così spiccatamente politico non dovrebbe essere inquadrata in un ambito formativo. Un orientamento seguito per esempio dalla Camera Penale di Milano che per domani ha organizzato un incontro coi parlamentari sulle ragioni dell’astensione contro il Ddl Orlando seza concedere crediti formativi per scelta. (manuela d’alessandro)

Perché la riforma Orlando è “inaccettabile” per gli avvocati

Circa 200 avvocati in toga stanno dando vita al flash mob per protestare contro il Ddl Orlando che prevede incisive modifiche al codice penale e a quello di procedura.

L’iniziativa, organizzata dalla Camera Penale, è cominciata col concentramento dei partecipanti al primo piano del Palazzo e prosegue sugli scaloni dell’edificio che affacciano su corso di Porta Vittoria, l’ingresso principale alla ‘casa’ della giustizia milanese. Tra i cartelli esposti: “Processo senza fine? No!” e “Difesa telefonica? No grazie”. Chiaro il riferimento a quelli che i legali definiscono gli aspetti “inaccettabili” della riforma.

PRESCRIZIONE LUNGA E PROCESSI ETERNI

Si dice spesso che col loro cavillare gli avvocati allunghino i processi. “Ma non è così – spiega il presidente della Camera Penale, Monica Gambirasio – tant’è vero che  protestiamo contro l’allungamento della sospensione dei termini della prescrizione”. Il codice riscritto prevede processi più lunghi per 3 anni. “Il decorso del tempo si verifica oggi, nella maggior parte dei casi, per l’inerzia dei pm nelle indagini preliminari. L’esito di un giudizio dilatato accrescerà la sfiducia dei cittadini nel funzionamento della giustizia per cercare di andare incontro all’esigenza della certezza della pena. Noi chiediamo che il processo venga celebrato in tempi ragionevoli ma nel rispetto delle garanzie per gli imputati”.

NO AI PROCESSI IN VIDEOCONFERENZA

Ora i detenuti vengono trasportati dalle carceri nelle aule dei processi per assistere ai procedimenti che li riguardano, salvo casi estremi previsti dalla legge di terrorismo o criminalità organizzata in cui è prevista la video – conferenza. “Con la riforma invece – puntualizza Gambirasio – si lascerebbe ai giudici ampia discrezionalità sulla partecipazione a distanza dei detenuti, anche per reati meno gravi. Il tutto peraltro a ‘costo zero’ nel senso che la riforma non prevede una copertura finanziaria per installare gli apparati”. Ma perché allontanare i detenuti dalle aule è pericoloso? “Siamo di fronte a una mortificazione del diritto delle difesa:  un contro è avere il proprio assistito in aula, con la possibilità di parlare con lui e concordare stategie, un altro è difenderlo in video – collegamento”.

UNA RIFORMA A COLPI DI FIDUCIA

Per la Camera Penale è “criticabile” anche la scelta di proporre il voto di fiducia per l’approvazione del disegno di legge” perché la delicata riscrittura di pezzi del codice penale e di procedura penale non può avvenire attraverso “la soppressione del dibattito parlamentare”. “In ogni caso – conclude Gambirasio – questa non è una riforma organica, con un’idea complessiva della giustizia. Salvo poche eccezioni, il Ddl Orlando appare difficile da condividere”.

(manuela d’alessandro)

Il flash mob della Camera Penale