giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Proroga indagini scaduta per Sala, si avvicina l’ora della verità

Ci siamo. Domani scade la proroga di sei mesi delle indagini sulla Piastra di Expo che riguarda anche Beppe Sala e, tra un paio di settimane o poco più, dovrebbe essere notificata al sindaco la chiusura dell’inchiesta, l’atto che precede di solito la richiesta del processo.

In teoria il pg Felice Isnardi, che aveva sfilato le cartealla Procura per svolgere “ulteriori approfondimenti investigativi”, potrebbe anche chiedere l’archiviazione della posizione dell’esponente del Pd, eventualità che appare del tutto remota. In questi mesi il pg ha lavorato sottotraccia ed è emerso poco delle sue attività. Tra le altre cose, ha interrogato, su richiesta dei suoi legali, l’imprenditore Paolo Pizzarotti, l’altro nome ‘nuovo’ assieme a quello di Sala inserito dalla Procura Generale nel registro degli indagati. Il sindaco, assistito dall’avvocato Salvatore Scuto, ha scelto invece una strategia diversa, preferendo non raccontare al magistrato la sua versione sui due presunti verbali falsificati. Secondo l’accusa, Sala in qualità di ad e commissario unico per l’Esposizione Universale avrebbe retrodatato nel maggio 2012 due verbali di nomina della ‘Commissione aggiudicatrice’ per la Piastra dei Servizi perché non voleva annullare la procedura fin lì svolta nel timore che ‘saltasse’ Expo.

Nel fascicolo sono finite anche le dichiarazioni rese ai media dal primo cittadino: “Quanto è successo in quelle giornate convulse onestamente non lo ricordo – aveva detto  – L’indagine ha comunque appurato che ciò che sarebbe accaduto è stato irrilevante per la gara”. L’inchiesta era stata al centro dello scontro furibondo tra l’allora procuratore capo Bruti Liberati e l’aggiunto Robledo che rinfacciava al ‘rivale’ di non fargli svolgerele indagini su Expo.

Come si comporterà ora Sala dopo lo psicodramma dell”autosospensione’?

Di fatto, la chiusura delle indagini segna un altro atto dell’accusa, come lo era l’iscrizione tra gli indagati,  e sarebbe logico che andasse avanti a governare la città almeno fino a quando un giudice non deciderà di processarlo.E’ certo che a rappresentare l’accusa in un eventuale processo non ci sarà Felice Isnardi che in autunno andrà in pensione.

(manuela d’alessandro)

Per il pm “morta perché denutrita” ma la perizia dice che era malata

 

Morta perché denutrita. Questo il mostruoso sospetto della Procura di Novara  che aveva indagato con l’accusa di omicidio colposo i genitori marocchini di una bimba di 5 anni deceduta all’ospedale Maggiore della città piemontese nel gennaio scorso.

Ora, gli esiti della consulenza medico legale disposta dal pm Ciro Vittorio Caramore raccontano tutta un’altra verità. La piccola, arrivata il 4 gennaio al pronto soccorso in coma, si è spenta  a causa della malattia di Leigh, una grave e incurabile sindrome neuro – metabolica da cui era affetta dalla nascita.

All’epoca grandi titoli di giornali sui genitori sciagurati e clandestini basati su una relazione della Questura che parlava di “apparente stato di denutrizione” e su quanto trapelato da fonti sanitarie e giudiziarie.

“Nei prossimi giorni – annuncia  l’avvocato Debora Piazza che assiste i genitori – chiederò alla Procura di archiviare la posizione dei miei assistiti”. “Dal punto di vista strettamente medico – legale – scrive la dottoressa Chen Yao nella sua relazione – l’accertata presenza della sindrome di Leigh, patologia di per sé a prognosi infausta, non consente di stabilire, con certezza o elevata probabilità logica, un nesso di causa tra la condotta inadeguata dei genitori e il decesso della bimba”. Tuttavia, la consulente si sforza di individuare delle responsabilità dei genitori, forse, ipotizza Piazza, “per salvare la faccia a chi l’ha avuta in cura”. “Indipendentemente dall’identificazione dell’agente eziologico che portò al decesso – si legge nel suo studio -  è emerso, sulla base delle testimonianze fornite dai medici che ebbero in cura la paziente, un inspiegabile, ingiustificato ritardo di richiesta di assistenza medica da parte dei genitori. Il ritardo non ha consentito un’idonea somministrazione dei presidi farmacologici necessari alla correzione dello stato di disidratazione e delle conseguente gravissima ipopotassiemia (carenza di potassio, ndr), privando così la bambina delle già poche chanche di sopravvivenza”.

“Nessuna responsabilità da parte dei genitori – ribatte l’avvocato Piazza – anzi potrebbero esserci negligenze  della struttura sanitaria dove era stata ricoverata nel settembre del 2016 e dei medici che l’hanno visitata in questi anni, non riscontrando la sidrome”.

In ogni caso, anche se fosse arrivata prima la diagnosi, questa è una malattia che non lascia scampo perché, spiega il medico legale, “nella maggior parte dei casi l’aspettativa di vita è ridotta a pochi anni”. Le uniche cure possono consistere nella somministrazione di vitamine e in una dieta adeguata. Si manifesta “in genere tra i 3 mesi e i 2 anni e i bambini colpiti presentano un progressivo ritardo dello sviluppo psico – motorio, perdita di appetito, vomito ricorrente” e altri sintomi invalidanti.

Tante scuse ai genitori di questa bambina fragile che, sottolinea il legale, “era stata fortemente voluta dalla mamma in tarda età, quando era già ‘vecchia’ per i dettami della religione musulmana”.

(manuela d’alessandro)

“Qui per sentire il mio Perry Mason”, la mamma dell’avvocato di Corona conquista tutti

“Quando aveva 10 anni voleva diventare Perry Mason e io gli dicevo: ‘Vedrai, sarai il Perry Mason italiano’”. Se  una mamma ti da’ fiducia, tutto è possibile.

Questa splendida signora sugli 80 anni di eleganza elisabettiana è venuta ad assistere all’appassionata arringa del suo Perry, l’avvocato Ivano Chiesa, che oggi ha cercato di convincere i giudici ad assolvere Fabrizio Corona dall’accusa di avere nascosto al Fisco 2,6 milioni di euro.

Capita talvolta di vedere le mamme degli imputati nelle aule dei processi, e qui spesso abbiamo visto la madre di Corona accompagnare con sguardo amorevole l’ennesima traversata giudiziaria del figliolo.

Non capita mai invece di scorgere la mamma di un avvocato tra i banchi. La simpatica signora Luigia ha ascoltato con grande attenzione le acrobazie verbali del brillante Ivano e, alla fine, si è mangiata con gli occhi lucidi il suo Perry. (manuela d’alessandro)

Ringraziamo per la foto gentilmente concessa Maurizio Maule

 

La sentenza Riina parla di tutti noi anche se ci fa ribrezzo

La sentenza della Cassazione su Totò Riina non parla di pietas, di perdono, di  pentimento. E’ bene leggerla prima di esprimersi.

Parla invece dei diritti fondamentali dell’uomo e lo fa scegliendo parole importanti che vanno ben al di là del ‘capo dei capi’ e ci riguardano tutti, anche se oggi ci ripugna ammetterlo.  E’ una sentenza che parla anche di chi va a morire all’estero  per avere una fine dignitosa perché, come scritto dai pm milanesi del caso Cappato – Dj Fabo, esiste un “diritto alla dignità garantito sia dalla Costituzione che dalla Convenzione europea”. Parla anche dei nostri vecchi genitori quando  negli ospedali o negli ospizi vengono brutalizzati perché non possono difendere la loro estrema dignità di esseri viventi. E ne parla con in mano la nostra costituzione e la legge, quindi se si vuole criticare questa sentenza bisogna farlo usando il suo stesso linguaggio.

Bisogna allora spiegare con le categorie del diritto perché per Riina non valga la “giurisprudenza costante di questa Corte affinché la pena non si risolva in un trattamento inumano e degradante, nel rispetto degli articoli 27 della Costituzione (“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”) e 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (“Nessuno può essere sottoposto a totura né a pene né a trattamenti inumani o degradanti”)”. “Lo stato di salute incompatibile con il regime carcerario – scrivono i magistrati citando diverse pronunce -   idoneo a giustificare il differimento dell’esecuzione della pena per infermità fisica o l’applicazione della detenzione domiciliare della persona non deve limitarsi alla patologia implicante un pericolo di vita per la persona, dovendosi piuttosto avere riguardo a ogni stato morboso o scadimento fisico capace di determinare un’esistenza al di sotto della soglia di dignità che deve essere rispettata pure nella condizione di restrizione carceraria”.     

Bisogna allora avere davanti le cartelle cliniche di Riina, che sappiamo avere 87 anni, essere immobile dalla vita in giù, col respiratore, due tumori, il Parkinson, un filo di voce, e dimostrare che le sue attuali condizioni non siano al di sotto di quella soglia di dignità.

Bisogna anche spiegare se la sua “pericolosità possa considerarsi attuale in considerazione della sopravvenuta precarietà delle condizioni di salute”. Ma chiarirlo bene, con cura. Perché non basta dire che nel 2013 nel cortile di Opera minacciava di uccidere nell’ora d’aria, peraltro durante quel regime di 41 bis che dovrebbe garantire l’assoluto isolamento oggi  invocato da chi non vuole scarcerarlo. Sono passati 4 anni: il magistrato Felicia Marinelli, che ha in carico la questione, è in grado di dimostrare che in questo momento Totò Riina è ancora un uomo pericoloso? A questo domande per fortuna risponderà, in diritto, un Tribunale.

(manuela d’alessandro)

Testo sentenza Cassazione – Riina

Ferrara in aula scatenato contro Di Matteo: “La sua inchiesta ha deformato il cammino della giustizia”

E’ un Giuliano Ferrara “sulfureo” (definizione sua), vecchio animale da talk show liberato in un’aula di Tribunale, quello che si difende dall’accusa di diffamazione  per avere definito, tra le altre cose, una “spaventosa messa in scena predisposta e avviata per perseguire finalità politiche” l’indagine Stato – Mafia condotta dal pm di Palermo Antonino Di Matteo.

“I processi contro i giornalisti si fanno nella Turchia di Erdogan, non in Italia dove si risponde solo per l’ articolo contestato “. Col tocco duro da padrone del salotto, zittisce così il legale di Di Matteo,  l’avvocato Roberta Pezzano, mentre prova a mettere in fila tutti i corsivi malvagi scritti in passato dal fondatore del ‘Foglio’ contro il suo assistito.  Ma la sensazione è che qui davvero si celebri un processo all’inchiesta palermitana con Ferara che divide le squadre in campo: “Da una parte ci sono gli italiani che dicono che un potere segreto dello Stato ha alimentato il rapporto con la mafia, dall’altra chi pensa, come me, che fosse in atto una campagna politica  e civile attraverso Ingroia e Di Matteo e delle piattaforme di ridondanza che deformava il cammino della giustizia”. Ce l’ha in particolare con le intercettazioni carpite nel carcere di Opera tra Totò Riina e Alberto Lo Russo, presunto affiliato alla Sacra Corona a un certo punto affiancato al boss in regime di 41 bis e sospettato da Ferarra di appartenere ai servizi: “Alcune dichiarazioni erano sicuramente reali quando Riina dice di voler uccidere un magistrato, altre erano una messa in scena, come quelle che riguardano Napolitano , prive di qualunque elemento probatorio, ma entravano nella campagna alimentata non tanto da Di Matteo, quanto da alcuni ambienti politici”.  E ancora: “Quando si mettono in mezzo Napolitano, il generale Mori e De Gennaro, il braccio armato di Falcone, c’è qualcosa che non va nell’amministrazione della giustizia. Se per assatanati in toga si intendono i magistrati che fiancheggiano partito o movimenti politici allora sì, Di Matteo lo è “. Ma, per l”elefantino’ (firma della casa sul ‘Foglio’), “non c’è ombra di diffamazione. Penso che a Di Matteo abbia dato fastidio il linguaggio incontinente che ho usato e l’interpretazione che ho dato, che ci fosse  un pregiudizio sfavorevole del suo lavoro di magistrato e del suo prolungamento politico, la sua vocazione civile, per non dire etica, a fare di questo processo il processo della sua vita e della sua carriera di magistrato”.

(manuela d’alessandro)