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Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

I revisori del Sole 24 Ore: troppi dubbi, non possiamo giudicare il bilancio 2016

 

A causa degli “elevati profili di incertezza che fanno sorgere dubbi significativi sulla capacità del Gruppo di continuare a operare sulla base del presupposto della continuità aziendale”, i revisori dei conti di Ernst & Young dichiarano di non essere “in grado di esprimere un giudizio sul bilancio consolidato del Gruppo Sole 24 Ore al 31 dicembre 2016″.

E’ un non giudizio che ferisce come una sentenza di condanna e strozza le speranze del ‘Sole Nuovo’ quello espresso pochi giorni fa dai revisori nella Relazione Finanziaria annuale al 31 dicembre 2016 che Giustiziami ha potuto consultare.  Sono troppi i ‘se’ messi in fila dalla nuova gestione guidata dal presidente Giorgio Fossa per consentire ai professionisti chiamati a valutare il bilancio di spargere ottimismo: “l’ottenimento dalla banche finanziatrici di adeguate linee di credito in sostituzione delle linee in scadenza; la realizzazione dell’aumento di capitale che sarà sottoposto all’approvazione dell’assemblea degli azionisti; l’esecuzione delle azioni previste nel nuovo piano approvato il 20 febbraio 2017; la finalizzazione del processo dell’area di valorizzazione dell’area ‘Formazione ed Eventi’, tramite la cessione a un partner strategico di una interessenza di minoranza”.

Tutte variabili che non rendono affatto certa la prognosi per un malato allo stremo e lasciano l’incertezza sulla capacità del Gruppo “di realizzare le attività  e onorare le passività nel normale corso della gestione”. Alla voce dubbi  figurano anche i “rischi connessi alle indagini in corso” che hanno portato all’uscita di scena del direttore del quotidiano Roberto Napoletano, indagato per false comunicazioni al mercato assieme all’ex presidente Benito Benedini e all’ex ad Donatella Treu per gli oltre 109mila presunti abbonamenti digitali ‘fantasma’ sottoscritti tramite la società anonima inglese Di Source Limited. Sempre dalla relazione di EY emerge che Confindustria è disponibile a investire sino a 30 milioni di euro massimi nell’aumento di capitale e che il Sole ha rivisto il piano presentato alle banche il 10 marzo per inserire i ricavi della cessione della quota di minoranza della divisione ‘Formazione ed Eventi’.

Intanto, cda, revisori e collegio sindacale hanno ricevuto nuovi esposti dal consigliere Tommaso Marino che chiede di indagare sui compensi e i bonus tra cui “la casa a New York” di Napoletano, dopo gli articoli di Antonello Caporale su Tiscali, e sul suo contratto segreto di   buonuscita extra di 2,25 milioni, in seguito alle rivelazioni di Giuseppe Oddo sul sito Business Insider. Tutto ciò mentre si viene a sapere che il 13 aprile la società di revisione Kpmg  ha deliberato “per garantire una tempestiva informazione al mercato di aggiornare i dati 2015  della testata 24 Ore”. E questo racconta la cruda, definitiva verità: le copie totali diffuse in media al giorno due anni fa sono state 231mila, di cui 17mila quelle multiple digitali. Siamo ben lontani dai dati del bilancio 2015, peraltro certificato dalla stessa Kpmg (!), che parlava di “375mila copie complessive” di cui 109mila digitali.

(manuela d’alessandro)

Riceviamo e pubblichiamo questa nota dal ‘Sole 24 Ore’, dopo la pubblicazione dell’articolo: “Con riferimento ai contenuti riportati dal sito Giustiziami.it  ’I revisori del Sole 24 Ore: troppi dubbi, non possiamo giudicare il bilancio 2016′, Il Sole 24 Ore S.p.A. rende noto che il rilascio di una dichiarazione di impossibilità di esprimere un giudizio da parte dei revisori sul bilancio consolidato e sul progetto di bilancio separato al 31 dicembre 2016 non è equiparabile al rilascio di un giudizio negativo, bensì rappresenta una sospensione del giudizio in attesa della finalizzazione del processo di ricapitalizzazione. Non si tratta quindi di ‘un non giudizio che ferisce come una sentenza di condanna’ ma di una soluzione prevista dalla normativa applicabile”.

Pm , archiviare Cappato. “Aiutò Dj Fabo a esercizio diritto alla dignità”

 

Per i pm milanesi che hanno chiesto l’archiviazione di Marco Cappato in relazione alla morte di Dj Fabo nella clinica svizzera ‘Dignitas’ il diritto – dovere alla vita non è un monolite inscalfibile ma va bilanciato con altri diritti fondamentali, come quello alla dignità. In questa prospettiva, un atto in teoria antigiuridico, come aiutare una persona a suicidarsi , perde il suo carattere di anti giuridicità a determinate condizioni, se viene effettuato per agevolare l’esercizio del diritto alla dignità e quello di non subire trattamenti sanitari obbligatori (articolo 32 della Costituzione). Condizioni che sono costituite, nel ragionamento dei pm, dall’esistenza di una documentata malattia con una prognosi infausta e da gravi sofferenze che non si possono alleviare.

Spiegano i pm: Fabiano Antoniani non poteva suicidarsi perché era cieco e paralizzato e se avesse deciso di togliere i supporti respiratori che lo mantenavano in vita sarebbe morto dopo giorni di agonia e sofferenza contrari all’umana dignità.

“Pratiche di suicidio assistito – scrivono i pm Tiziana Siciliano e Sara Arduini -  non costituiscono una violazione del diritto alla vita quando siano connesse a situazioni oggettivamente valutabili di malattia terminale o gravida di sofferenze  o ritenuta intollerabile e/o indegna dal malato stesso. Non pare peregrino affermare che la giurisprudenza anche di rango costituzionale e sovranazionale ha inteso affiancare al principio del diritto alla vita tout court il diritto alla dignità della vita  inteso come sinonimo dell’umana dignità”.

Nella richiesta di archiviazione, che verrà valutata da un gip nei prossimi giorni, si fa osservare che Cappato ha svolto ‘solo’ una “condotta di trasporto” aiutando Dj Fabo a raggiungere la Svizzera. Una condotta che comunque potrebbe rientrare nell’ampia formulazione dell’agevolazione al suicidio richiesta dall’articolo 580 del codice penale, ma per i pm non c’è reato perché il tesoriere dell’associazione ‘Coscioni’ ha agito per aiutare Dj Fabo nell’esercizio di un suo diritto.
Nel complesso ragionamento lungo una quindicina di pagine, i magistrati evidenziano che il “diritto alla vita va esteso al diritto alla dignità della vita”. E per dare forza alle loro tesi ricostruiscono l’iter delle sentenze che, a loro dire, ha aperto dei ‘margini’ sulle pratiche del fine – vita. In particolare, viene dato spazio al caso di Eluana Englaro, la giovane a cui venne ‘staccata la spina’ dopo 17 anni di agonia, nell’ambito del quale è stato sancita dal Tribunale di Milano la possibilità di non accettare le cure anche se ti portano alla morte, qualora siano contrarie alla dignità. Centrale nella tesi dei pm è il concetto che dignità significa anche autodeterminarsi nelle scelte sulla propria salute. I magistrati citano poi una setenza del gup di Roma sulla vicenda di Piergiorgio Welby che definì un diritto soggettivo quello di rifiutare le terapie anche se questo può portare allla propria morte. Ampio risalto viene dato anche ad alcune pronunce  della Corte Costituzionale che pongono un limite alle cure nel rispetto “dell’insieme dei valori che si compendiano nel concetto di dignità umana”. Valorizzate  anche alcune sentenze della CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) dalle quali emerge che il suicidio assistito non costituisce una violazione del diritto alla vita quando ci siano situazioni oggettive di malattia incurabile e di gravi sofferenze del malato. Dunque, per i pm, sempre con riferimento a questa giurisprudenza,  non esisterebbe un diritto al suicidio assistito che si declina una volta per tutte ma che va valutato solo in presenza di determinate condizioni che, suggeriscono i magistrati, il legislatore potrebbe indentificare. (manuela d’alessandro)

Ivrea, “il telefono come l’amianto: cancerogeno ma non si sa perché”

Ancora non si sa perché ma l’amianto e il telefonino, se utilizzato in modo assiduo, possono provocare tumori. Questa analogia emerge dalla consulenza tecnica d’ufficio alla base della sentenza con cui il Tribunale di Ivrea ha condannato l’Inail  a versare una rendita vitalizia all’ex dipendente di Telecom Roberto Romeo, riconoscendogli un danno biologico del 23 per cento causato da un neurinoma. Nello studio disposto dal giudice del lavoro si sottolinea “la mancanza al momento attuale di conoscenze su meccanismi d’azione plausibili per un effetto cancerogeno delle radiofrequenze. D’altra parte anche per l’amianto ci troviamo nella stessa situazione: nessun meccanismo d’azione è stato stabilito con certezza per questa sostanza (...). Questo non deve ovviamente impedire che si consideri l’amianto come un cancerogeno per la specie umana”.

Nella sua consulenza di parte, l’Inail evidenziava  invece che “nonostante le numerose ricerche compiute negli anni, non si è ancora stabilito nessun meccanismo di azione in base al quale l’esposizione alle radiofrequenze di basso livello prodotte dai cellulari possa contribuire all’insorgenza dei tumori”. Il consulente Paolo Crosignani conclude che “la causa della malattia” contratta da Romeo, che ha tenuto il telefonino appiccicato all’orecchio destro, ora sordo, per 15 anni 3 ore al giorno, “sia in misura ‘più probabile che non’ da attribuire alle esposizioni derivanti dal lavoro svolto”. E lo fa, in sostanza, solo sulla base dei convincimenti raggiunti dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione mondiale della sanità (IARC) che nel 2011 “ha reso nota una valutazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici ad altra frequenza come ‘cancerogeni possibili per l’uomo’”. “E’ su questa monografia di 480 pagine – precisa Crosignani – che si baseranno le mie valutazioni. Non sono stati reperiti lavori scientifici dirimenti per la valutazione delle radiofrequenze come cancerogeni per la specie umana comparsi in epoca successiva”.

Il dispostivo della sentenza

Consulenza tecnica disposta dal giudice su telefonini

La risposta dell’INAIL

le motivazioni della sentenza

Il ‘busto’ per il mal di schiena dell’avvocato blocca il processo a Maroni

 

Al processo a Roberto Maroni hanno tutti mal di schiena. A cominciare dal suo avvocato, Domenico Aiello, che ha chiesto e ottenuto il rinvio dell’udienza di oggi per un dolore così tremendo da costringerlo a indossare un busto.

Legittimo impedimento, nessuno ha fiatato sul punto: né i giudici i quali hanno preso atto del certificato del medico chirurgo “che attesta l’impossibilità assoluta” del legale a essere in aula, né il pm Eugenio Fusco, noto per il suo fair play. Eppure una lieve insofferenza sia da parte del  Tribunale che del pubblico ministero non è sfuggita visto che questo è l’ennesimo intoppo a un processo partito il primo dicembre 2015 il cui esito potrebbe essere fatale a Maroni. Se il Tribunale dovesse condannarlo per le presunte pressioni illecite per far ottenere un lavoro e un contratto a Tokyo a due sue ex collaboratrici, il Governatore verrebbe sospeso per effetto della legge Severino.

Ma torniamo ai ‘coming out’ delle parti sul male che affligge chi sta chino sui codici.

Ecco il pm Fusco: “Io di mal di schiena me ne intendo. Vado spesso in udienza col bustino e anche a questo processo ci sono sono venuto due volte”. E il presidente del collegio Maria Teresa Guadagnino: “Al di là della schiena, che abbiamo tutti mal di schiena, è un peccato annullare  l’udienza. Sono malattie che non si curano come l’influenza, quindi forse, dal punto di vista deontologico, bisognerebbe attrezzarsi per mandare un sostituto processuale”.

Questo di oggi è il secondo impedimento chiesto e ottenuto da Aiello per malattia dopo quello della scorsa udienza del 16 marzo. La sensazione è che il Governatore non abbia nessuna fretta di arrivare al traguardo prima della fine naturale della legislatura nel 2018.  La condanna nel frattempo  inflitta in primo grado all’allora dg di Expo Christian Malangone nel processo col rito abbreviato per la stessa vicenda ha preoccupato Maroni, forse pentito di avere chiesto in precedenza il giudizio immediato. Anche perché nelle motivazioni si parlava di viaggio a Tokyo “per il piacere del Presidente” con riferimento alla sua presunta “relazione affettiva” con Maria Grazia Paturzo (non indagata).

Dopo di allora sono arrivati rinvii per la partecipazione del Governatore a un convegno sulla ludopatia e alle elezioni  a Varese e per l’adesione all’astensione degli avvocati di Aiello. In mezzo, alte dosi di nervosismo ogni volta che in aula si è discusso sul calendario. (manuela d’alessandro)

Perché la riforma Orlando è “inaccettabile” per gli avvocati

Circa 200 avvocati in toga stanno dando vita al flash mob per protestare contro il Ddl Orlando che prevede incisive modifiche al codice penale e a quello di procedura.

L’iniziativa, organizzata dalla Camera Penale, è cominciata col concentramento dei partecipanti al primo piano del Palazzo e prosegue sugli scaloni dell’edificio che affacciano su corso di Porta Vittoria, l’ingresso principale alla ‘casa’ della giustizia milanese. Tra i cartelli esposti: “Processo senza fine? No!” e “Difesa telefonica? No grazie”. Chiaro il riferimento a quelli che i legali definiscono gli aspetti “inaccettabili” della riforma.

PRESCRIZIONE LUNGA E PROCESSI ETERNI

Si dice spesso che col loro cavillare gli avvocati allunghino i processi. “Ma non è così – spiega il presidente della Camera Penale, Monica Gambirasio – tant’è vero che  protestiamo contro l’allungamento della sospensione dei termini della prescrizione”. Il codice riscritto prevede processi più lunghi per 3 anni. “Il decorso del tempo si verifica oggi, nella maggior parte dei casi, per l’inerzia dei pm nelle indagini preliminari. L’esito di un giudizio dilatato accrescerà la sfiducia dei cittadini nel funzionamento della giustizia per cercare di andare incontro all’esigenza della certezza della pena. Noi chiediamo che il processo venga celebrato in tempi ragionevoli ma nel rispetto delle garanzie per gli imputati”.

NO AI PROCESSI IN VIDEOCONFERENZA

Ora i detenuti vengono trasportati dalle carceri nelle aule dei processi per assistere ai procedimenti che li riguardano, salvo casi estremi previsti dalla legge di terrorismo o criminalità organizzata in cui è prevista la video – conferenza. “Con la riforma invece – puntualizza Gambirasio – si lascerebbe ai giudici ampia discrezionalità sulla partecipazione a distanza dei detenuti, anche per reati meno gravi. Il tutto peraltro a ‘costo zero’ nel senso che la riforma non prevede una copertura finanziaria per installare gli apparati”. Ma perché allontanare i detenuti dalle aule è pericoloso? “Siamo di fronte a una mortificazione del diritto delle difesa:  un contro è avere il proprio assistito in aula, con la possibilità di parlare con lui e concordare stategie, un altro è difenderlo in video – collegamento”.

UNA RIFORMA A COLPI DI FIDUCIA

Per la Camera Penale è “criticabile” anche la scelta di proporre il voto di fiducia per l’approvazione del disegno di legge” perché la delicata riscrittura di pezzi del codice penale e di procedura penale non può avvenire attraverso “la soppressione del dibattito parlamentare”. “In ogni caso – conclude Gambirasio – questa non è una riforma organica, con un’idea complessiva della giustizia. Salvo poche eccezioni, il Ddl Orlando appare difficile da condividere”.

(manuela d’alessandro)

Il flash mob della Camera Penale