giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Sala a Palazzo: “Fare accendere i monitor di Expo? Ne ho già abbastanza qua dentro…”

 

Beppe Sala sbarca a Palazzo di Giustizia per testimoniare al processo Maroni e come un alieno su una terra impervia si guarda attorno e posa lo sguardo su uno dei monitor non funzionanti acquistati coi soldi di Expo. “Cosa sono? Cosa vuol dire ‘udienza facile’?”.

“Sindaco – gli spieghiamo – sono i monitor acquistati coi soldi di Expo. Non può fare qualcosa per farli partire? Sono qui da 3 anni anni e non danno cenni di vita”. E lui, con amaro sorriso e chiaro riferimento all’indagine sulla ‘Piastra di Expo’ in cui è indagato per falso: “Ne ho già abbastanza, rischio di diventare un habitué qua dentro. Ah sì, ora ricordo, era l’appalto fatto dalla Pomodoro…”.

Si, caro sindaco, ma lei dovrebbe saperne di più perché era il commissario unico di Expo e vennero comprati con la ‘dote’ dell’Esposizione Universale’. Quasi duecento dispositivi di marca Samsung presi nell’ambito di un appalto complessivo da circa due milioni di euro. L’obbiettivo era ‘informatizzare’ la giustizia in vista dell’appuntamento col mondo e, in particolare, far orientare i cittadini nel dedalo giudiziario, sostituendo i fogli di carta appesi alle porte delle aule.

Spenti da secoli, ormai un arredo inerte che punteggia ogni angolo della cittadella giudiziaria, i monitor rappresentano lo spreco più evidente del ‘tesoro’ assegnato alla magistratura milanese in nome di Expo. Con l’ironia della scritta ‘udienza facile’ che lampeggia senza requie, chissà con quale dispendio di energia elettrica. E non sapremo mai di chi ne è la colpa perché nessuna indagine è mai stata aperta. Forse perché chi decideva cosa farne di quei soldi erano proprio dei magistrati. (manuela d’alessandro)

Il gip di Milano, “Mozzarelle al procuratore capo di Aosta in cambio di favori”

Mozzarelle in cambio di favori. A ricevere a domicilio gioielli dal profumo campano della morbida pasta filante sarebbe stato il procuratore  di Aosta Pasquale Longarini dall’amico imprenditore Gerardo Cuomo. Scambi caseari nell’ambito di un’amicizia che, secondo la Procura di Milano, avrebbe assunto contorni di rilievo penale tanto da portare ai domiciliari sia il magistrato già autore delle indagini sul delitto di Cogne sia l’imprenditore Gerardo Cuomo che si autodefinisce “un massone” e nella valle ha eretto da anni un santuario dei formaggi che spazia dalla locale fontina all’esotica mozzarella.

“A fronte della sollecita disponibilità nei confronti dell’amico imprenditore” – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare in cui è ipotizzato a carico di entrambi il reato di ‘induzione indebita a dare o promettere utilità - Longarini avrebbe ricevuto “forniture di prodotti caseari”, e “favori, se non delle vere e proprie remunerazioni, come nel caso del viaggio in Marocco effettuato dal 13 al 15 settembre scorso (…)”. In particolare, è scritto in una nota del provvedimento, gli inquirenti vedono il 23 maggio 2015 “Cuomo uscire dalla propra azienda casearia insieme a Longarini e caricare uno scatolone di merce sul sedile posteriore della jeep di proprietà” del magistrato. Inoltre, da alcune conversazioni intercettate il 10 luglio 2016, “si comprende che Cuomo si reca verso le ore 20 e 30 a casa di Longarini per consegnargli delle mozzarelle”. Longarini in cambio si sarebbe interessato presso la Questura di Aosta “per far ottenere – senza peraltro riuscirvi – a un dipendente di Cuomo il rilascio della carta di soggiorno, necessaria per la stipulazione di un contratto di mutuo”. E avrebbe fatto delle “segnalazioni al primario di ortopedia dell’ospedale di Aosta affinché Cuomo in pronto soccorso per una sospetta frattura dovuta a un infortunio sul lavoro ricevesse cure sollecita da parte dei sanitari presenti”.

Secondo l’accusa, Longarini, da più di vent’anni ‘toga’ nella valle, avrebbe chiesto a un albergatore, che in quel momento stava indagando per fatture false e frode fiscale, di favorire il suo amico Cuomo affidandogli un appalto per la fornitura di prodotti caseari del valore di 70mila euro all’anno. Di qui l’accusa di ‘induzione indebita a dare o promettere utilità’, quella che nella vecchia formula si chiamava concussione. All’imprenditore, socio di un hotel di lusso a Courmayer, il magistrato avrebbe assicurato un trattamento di favore nell’indagine da lui coordinata.  (manuela d’alessandro)

Il 9 aprile 2019 il gup Guido Salvini ha assolto Pasquale Longarini, Sergio Barathier e Gerardo Cuomo ‘perché il fatto non sussiste’.

Processo blogger: pm, “condannare a 1 anno Selvaggia Lucarelli, la sua versione è inverosimile”

“Lucarelli va condannata a un anno di carcere, la sua versione di non avere partecipato alla trattativa per la vendita delle foto a casa Clooney non è verosimile”. E’ una requisitoria dai toni pacati quella del pm Grazia Colacicco ma le conclusioni tirate a 7 anni dai fatti sono cruente. “Tutti i reati sono pienamente provati, tranne quello di accesso e detenzione di codici abusivi per Soncini. Chiedo  la pena di un anno e due mesi per Gianluca Neri, un anno per Selvaggia Lucarelli e dieci mesi per Guia Soncini”.

Il pm ammette che “non c’è la prova della ‘pistola fumante’ che Neri si sia introdotto nella posta di Federica Fontana e poi abbia mandato le foto della festa della Canalis alla Lucarelli anche perché parliamo di una persona che sapeva come muoversi e qualche precauzione l’ha presa”, ma suo avviso c’è abbastanza materiale, tra sms, mail e testimonianze, per condannare tutti e tre.

Colacicco si “dispiace che Lucarelli non sia venuta in aula per sottoporsi a un esame in contraddittorio davanti a me” e però, aggiunge, “quando ha negato la trattativa per vendere le foto a ‘Chi’ non può dire una cosa vera perché altrimenti Giuseppe Carriere e Alfonso Signorini sarebbero responsabili del reato di calunnia”. E ancora: “Si difende dicendo che se avesse avuto qualche vantaggio da Neri ce ne sarebbe traccia nei suoi articoli. E infatti c’è, quando scrive sul suo blog del divorzio dell’attrice Scarlett Johansson di cui parla prima con Neri nelle conversazioni interecettate”.”Anche la versione data da Neri è impossibile – aggiunge il magistrato – dice di essersi procurato i gossip su 4chan (il contenitore americano di pettegolezzi, ndr), ma noi non abbiamo la prova di questi suoi accessi dal suo pc”.

Tra i messaggi più significativi, il magistrato cita quello in cui “Neri dice a Lucarelli che non sprecherà la parola ‘Canalis’ tra le sei opportunità che ha per indovinare la password della mail di Clooney” e quelli in cui i due parlano dell’account di Mara Venier (“Habemus Mara”, scrive lui e lei ribatte reclamando “tutti gli scheletri di Mara”). Inoltre, Colacicco ricorda che, quando si seppe delle indagini dopo le perquisizioni, “Neri suggerì a Lucarelli di dire agli inquirenti di avere ricevuto le foto dall’email giorgioclone61, cosa che poi effettivamente lei fece quando venne sentita come testimone”.

Dopo il pm, gli avvocati Marco Tullio Giordano e Giuseppe Vaciago hanno chiesto una provvsionale di 10mila euro per ciascuna delle due parti civili Elisabetta Canalis e Federica Fontana.

“Per quelle foto c’è stata una trattativa da diverse migliaia di euro – ha detto Giordano -  che è pienamente provata. Questo tipo di reati ha gravi conseguenze morali per chi le subisce perché le persone non sanno di essere sotto controllo. Canalis lo ha saputo solo nel 2012 e, in quel momento, ha potuto pensare di essere ancora controllata”. Prossima udienza il 27 marzo: spazio alle difese e rinvio per repliche e sentenza. (manuela d’alessandro)

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I furti a Milano? Le denunce non si prendono “se non sono clamorosi”

 

 

A Milano le denunce di furto, anche quando si hanno sospetti ben precisi su chi sia stato l’autore, non vengono prese in considerazione “a meno che non si tratti di casi clamorosi” dove per “clamorosi” non si capisce esattamente cosa si intenda. Ce lo racconta l’avvocato Alessia Sorgato che se lo è sentito dire dall’impiegata all’ufficio ricezione atti della Procura.  “Mi ero presentata con tutti i sacri crismi: atto di nomina della parte lesa, sua carta di identità e denuncia in caserma in cui la mia cliente identificava chi aveva commesso il reato. Sappiamo tutti da 20 anni che le denunce contro ignoti non hanno seguito, ma qui la persona era ben  identificabile! L’impiegata però ci ha detto che non l’avrebbe rubricata nel sistema e me l’ha restituita spiegandomi che queste sono le direttive a meno che non sia qualcosa di clamoroso. E mi ha invitata a fare apposita istanza se il nostro fosse un caso particolare”.

Al di là dello sconcerto per il no incassato alla ricezione atti, Sorgato fa notare le gravi conseguenze sui cittadini che può avere questo orientamento: “La prova del reato di ricettazione passa attraverso la denuncia di furto. Senza, non è possibile far valere nessun diritto su un oggetto di cui siamo stati derubati, nemmeno se lo riconosciamo come nostro”.   (manuela d’alessandro)

Va in pensione Piero Forno, il procuratore che inventò la specializzazione in reati sessuali

 

Che rapporto hanno i pubblici ministeri con i loro inquisiti? Dopo decenni spesi a fare i conti con le colpe vere o presunte dei loro ‘clienti’, l’abitudine al sospetto li porta a convincersi che in fondo – come ebbe a dire un famoso magistrato – “non ci sono innocenti”?

Il tema è tanto complesso quanto inesplorato. E spinge a qualche riflessione soprattutto nel caso di un pubblico ministero che ha appena lasciato la Procura di Milano, anche se in questi giorni lo si vede ancora andare e venire per finire di impacchettare le sue cose. Si chiama Pietro Forno, Piero per gli amici; è stato per anni procuratore aggiunto; ma la sua importanza nella magistratura – milanese e non solo – è indubbiamente legata all’esperienza pluridecennale su un fronte che avrebbe logorato qualunque altro magistrato: i reati sessuali. E che riporta alla domanda iniziale: rapportarsi col male è inevitabile per qualunque pm, ma quale visione del mondo matura un pm che si confronta quotidianamente con gli abissi della psiche umana, anche nelle sue forme più perverse? Un conto è avere a che fare con i rapinatori di banche, un altro è occuparsi di padri che violentano le figlie.
Forno ha fatto anche altro, in carriera: pochi ricordano, per esempio, che fu lui – allora impegnato sul fronte dell’eversione – a vedersi affidare dai colleghi Gherardo Colombo e Giuliano Turone gli elenchi degli iscritti alla loggia massonica P2, che i due volevano mettere al sicuro prima che venissero fatti sparire. Poi però, quasi per caso, Forno iniziò ad occuparsi di alcuni casi di violenza sessuale. E presto si rese conto di come questi crimini terribili fossero affidati a inquirenti e investigatori impreparati, e della necessità di creare una specializzazione, di formare magistrati e poliziotti in grado di muoversi su un terreno reso delicatissimo dal reato stesso: un reato che nella stragrande maggioranza dei casi ha la vittima come unico testimone. Nacque così, voluta da Forno e dall’allora questore Umberto Lucchese, la sezione speciale della Squadra Mobile, che ebbe per primo capo Stefania De Bellis.
Da allora sono passati più di venticinque anni, Forno nel frattempo è andato a Torino – la sua città – a fare il procuratore aggiunto, anche lì esportando la specializzazione nei reati sessuali. Il numero di stupratori che ha arrestato in carriera è incalcolabile. Ha ricevuto riconoscimenti ma anche critiche pesanti: non solo da una parte dell’avvocatura, che gli rimproverava un ‘pregiudizio colpevolista’, ma in qualche caso anche da parte dei suoi colleghi. E’ rimasto negli annali il suo scontro con il pm Tiziana Siciliano, che nel 2000 ereditò l’indagine di Forno su un tassista accusato di avere violentato la propria figlia di tre anni: per Forno l’uomo era un mostro, la Siciliano in aula invece chiese e ottenne l’assoluzione del tassista ‘per non avere commesso il fatto’. Ne nacquero polemiche indiavolate.
Le statistiche dicono che le assoluzioni nei processi scaturiti dalle inchieste di Forno sono assai basse, pari o inferiori alla media di altri settori. Certo, venire accusato ingiustamente di essere uno stupratore seriale non è come subire una accusa infondata di falso in bilancio, e chi viene assolto esce comunque con la vita distrutta (specie se è passato per il carcere, dove i reati sessuali sono gli unici per cui gli altri detenuti non applicano la presunzione di innocenza).Ma sarebbe ingiusto non dare atto a Forno di essersi dedicato ad un lavoro difficile con serietà e con buoni risultati, e di non essersi mai intimidito davanti ai poteri forti: quello della Chiesa, innanzitutto, le cui coperture alle devianze dei sacerdoti pedofilii ha sempre denunciato con forza; ma anche di istituzioni benemerite come il Premio Grinzane, di cui quando era a Torino rivelò il lato inconfessabile.
Non sarà una eredità facile da raccogliere, quella di Forno: assegnata provvisoriamente dal procuratore Francesco Greco al pm Cristiana Roveda, incaricata di guidare il ‘terzo dipartimento’ in attesa dell’arrivo di un nuovo procuratore aggiunto. Ma oltre alla esperienza inquisitoria, non sarà facile sostituirne neanche la mancanza di arroganza, i toni pacati anche in casi esplosivi come l’affare Ruby. E la assenza di sussiego con cui resse, in quanto anziano dell’ufficio, la Procura della Repubblica nell’interregno seguito alle dimissioni di Bruti Liberati. (orsola golgi)