giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Non c’è terrorismo ma pm insiste comunque per la galera

Nonostante il Tribunale del Riesame abbia annullato l’accusa di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo la procura di Genova insiste affinché le 9 misure cautelari tra arresti domiciliari e obblighi di dimora siano trasformate in carcerazione a carico degli anarchici che rispondono di pubblicazione clandestina (la rivista Bezmotivny che sta in bacheca sulla pubblica via e viene spedita per abbonamento postale) e istigazione a delinquere per aver inneggiato ad Alfredo Cospito.

All’udienza di stamattina il pm non si è presentato in aula davanti al Riesame facendo riferimento alla memoria già presentata al collegio che aveva escluso il reato associativo e che è stata nuovamente depositata.

Gli avvocati delle difese hanno discusso ribadendo la necessità di rigettare la richiesta della procura. Secondo il pm gli indagati dovrebbero finire in carcere per la responsabilità di aver scritto su una rivista ormai praticamente chiusa a causa di ristrettezze economiche e per aver manifestato solidarietà a Cospito. Per la procura gli indagati sono “inaffidabili” in quanto “refrattari alle regole imposte dall’autorita’”. Le difese fanno riferimento alla violazione e della libertà di pensiero. Il Tribunale del Riesame si è riservato di decidere sulle misure cautelari e lo farà nei prossimi giorni.

Intanto nel carcere di Sassari Bancali Alfredo Cospito è stato sospeso per una settimana dalle attività ricreative e sportive perché nel corso del colloquio con la sorella Claudia lo scorso 8 agosto parlando della vicenda delle foto dei genitori che non può tenere in cella aveva detto: “le foto me le hanno sbloccate da Torino dal signor Salutto (in realtà il procuratore generale Saluzzo n.d.r.) quella testa di c…. ma il carcere si sarà opposto”.

L’avvocato Flavio Rossi Albertini ha presentato reclamo spiegando che la diffamazione ipotizzata non è ravvisabile giuridicamente richiedendo la stessa la comunicazione con due persone e che la frase pronunciata da Alfredo Cospito si risolverebbe al massimo in una ingiuria oggi depenalizzata.

Secondo il legale la sanzione è al di l fuori del principio di legalità “ovvero di tassatività e tipicità delle infrazioni disciplinari non essendo rinvenibile alcuna previsione normativa che sanzioni il comportamento tenuto dal proprio assistito”.

Il 14 settembre ci sarà a Torino l’udienza per discutere sulla possibilità di tenere in cella le foto dei genitori. Il 19 ottobre a Roma invece si parlerà della richiesta di revoca del 41bis davanti al Tribunale di Sorvegliana.

(frank cimini)

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Riesame Genova annulla accusa di terrorismo

A Genova non c’è nessuna associazione sovversiva finalizzata al terrorismo. Lo ha deciso il Tribunale del Riesame bocciando la tesi della procura. Restano 4 anarchici agli arresti domiciliari e altri 5 con obbligo di dimora con le accuse di pubblicazione clandestina della rivista Bezmotivny e offesa all’onore e al prestigio del presidente della Repubbluca. Insomma la logica dei giudici è stata quella di un colpo al cerchio e uno alla botte perché non se la sono sentita di cancellare la tesi dei pm su tutta la linea.
Dice l’avvocato Fabio Sommovigo uno dei difensori: “Dovremo attendere le motivazioni per avere un quadro davvero preciso della decisione. Dal dispositivo però già emerge con chiarezza che il Tribunale del riesame di Genova ha escluso la sussistenza dell’associazione terroristica ipotizzata dal pm e dal gip. È stata quindi accolta sul punto la prospettazione difensiva e eliminata dalla vicenda cautelare quella che appariva, sinceramente, un’interpretazione errata e abnorme.
Resta, invece, confermata la decisione di mantenere l’applicazione di gravi misure cautelari connesse esclusivamente alla realizzazione di un periodico che, peraltro, prima dell’ordinanza cautelare, aveva già cessato le proprie pubblicazioni. Ciò preoccupa.
Occorrerà leggere attentamente le ragioni di tale scelta, anche al fine di valutare possibili impugnazioni.
Il legale conclude: “sono stati annullati anche annullati anche i sequestri per difetto di motivazione”.
Insomma la montagna ha partorito il topolino. Siamo sempre nell’ambito di una repressione senza sovversione e su questo adesso c’è pure il timbro dei giudici del Riesame. Il quindicinale che ora non esce più per mancanza di soldi era tanto clandestino da stare in bacheca sulla pubblica via a Carrara.
Tra un mese e mezzo il Riesame depositerà le motivazioni della sua decisione. Intanto hanno chiuso un giornale di opposizione con tanti saluti alla libertà di stampa (frank cimini)

Giurisprudenza creativa, pm: anarchici sono inaffidabili

“Non emergono dagli atti di indagine elementi seri e concreti che consentano di fare affidamento su una cooperazione da parte degli indagati. Anzi tale concorso di volontà non solo non è ipotizzabile ma può ragionevolmente escludersi. Si tratta di soggetti refrattari al rispetto delle regole imposte dall’autorita’”. Questo scrive il pm di Genova Federico Monotti nel ricorso contro la decisione del gip di decidere “solo” per arresti domiciliari e obblighi di dimora in relazione alla posizione degli anarchici accusati di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo per la pubblicazione della rivista Bezmotivny definita dai magistrati “clandestina” pur stando in bacheca sulla pubblica via di Carrara.
Siamo in presenza di una giurisprudenza sempre più creativa che arriva a affermare che gli indagati devono cooperare con l’indagine altrimenti non risultano affidabili. Per cui per loro ci può essere solo la custodia cautelare in carcere. Il ricorso del pm sarà discusso davanti al Tribunale del Riesame il 6 settembre mentre quello dei difensori che chiedono di annullare tutte le misure cautelari sarà esaminato domani mattina lunedì.
Agli atti è stata allegata una relazione della Digos sull’ultimo numero della rivista che è praticamente stata chiusa con l’esecuzione delle misure cautelari. La polizia racconta le difficoltà economiche del quindicinale emergenti dallo scambio di mail tra gli indagati per concludere: “Malgrado le difficoltà appare di tutta evidenza la ferma volontà del gruppo editoriale a proseguire nella stampa del quindicinale anarchico clandestino proseguendo nella loro idea apologetica associativa istigatoria ed esaltando sia la parte ideologica sia l’azione diretta”.
Hanno paura lor signori insomma di un quindicinale chiuso per mancanza di soldi perché tra l’altro non tornerebbero indietro i soldi delle vendite delle copie mandate a diversi centri sociali. Mezzo secolo fa più o meno il potere costituito scatenò la repressione per un fumetto pubblicato dalla rivista Metropoli. Ma almeno il potere di allora aveva l’attenuante cosiddetta che c’era di mezzo Moro e oltre ai morti per le strade. Qui nel terzo millennio siamo alla repressione senza sovversione. Del tutto preventiva. (frank cimini)

Il Viminale lancia la campagna sulle sextortion ma le denunce web sono bloccate

Giornali, agenzie e testate multimediali stanno dando spazio e risalto all’allerta lanciata dai siti del ministero dell’Interno e dalla Polizia postale e delle comunicazioni. Sono in aumento le sextortion, le estorsioni sessuali, con una escalation estiva, più di cento casi noti solo nella prima metà di agosto e un numero oscuro imponderabile.

Cosa sono le sextortion

«Si tratta di un fenomeno con un enorme potenziale di pericolosità, perché agisce sulla fragilità delle persone, in particolare adulti e minori di genere maschile. Tutto inizia – viene spiegato da Viminale e investigatori specializzati – con qualche messaggio scambiato con profili social di ragazze e ragazzi gentili e avvenenti, apprezzamenti e like per le foto pubblicate. Si passa poi alle video chat e le richieste si fanno man mano più spinte. Dopo aver ottenuto scatti e video intimi cominciano le richieste di denaro, accompagnate dalla minaccia che, in caso di mancato pagamento, il materiale verrà mandato a tutti i contatti, gli amici e i parenti. Le vittime, intrappolate tra la vergogna e la paura che le immagini possano essere viste da conoscenti e familiari, tendono a tenersi tutto per sé, a non confidarsi con nessuno e a dare soldi, fin quando possono».

I consigli su cosa fare

Seguono consigli di base. Mai cedere ai ricatti. Non essere in imbarazzo per aver condiviso contenuti spinti. Non cancellare i messaggi scambiati con i ricattatori. Fare una segnalazione sul portale www.commissariatodips.it, lo sportello per la sicurezza sul web creato e gestito dalla stessa Polizia postale. Denunciare “subito”, cioè prontamente, immediatamente, senza indugio. Stesso discorso per il revenge porn, la diffusione di immagini e filmati osé, destinati a rimanere privati e messi in circolo per vendetta, rivalsa, dispetto.
Anni fa era stata introdotta la possibilità di compilare e inviare telematicamente le denunce per i reati telematici (e non solo), da formalizzare presentandosi poi di persona all’ufficio territoriale di riferimento. Peccato però che questa opzione da mesi non sia più attiva e nessuno lo dica agli utenti. Anzi. Nella home page del commissariato online c’è scritto, tuttora: «La Polizia di Stato, per venire incontro alle vostre esigenze e consentirvi il disbrigo di determinate pratiche in maniera più agevole e veloce, ha realizzato il servizio di “Denuncia via web di reati telematici”, un progetto che realizza un nuovo rapporto di collaborazione, perché sarete voi ad iniziare il lavoro». Ma quando si clicca sulla finestrella, per procedere in tempo reale a compilazione e inoltro, esce un avviso: «Il servizio “denuncia vi@ web” è momentaneamente sospeso poiché è in atto una reingegnerizzazione dell’infrastruttura».

La polizia postale conferma il blocco

Confermano dalla sede centrale della Polpostale: «Questo servizio, che è del ministero dell’Interno, è fermo da circa un anno. A breve tornerà disponibile, implementato e migliorato. Il nostro personale è a disposizione nelle sedi territoriali e in rete. Online è possibile mandarci segnalazioni attraverso il portale e via Facebook. Le leggiamo tutte, raccogliamo ogni richiesta di aiuto, rispondiamo. Il problema di fondo, per le sextortion, è che i ricattati si vergognano, sono terrorizzati, stanno zitti. Pagano, pensando che una volta sia sufficiente. Non è così. Le richieste di soldi non si fermano. Il timore è ci sia un numero elevato di crimini di cui non veniamo messi a conoscenza. Per questo abbiamo lanciato una allerta e chiediamo alle vittime di farsi avanti, senza timori».

Le fasce ristrette degli uffici postali

Le denunce formali possono essere presentate all’ufficio della Polpostale più vicino, andandoci. Nelle pagine del commissariato online si trova l’elenco degli sportelli distribuiti in tutta Italia. Ma accanto agli indirizzi non sono riportati gli orari di apertura al pubblico. Bisogna cercali in rete oppure telefonare (però a Pescara nessuno risponde e a Napoli e Genova i numeri telefonici sembrano fuori sevizio). Si scopre così che gli investigatori specializzati nel contrasto ai reati telematici sono raggiungibili in fasce orarie ristrette, a fronte di crimini no stop e vittime fragili. A Potenza chi subisce un sexy ricatto, e vuole denunciare, viene ricevuto solo di martedì e dalle 9 alle 12. A Catanzaro si hanno a disposizione tre ore nelle mattinate di lunedì, mercoledì e venerdì, a Forlì di martedì e giovedì. Anche a Bologna le denunce sono raccolte non oltre le 13 e nei primi cinque giorni della settimana. A Roma si aggiungono finestre pomeridiane quotidiane e il sabato mattina. Nemmeno sugli orari precisi ci sono certezze. A Milano la mano destra non sa quello che fa la mano sinistra. Alla Polpostale dicono di ricevere le denunce rigorosamente su appuntamento, dalle 9 alle 17.00, dal lunedì al venerdì, e per le prenotazioni va chiamato un numero specifico (che online non si trova e che dal centralino non passano). Il portale della questura del capoluogo lombardo indica invece la fascia oraria 8.30 – 12.30, riportando l’interno telefonico sbagliato. E specifica, come se il servizio non fosse stato disattivato: «Solo per le denunce online l’apertura è dal lunedì al venerdì con orario 9.00-13.00 e 15.00-17.00».

Un esperimento da utenti

Travestirsi da utente porta a risposte diverse. A Bologna il centralinista della Polpostale sostiene che «il sistema delle denunce via web ha sempre funzionato malissimo e quindi è stato tolto e non è detto che venga riattivato». A Catanzaro l’invito, per poter denunciare subito, come consigliato dai siti istituzionali, è quello di rivolgersi alla questura o a un commissariato tradizionale oppure ai carabinieri. «Se gli orari non sono compatibili e si ha fretta, non è obbligatorio venire da noi. Dove si presenta denuncia è indifferente – affermano anche alla sede di Milano – Le notizie dei reati telematici vengono trasmesse alla procura ed è poi la procura a decidere a chi assegnare gli accertamenti». Il Garante della privacy, oltre a raccoglie segnalazioni online, per prevenire la diffusione di materiali privati indica come referente la Polpostale e non una qualsiasi forza di polizia.
Replicano dalla stessa Polizia postale, rettificando le informazioni che si hanno per telefono. «Nessuna persona viene mandata via, se si presenta nelle nostre sedi per reati gravi o situazioni pesanti. Ci sono vicende che non possono aspettare. Abbiamo operatori preparati, sensibili, attenti». Manca invece un dirigente centrale stabilizzato. La Polizia postale e delle comunicazioni da un anno e mezzo è comandata da un reggente.  (lorenza pleuteri)

Chi sono e di cosa hanno bisogno i ragazzi che affollano le carceri

Il numero dei reclusi di età inferiore ai 30 anni  è in costante e rapida ascesa ma il carcere, nella maggior parte dei casi, li ‘ignora’ o non ha a disposizione persone e strumenti per aiutarne il reinserimento e la cura, quando necessario. “Da sette mesi mio figlio, che ha 23 anni e soffre di disturbi psichici, è a Bollate – racconta Maria Gorlani, una madre –. In tutto questo tempo noi familiari non siamo riusciti ad avere nemmeno un incontro con un educatore, uno psichiatra o uno psicologo”. Accanto a lei, sul palco della conferenza ‘Ragazzi detenuti: problemi e progetti’ organizzata nei giorni scorsi a Milano da ‘Nessuno tocchi Caino – Spes conta Spem’, porta la sua testimonianza Stefania Mazzei, madre di Giacomo Trimarco, morto a 21 anni a San Vittore per avere inalato gas butano in quantità letale: “Faccio una distinzione tra i giovani che arrivano in carcere perché si perdono e hanno bisogno di un percorso più rieducativo e quelli che, come Giacomo, ci arrivano con una patologia psichiatrica. Per il nostro vissuto, le famiglie non esistono. È vero che tanti ragazzi non hanno la famiglia alle spalle ma tanti ce ne hanno una che vorrebbe essere attiva. Noi abbiamo avuto sempre le saracinesche abbassate. Tutti i servizi per la salute mentale sono distaccati e inefficienti, a comparti stagni, e così spesso, una volta usciti, i ragazzi ricadono nella rete della giustizia”.

La ‘Chiamata’ ai ragazzi di San Vittore

Il direttore di San Vittore, Giacinto Siciliano, conferma l’emergenza. “Quasi la metà dei nostri 840 detenuti ha sotto i 30 anni. Questo  sta diventando un problema sempre più grosso in termini di gestione. È un dato in forte aumento anche perché viviamo le difficoltà che hanno fuori dal carcere. Noi accogliamo quello che la ‘strada’ produce. C’è, in particolare, un’elevata concentrazione di ragazzi che hanno problemi di droga, di farmaco dipendenza e psichiatrici. E tanti stranieri che non hanno i documenti e non puoi nemmeno impostare un percorso per loro. Difficile proporre dei modelli perché esiste un grande conflitto con le istituzioni: famiglia scuola e, a maggior ragione, la giustizia. Una situazione peggiorata dopo il Covid”. Per questo, Siciliano sta portando avanti da febbraio il progetto ‘Reparto La Chiamata’ in collaborazione con lo psichiatra Juri Aparo che col suo ‘Gruppo della Trasgressione’ è impegnato da anni anche coi più giovani.  Non nasconde le difficoltà. “Il percorso è iniziato a febbraio però manca ancora un vero ‘ingaggio’. Si fa fatica a portare le persone a cui viene richiesto un impegno. Il grande numero di ragazzi che abbiamo rende tutto molto difficile perché si potenziano tra loro tutti i meccanismi negativi. Siamo comunque riusciti a ricevere un finanziamento dalla Regione Lombardia e due educatori di comunità che stanno provando a stabilire delle regole. L’obbiettivo è creare un posto dove si possa essere protagonisti del cambiamento a partire dalla cura, anche quella dei luoghi. Troppo presto per un bilancio ma i primi frutti li stiamo vedendo”.Sono coinvolti anche gli agenti della polizia penitenziaria. Michela Morello, comandante di San Vittore: ”Gestiamo persone differenti e, attraverso l’esperienza, cerchiamo di avere una modalità di approccio individuale. Molti ragazzi sono giovanissimi ed entrano in carcere subito dopo il loro arrivo in Italia e, nel giro di poco tempo, dobbiamo capire chi abbiamo di fronte e studiare la modalità adatta, la migliore anzitutto per evitare il conflitto che può nascere anche da un problema generazionale. E’ necessaria la capacità di ascolto e di contemperare le nostre esigenze educative col portato delle esigenze dei ragazzi”.

“A loro bisogna destinare risorse fisse, non bastano i progetti”

Suor Anna Donelli, che da molti anni lavora a stretto contatto coi giovani detenuti, sottolinea che “hanno bisogno di benevolenza e fiducia ma anche di fermezza”. “Spesso arrivano per delle stupidate e hanno bisogno delle regole basilari. Mi colpisce che quando li incontro dopo che sono usciti mi chiedano di portare saluti e ringraziamenti proprio magari agli agenti che gli hanno dato spiegazioni fatte in un certo modo. Loro, che fuori non hanno avuto riferimenti negli adulti, ritrovano nei poliziotti il padre che è mancato”.

C’è anche, secondo Antonella Calcaterra, avvocato e consigliera dell’Ordine degli Avvocati di Milano, la necessità di un dialogo maggiore tra il ‘dentro’ e il ‘fuori’. “A San Vittore sono in corso diversi progetti educativi, anche dedicati ai ragazzi con problemi psichiatrici, ma hanno una durata di 24 mesi. Questo significa che quando finiscono bisogna riproporli e riavere un rifinanziamento. Ma tale e tanto è il problema che credo sia il momento di attivare delle risorse fisse, con interventi non solo progettuali, da parte della sanità regionale nei confronti di persone detenute con problemi di questo tipo”.

Il punto di vista del magistrato

Il pubblico ministero Francesco Cajani, che partecipa anche al progetto ‘La Chiamata’, sottolinea quanto sia importante il ruolo dei magistrati. “Ai giovani che ho conosciuto a San Vittore mi presento sempre dicendo che la mia funzione costituzionale è fare bene le indagini, a volte chiedere il carcere, e faccio di tutto per farlo al meglio perché credo che sia un male necessario. A furia di assolvere la mia funzione costituzionale però mi sono stufato di mandare la gente in carcere. Quest’anno ho passato 5 mercoledì a Opera a leggere ’Delitto e castigo’  assieme a giovani studenti in Legge, familiari delle vittime della criminalità organizzata ed ‘ex criminali’. Alcuni di questi hanno detto di essere cambiati per avere visto come un certo magistrato, Alberto Nobili nel caso specifico, comportarsi in un certo modo. Non si può pensare che chi mette in carcere non debba c’entrare nulla con quello che succede ‘dopo’.

Alla conferenza sono intervenuti anche Valentina Alberta e Paola Ponte, presidente e segretaria della Camera Penale di Milano, Alessandrra Naldi, direttrice del Consorzio Vialedeimille dove si è svolto l’incontro, Rita Bernardini, Elisabetta Zamparutti e Sergio D’Elia, rispettivamente presidente, tesoriera e segretario di ‘Nessuno tocchi Caino’. (manuela d’alessandro)