Il gatto intercettato dalla Digos… va in Parlamento
Interrogazione del ministro da parte del deputato Roberto Giachetti che chiede di attivare l’ispettorato
GIACHETTI. — Al Ministro della Giustizia— Per sapere – premesso che:
in un articolo a firma di Frank Cimini pubblicato il 7 ottobre 2022 sul quotidiano “Il Riformista” e ripreso da altri siti di informazione online, nello specifico il portale www.dagospia.t e www.giustiziami.it , si riporta la vicenda che vede protagonista Dana Lauriola, alla quale è stato contestato il reato di associazione sovversiva (poi modificato dal Riesame in associazione per delinquere) e per il quale la difesa ha presentato ricorso in Cassazione che sarà discusso nell’udienza fissata per il 24 novembre 2022;
Dana Lauriola era stata condannata in passato a due anni di reclusione, senza sospensione della pena e quindi scontati in carcere, per aver utilizzato un megafono durante una manifestazione avvenuta in autostrada;
nell’articolo citato si racconta dell’utilizzo di un’intercettazione ambientale dell’indagata, disposta dalla Digos di Torino nell’ambito dell’operazione denominata “Sovrano” sul centro sociale Askatasuna, e avvenuta nella camera da letto di Dana Lauriola il 7 agosto 2020, per il tempo complessivo di un minuto e 14 secondi, durante la quale l’intercettata “conversava” con il suo gatto di nome Tigro;
la stessa Dana Lauriola racconta l’episodio in un post pubblicato sul suo profilo personale facebook e intitolato “Intercettazioni nella mia camera da letto”;
dallo stesso articolo risulta che tale intercettazione sia stata allegata dalla Procura competente agli atti dell’inchiesta come documentazione utile ai fini del processo;
a parere dell’interrogante una tale vicenda, che ha del tragicomico, oltrepasserebbe tutti i possibili confini della logica e del buonsenso anche in relazione ad un abuso del metodo delle intercettazioni:-
se il Ministro, a fronte dei fatti esposti in premessa, non ritenga di procedere, nell’ambito delle sue competenze, ad attivare i propri poteri ispettivi in relazione alle eventuali irregolarità, anomalie e/o omissioni da parte degli uffici giudiziari della procura di Torino.
Per la prima volta i nomi e le storie dei suicidi in carcere entrano in tribunale
Si può dire che per la prima volta i suicidi in carcere entrino in un tribunale. Uno a uno, coi loro nomi e cognomi, e anche col loro luogo di morte, che è uno e tutti perché ci si uccide in tutte le gabbie italiane, da Aosta a Messina, ed è già successo 72 volte nel 2022, record del millennio.
Ecco che sotto le fotografie della mostra ‘Disagio dentro’, scattate dai detenuti e dagli agenti, si appiccicano le 72 identità cancellate e alcune storie piccole ed enormi perché raccontano tanto di come stiamo nella parte più scura della nostra coscienza democratica. Da Giacomo Trimarco, il più giovane coi suoi 21 anni, che è caduto inalando il gas butano a San Vittore, dove non sarebbe dovuto stare perché, malato psichiatrico, era destinato a un luogo di cura ma non c’era posto, a Donatella Hodo, la ragazza che prima di farlo ha chiesto perdono all’amore suo e per la cui morte ha invocato a sua volta perdono il giudice della Sorveglianza Vincenzo Semeraro che l’ha seguita per anni nel dentro e fuori per droga ma l’ha vista uscire infine dentro a una bara.
“Vanno guardate con l’emozione dell’uomo che guarda l’uomo”
Non è stato facile portare questa esposizione nel tribunale di Milano perché sono state poste molte domande da parte di chi ospitava, la magistratura, a chi l’ha organizzata, in prima fila la responsabile per il carcere della Camera Penale, Valentina Alberta. Perché questa mostra scava e raschia il senso di colpa di tutti come ha ammesso con coraggio Giovanna Di Rosa, presidente della Sorveglianza milanese. “Ha un grande valore simbolico perché viene fatta qui, dove si amministra la giustizia e si decidono le pene e come eseguirle. Va guardata lasciandosi andare al senso di umanità perché le foto e le storie grondano umanità. Sono rimasta molto colpita leggendo nomi e storie perché significa personalizzare e dare un senso ai numeri. Vanno guardate e lette lasciandosi andare all’emozione dell’uomo che guarda l’uomo”.
La giudice Ombrettta Malatesta della giunta locale dell’Anm: “E’ importante che queste storie siano liberamente visitabili nel tribunale di Milano e che la magistratura prenda coscienza del problema e anche che ci sia una sensibilizzazione diretta della popolazione civile”.
Dice il presidente dell’Ordine degli Avvocati, Vinicio Nardo, durante la presentazione, che “non era scontato che avvocati e magistrati facessero insieme questa mostra. Per tanto tempo non ci siamo fatti carico dell’esecuzione della pena ma solo della celebrazione dei processi. Le foto del carcere servono a favorire questa commistione culturale tra il prima e il dopo ma non a farci sentire più buoni perché il carcere è più di quello che vediamo in queste immagini e, se vogliamo bere la cicuta, dobbiamo berla fino in fondo”.
Allora, esorta il presidente della Camera Penale, Andrea Soliani, è venuta l’ora di “portare il carcere all’esterno” per mostrare il suo corpo ferito a morte.
Il Garante nazionale delle persone private della libertà, Mauro Palma, riflette su alcuni reclusi, in particolare. “Mentre parliamo, abbiamo 12353 persone in carcere con una condanna inferiore ai 4 anni e 1419 con una inferiore a un anno per le quali attivita rieducativa è simbolica perché in un anno non riesci a fare niente. Situazioni che interrogano il senso costituzionale della pena. Bisogna allora pensare a strutture di controllo e supporto che intervengano in modo diverso dal carcere”. Fino al 27 novembre è possibile visitare i morti del carcere in tribunale e dargli una carezza ma darla anche alla loro speranza che è, nonostante tutto, nelle mani tese accolte dagli obbiettivi di chi ha scattato. (manuela d’alessandro)
Il Grande Vecchio del terzo millennio è un gatto
Legali: come limitare danni di pessima legge anti rave
Se davvero l’obiettivo della nuova norma incriminatrice di cui all’art. 434 bis
c.p. non è quello di impedire l’occupazione di scuole e università, di criminalizzare le lotte sindacali, di evitare manifestazioni di dissenso nella
più grande crisi economica di sempre; se davvero l’obiettivo non è quello di intercettare le telefonate di tutti i cittadini che possano anche solo
ipoteticamente essere collegati con situazioni di questo tipo; se davvero l’obiettivo del primo atto normativo urgente del Governo è quello, piccolo
piccolo, di impedire i rave party per tutelare la salute dei partecipanti, ci permettiamo di suggerire come modificare la disposizione in sede di
conversione per renderla idonea allo scopo.
All’art 633 c.p. è aggiunto il seguente comma:
“Se il fatto è commesso da più di 50 persone e l’invasione è realizzata per
effettuare un evento musicale senza le previste autorizzazioni, la pena per i promotori o gli organizzatori è della reclusione da tre a sei anni e la multa
da euro 1.000 a euro 10.000 quando ne derivi un pericolo per l’ordine
pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”.
Così riscritta la disposizione sarebbe effettivamente applicabile solo ai rave illegali (“eventi musicali” in luogo di “raduni”), in presenza di effettiva e non
solo potenziale messa in pericolo dell’ordine pubblico o della incolumità pubblica o della salute pubblica (“quando ne derivi un pericolo” in luogo di
“quando può derivare un pericolo”). E solo nei confronti degli organizzatori.
Resterebbe una norma espressione della peggiore politica criminale, ma
almeno non si presterebbe a forzature antidemocratiche e incostituzionali.
avv. Eugenio Losco avv. Mauro Straini