giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Archivio Persichetti, perizia smentisce pm nessun segreto violato

Dopo quasi un anno emerge che la montagna non ha partorito neanche il classico topolino. “Non sono stati rinvenuti elementi riferibili alla richiesta del pm” scrive il perito che ha esaminato l’archivio più pericoloso del mondo, quello di Paolo Persichetti, il ricercatore perquisito l’8 giugno dell’anno scorso indagato per associazione sovversiva finalizzata al terrorismo tramite la violazione del segreto d’ufficio in relazione alla divulgazione di atti della commissione parlamentare di inchiesta sul caso Moro. Non c’erano non ci sono documenti riservati, come aveva sostenuto in qualità di testimone della corona Giuseppe Fioroni ex presidente della commissione che aveva giocato di sponda con la procura.
Il pm Eugenio Albamonte ha fatto un buco nell’acqua ma nessuno gliene chiederà conto. Di questa surreale indagine i grandi giornali non hanno mai parlato evitando di riferire che l’associazione sovversiva era caduta quasi subito e che il capo di incolpazione è cambiato cinque volte. C’è l’assoluta irrilevanza giudiziario del materiale di archivio. Le carte indicate come riservate era in realtà scaricabili dal portale della commissione. L’indagine aveva e ha lo scopo di colpire la ricerca storica indipendente e di protrarre la caccia alle streghe intorno al caso Moro, ipotizzando la presenza di improbabili complici dei responsabili del sequestro già condannati.
La vicenda comunque approderà il 22 maggio all’udienza in cui la perizia sarà discussa dalle parti. A Persichetti non è stato ancora restituito nulla di quanto “sigillato” un anno fa, nemmeno le carte mediche di Sirio il figlio diversamente abile. L’indagine penale copre la realtà di una operazione di propaganda politica targata Magistratura Democratica la corrente alla quale aderiscono sia il pm Albamonte sia il gip Valerio Savio. Il sequestro impedisce a Persichetti di fare il suo lavoro di ricercatore e ha bloccato l’uscita del secondo volume della storia delle Br di cui è coautore con Marco Clementi e Elisa Santalena.
Questi sono i frutti velenosi della commissione parlamentare, non ricostituita in questa legislatura, che aveva fatto della dietrologia e del complotismo il fulcro del suo lavoro. E adesso a chiedere di rifare la commissione sono paradossalmente esponenti di Fratelli d’Italia intervenendo in un campo che era stato in gran parte gestito dalla “sinistra”. Sono giochi politici intorno a fatti di 44 anni fa per inquinare e depistare, nascondere la verità, compresa quella accertata dai processi dove è emerso che dietro le Br c’erano solo le Br. E che non ci sono altri ergastoli da distribuire (frank cimini)

Le bufale su Moro un affare per l’archivio Flamigni

L’archivio Flamigni che da decenni diffonde bufale dietrologiche sul caso Moro riceve una consistente mole di finanziamenti pubblici soprattutto dal ministero della Cultura. 40 mila euro il 9 gennaio del 2019, 38 mila euro il 15 aprile, 2000 euro il 15 ottobre. Vanno aggiunti 40 mila euro il 20 maggio dall’istituto centrale per gli archivi convenzione per portale della rete degli archivi, 3491 euro il 7 agosto dall’Agenzia delle entrate.
Altri soldi nel 2020. Dal ministero 49.157 euro il 22 giugno, 8300 euro il 29 dicembre. Dall’Agenzia delle entrate 4512 euro il 30 luglio, 4474 euro il 6 ottobre.
Insomma si tratta di un vero e proprio affare. Per carità tutto regolare, tutto secondo la legge.
Il primo febbraio del 2021 l’archivio della fondazione Flamigni era stato trasferito presso lo spazio Memo per gentile concessione della Regione Lazio con visita e complimenti del governatore Zingaretti. Insomma la dietrologia e il complottismo hanno molto successo in questo paese. Vengono più che incoraggiati. Del resto siamo dove siamo. Dove ogni 16 marzo ogni 9 maggio a dire che “bisogna cercare la verità” è il presidente della Repubblica e del Csm a discapito di 5 processi dove sono state escluse responsabilità diverse da quelle delle Brigate Rosse.
Si tratta di esiti processuali ignorati dalle commissioni parlamentari di inchiesta e dalla procura di Roma che continuano la caccia alle streghe e a improbabili complici che non sarebbero stati individuati. L’ultima bufala in ordine di tempo è quella partita l’8 giugno dello scorso anno con il sequestro dell’archivio più pericoloso del mondo, le carte di Paolo Persichetti, ricercatore storico indipendente. Un’operazione di propaganda mediatica targata Magistratura Democratica alla quale appartengono sia il pm Albamonte sia il gip Savio con la sponda dell’ex presidente della commissione Fioroni dove il capo di incolpazione è cambiato cinque volte.
Il 30 di aprile sarà depositata la perizia che verrà discussa nell’udienza del 22 maggio con estrazione della copia forense. A quasi un anno dal sequestro dell’archivio Persichetti che non riceve finanziamenti pubblici a differenza della fondazione Flamigni ma solo avvisi di garanzia. Cioè con la garanzia che la caccia ai fantasmi e il depistaggio sul caso Moro non finiranno mai. Probabilmente perché tutto serve per governare adesso (frank cimini)

Il Papa straniero si insedia in procura dopo Pasqua

Si insedierà in procura a Milano dopo Pasqua il procuratore generale di Firenze Marcello Viola scelto ieri dal Consiglio Superiore della Magistratura per succedere a Francesco Greco andato in pensione a metà novembre.
Il ministro della Giustizia Marta Cartabia aveva espletato la formalità pressoché burocratica del concerto già prima della decisione finale del plenum del Csm. Nel senso che per il ministero non ci sarebbero stati problemi per nessuno dei tre candidati usciti dalla commissione incarichi direttivi.
Dal momento che il procuratore facente funzione Riccardo Targetti va in pensione il 15 aprile la procura di Nilano sarà retta per pochi giorni dall’aggiunto Tiziana Siciliano indicata per l’incarico dallo stesso Targetti in attesa che il nuovo procuratore prenda possesso dell’ufficio. (frank cimini)

Arriva il Papa straniero, la fine di Mani pulite e di Md

Con 13 voti il Csm ha designato il Pg di Firenze Marcello Viola nuovo procuratore di Milano. Si tratta dell’ormai famoso Papa straniero per rimarcare il fatto che da decenni il capo della procura arrivava sempre dall’interno del palazzo di corso di Porta Vittoria. Questa volta il vento è cambiato, si è imposta la scelta per la discontinuità perché la procura di Milano era diventata un ufficio allo sbando e non sarà facile metterci le mani.
Era finita sotto accusa da parte della maggior parte dei pm l’organizzazione del lavoro scelta da Francesco Greco andato in pensione a metà novembre. Il segnale di sfogo era arrivato con 57 magistrati su 64 che firmavano il sostegno a Paolo Storari entrato in collisione con i vertici dell’ufficio nell’ambito del caso Eni.
Ma il fuoco covava sotto la cenere da tempo. Basti pensare che poco più della metà dei pm era esentata dai turni per le ragioni più varie da quelle familiari a quelle di servizio.
Con il risultato di far gravare il peso del lavoro ordinario solo su una parte dell’ufficio. Particolare “scandalo” suscitava l’esenzione dai turni dei pm del dipartimento corruzione internazionale che aveva istruito i processi ai vertici Eni poi conclusi con raffiche di assoluzioni.
Ma a risentirne era il complesso dell’attività investigativa. I dati dicono che solo in relazione al Tribunale siamo al 40 per cento di assoluzioni a cui vanno aggiunte quelle davanti al gup e anche quelle mei gradi successivi di giudizio. Un pm che vuole restare anonimo ammette che spesso il capo di incolpazione è quello redatto dalla polizia giudiziaria e che poi non regge al vaglio del dibattimento.
Insomma intorno a Greco c’era una sorta di cerchio magico di privilegiati o comunque di pm che avevano condizioni di lavoro migliori rispetto ad altri.
Per cui si arrivava all’esplosione e ai fuochi di artificio con le chat di discussioni interne seguite al tonfo dell’ipotesi accusatoria nel processo Eni. Da allora non c’è stata più pace mentre diversi pm finivano indagati a Brescia dove ci sono vicende ancora da definire oltre ai procedimenti disciplinari che potrebbero portare ai trasferimenti per incompatibilità ambientale.
Mani pulite di cui è appena ricorso il trentennale appare nolto lontana mentre dall’iter che ha portato alla nomina di Viola esce sconfitta la corrente di Magistratura Democratica che da tempo considerava la procura di Milano come suo territorio esclusivo. Di Md erano stati espressione gli ultimi due procuratori Edmondo Bruti Liberati e Francesco Greco. Md aveva proposto l’aggiunto Maurizio Romanelli che nel plenum ha raccolto alla fine solo 6 voti La corrente di sinistra probabilmente punterà a ottenere la presidenza del Tribunale libera dopo il pensionamento di Roberto Bichi. Ma si tratta di un incarico di peso nettamente inferiore a quello di procuratore.
Toccherà dunque a Marcello Viola far ripartire resettandola la seconda procura italiana per importanza. Non è un compito facile ma appare difficile per lui fare peggio dei suoi due predecessori Bruti Liberari impantanato nel clamoroso contenzioso con l’aggiunto Robledo e Greco in pratica messo in minoranza e isolato dai suoi sostituti per un finale di carriera inglorioso. Come quello di Md che vive il momento più difficile della sua storia. Una corrente nata 50 anni fa per democratizzare la magistratura, per la orizzontalità delle decisioni e finita nella pure gestione del potere di casta. Come disse uno dei suoi fondatori che da tempo non è più tra noi Romani Canosa: “Sarebbe stato meglio se non fosse mai nata”. Aveva visto le cose in grande anticipo. (frank cimini)

I consigli dell’avvocato Gabriele Fuga dalla cella accanto

Quando in Italia accadeva quello che accade oggi per esempio in Turchia. Arrestavano gli avvocati o licostringevano a rifugiarsi all’estero. Con l’alibi della “lotta al terrorismo” lo stato democratico nato dalla Resistenza antifascista massacrava il diritto di difesa identificando i legali con la “banda armata” di cui eranoaccusati di far parte i loro assistiti. Gabriele Fuga racconta la sua vicenda giudiziaria politica e umana nel libro che ha per titolo “La cella dell’avvocato”, circa 300 pagine, 17 euro, edito da Colubri’ cioè Renato Varani uno dei pochi editori rivoluzionari rimasti a combattere nel modo in cui è possibile farlo adesso.
Fuga, già autore insieme al compianto Enrico Maltini di “La finestra e’ ancora aperta” (la più completa ricostruzione dell’omicidio Pinelli) ricostruisce un periodo storico, parte integrante del più serio tentativo di rivoluzione nel cuore dell’Occidente.
Sulla base esclusiva delle dichiarazioni a verbale del “pentito” Enrico Paghera l’avvocato Fuga fu incarcerato con l’accusa di far parte di Azione Rivoluzionaria gruppo anarchico. Verrà assolto dopo
unanon breve carcerazione preventiva e dovette fronteggiare un altro mandato di arresto spiccato a Milano in relazione all’attività di Prima Linea. Il giudice che aveva firmato il provvedimento poi revocato dopo l’assoluzione nel processo di Livorno sarà eletto parlamentare europeo nelle liste del Pci.
Fuga racconta la vita in carcere, l’assistenza legale fornita agli altri detenuti, istanze, consigli, suggerimenti. A Livorno dopo aver litigato con i suoi legali amici tentò anche la strada dell’autodifesa, spiegando che il consiglio dell’ordine di Milano non lo aveva sospeso e che quindi lui era nel pieno delle sue funzioni. Il pm diede parere contrario dicendo rivolto ai giudici: “io non posso stare sullo stesso piano di un imputato che condannerete come terrorista”. Questo era il clima in cui si svolgevano i processi. I giudici negarono l’autodifesa, ovviamente.
Nel libro sono evocate le storie di altri legali accusati di terrorismo. Da Sergio Spazzali a Edoardo Arnaldi il quale si uccise a Genova nel suo studio durante una perquisizione per non finire in carcere. Da Luigi Zezza che si rifugiò a Parigi lavorando nel quotidiano Liberation a Giovanni Cappelli andato pure lui all’estero.
“Qualunque sia la vostra sentenza qualunque sia l’esito dell’ istruttoria in corso a Milano io continuerò a fare l’avvocato- aveva detto Fuga in sede di dichiarazioni spontanee a Livorno- perché come anarchico e come legale rivendico il diritto e il dovere di difendere tutti i compagni che si rivolgono a me anche quelli che vengono ritenuti ‘compagni che sbagliano’ distinzione che non mi interessa e che non mi permetterei mai fare”. (frank cimini)