giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Voghera nuovo video e altri dubbi su “strana” indagine

“Hai visto che ha fatto per darmi un calcio in testa? L’importante è quello, che hai visto che stava dandomi un calcio in testa”. Sono le parole dell’assessore alla Sicurezza di Voghera, in provincia di Pavia, Massimo Adriatici, mentre si rivolge ad un testimone interrogato da un militare dell’Arma subito dopo aver sparato al trentanovenne Youns El Boussettaui. Le immagini sono riprese da un video girato martedì 20 luglio scorso che mostra il piazzale antistante il Bar Ligure di piazza Meardi, luogo della sparatoria. Dal filmato si può vedere l’intervento dei sanitari del 118 che stanno soccorrendo il giovane ferito, mentre l’assessore Adriatici passeggia con il cellulare in mano per la scena del crimine parlando con i carabinieri. Ad un certo punto rivolgendosi ad un testimone interrogato da un militare dell’Arma gli dice: “Hai visto che ha fatto per darmi un calcio in testa? L’importante è quello, che hai visto che stava dandomi un calcio in testa”.
Esiste un verbale di indagine datato 2015 su Youns El Boussetaoui e su suo cognato da cui emerge che le autorità conoscevano vita morte e miracoli del marocchino ucciso a Voghera dall’ex assessore Massimo Adriatici. E che di conseguenza non c’erano ragioni per dire che i familiari fossero dei senza dimora per giustificare il mancato avviso in relazione all’autopsia non permettendo la nomina di un perito di parte.
Va registrato che il conferimento dell’incarico per l’autopsia e l’esecuzione dell’esame sono avvenuti nell’arco di una sola mattinata lo scorso 21 luglio. A mezzogiorno era tutto finito. La negazione dei diritti della parte offesa appare evidente tanto che gli avvocati dei familiari Debora Piazza e Marco Romagnoli sono arrivati al punto di diffidare i carabinieri che avevano negato loro la consegna delle relazioni sugli interventi fatti dai militari.
Youns inoltre per un piccolo reato avrebbe avuto l’udienza fissata in tribunale il 26 ottobre prossimo. “Nessuno mi aveva avvisato neanche in qualità di difensore di fiducia” dice l’avvocato Piazza.
Gli avvocati dei parenti di Youns stanno continuando a sentire testimoni nell’ambito dell’attività difensiva e a ricercare filmati sull’accaduto delle varie telecamere di sorveglianza della zona. L’obiettivo è quello di arrivare a una modifica del capo di imputazione che per ora è fissato nell’eccesso colposo di legittima difesa.
E la qualificazione giuridica dei fatti è di gran lunga l’aspetto più importante a questo punto della vicenda. Prevale sicuramente sulla misura cautelare oggetto del ricorso al Tribunale del Riesame da parte degli avvocati di Massimo Adriatici rimasto agli arresti domiciliari per decisione del gip che ha confermato la misura per il pericolo di reiterazione del reato e non per il rischio di inquinamento delle prove.
In realtà in questo strano modo di condurre l’inchiesta il rischio di inquinamento, caso più unico che raro, viene più da chi indaga e non da chi è chiamato a rispondere di un fatto gravissimo.

rilevare poi che la decisione di trasferire Massimo Adriatici dalla sua abitazione in una località segreta “per ragioni di sicurezza” a causa di presunte minacce comparse sui social e di ancora più “strane presenze” vicino casa rischiano di far apparire l’ex assessore solito girare con la pistola in tasca come una vittima.
E le polemiche politiche sull’omicidio si concentrano essenzialmente sulle “sparate” di Matteo Salvini in relazione alla “legittima difesa sempre valida”. Non c’è un parlamentare o un qualsiasi esponente della sinistra anche di quella cosiddetta radicale che abbia avuto il coraggio di criticare la procura e i carabinieri. Perché evidentemente a loro piace vincere facile. “Vincere” si fa per dire.
(Frank Cimini)

La procura più divisa, in 45 si svegliano ora pro Storari

“Scetet Catari’ ca l’aria è doce”(svegliati Caterina che l’aria è dolce, traduzione per chi non conosce il norvegese). E in effetti 45 pubblici ministeri più di due terzi del totale, si sono svegliati emettendo un comunicato per dire di non essere turbati dalla presenza tra loro di Paolo Storari, per il quale il Pg della Cassazione ha chiesto il trasferimento in relazione alla consegna a Piercamillo Davigo allora al Csm dei verbali di Piero Amara.
I 45 magistrati chiedono “chiarezza” in relazione allo scontro che vede protagonisti da una parte il procuratore Francesco Greco con l’aggiunto Laura Pedio e dall’altra appunto Storari. “Siamo turbati dalla situazione che sta emergendo da notizie incontrollate e fonti aperte e sentiamo solo il bisogno impellente di chiarezza, di decisioni rapide che poggiano sull’accertamento completo dei fatti e prendano posizione netta e celere su ipotetiche responsabilità dei colleghi coinvolti” sono le parole della nota firmata dai pm.
Evidentemente i firmatari in questi ultimi anni hanno vissuto altrove e ci voleva la sentenza con cui i vertici Eni sono stati assolti per riportarli alla realtà. Da tempo se potessero a Milano i pm si arresterebbero tra loro.
Francesco Greco è il secondo capo della procura consecutivo che si salva dal procedimento disciplinare perché va in pensione. Succederà il 14 novembre. Greco segue le orme del suo predecessore Edmondo Bruti Liberati per il quale il Csm annunciò il “disciplinare” solo dopo che lo stesso aveva dichiarato di andare in pensione in anticipo. Era stata la procura di Brescia nell’assolvere Bruti dall’accusa di abuso d’ufficio a mettere nero su bianco che c’era materia da Csm dal momento che il capo della procura aveva agito in base a criteri politici nello scontro con l’aggiunto Alfredo Robledo in relazione al caso Expo.
Ai tempi della “guerra” Bruti-Robledo solo molti mugugni e boatos con la procura che ostentò unità. Il caso Eni iniziò a scoppiare con un messaggio di Storari in una discussione interna: “Caro Francesco le cose non stanno così e lo sai benissimo, ne parleremo”. Si era all’indomani dell’assoluzione dell’Eni dopo che tra l’altro in modo azzardato la procura aveva mandato a Brescia un “veleno” di Amara sul presidente del collegio “avvicinabile” da due avvocati della difesa.
Adesso a Brescia oltre a Storari per violazione del segreto d’ufficio istigato da Davigo sono indagati i pm del caso Eni De Pasquale e Spadaro per non aver depositato atti favorevoli alle difese.
Greco ha rifiutato di consegnare ai pm di Brescia gli esiti di una rogatoria in Nigeria sull’Eni. È una guerra per bande all’interno della procura di Milano dove adesso a rischiare di più nell’immediato è Storari che ha temere sia il trasferimento sia di non fare più il pm. Questa almeno è la richiesta del pg della Cassazione Salvi che per arrivare a quel posto si era a un certo punto appoggiato a Palamara, quello che ora tutti fingono di non conoscere. Poi Salvi ha deciso che non possono essere sottoposti al “disciplinare” i magistrati che si autopromuovono. Insomma ha prosciolto se stesso. Storia di una categoria che si era proposta per salvare il paese vista dalla procura che fu il simbolo della grande farsa di Mani pulite. C’erano guerre interne anche allora. Di Pietro “rubo’” letteralmente un indagato a De Pasquale. Ma il capo Borrelli diede ragione a Tonino allora mediaticamente una forza della natura. E poi allora sui giornali non uscivano certi fatti se non in poche righe.
(frank cimini)

Ombre rosse corte d’assise conferma Bergamin prescritto

Per la seconda volta la corte d’Assise di Milano ha dichiarato prescritte le condanne inflitte a Luigi Bergamin uno dei rifugiati politici in Francia per i quali l’Italia chiede l’estradizione. La corte ha rigettato l’opposizione della procura rispetto alla prima decisione spiegando che le motivazioni addotte dalla pm Adriana Blasco non sono convincenti.
La procura ricorrerà in Cassazione alla quale si era già rivolta ma la Suprema Corte aveva derubricato il ricorso a opposizione alla prescrizione rimandando gli atti in corte d’Assise.
In estrema sintesi la decisione del Tribunale di Sorveglianza che aveva dichiarato Bergamin “delinquente abituale” non c’entra nulla con la questione della prescrizione. Va considerato che lo status di “delinquente abituale” non è definitivo perché il difensore Giovanni Ceola ha proposto ricorso per Cassazione.
L’abitualità non era diventata definitiva entro il termine di 30 anni che scadeva l’otto aprile del 2021. Comunque il tutto è ancora subjudice perché se ne riparlerà in Cassazione dal momento che la procura non si rassegna nemmeno davanti al trascorrere del tempo tanto è vero che si aggrappa a una “delinquenza abituale” decisa oltre 40 anni dopo i fatti per i quali Bergamin era stato condannato.
Evidentemente per quanto riguarda la prescrizione nelle storie degli anni ‘70 i tempi scaduti sono “mobili” come dimostra il caso di Maurizio Di Marzio dove il secondo arresto li proroga addirittura al 2049 secondo una interpretazione restrittiva al massimo. Insomma una storia senza fine perché la politica non ha voluto trovare una soluzione al conflitto sociale di tanti decenni fa.
(frank cimini)

L’ombra rossa Di Marzio libero firma ogni 15 giorni

Si mettano il cuore in pace i politici i partiti e i giornali che avevano gioito per l’arresto a Parigi di Maurizio Di Marzio ex Br perché il gestore della Taverna Baraonda è tornato in libertà e dovrà solo firmare il registro in gendarmerie ogni 15 giorni. Tajani aveva parlato o meglio straparlato del frutto di una brillante operazione e di grande collaborazione internazionale. Salvini aveva invitato i radical chic a non protestare. Tutto finito dopo una notte.
Per Di Marzio viene avviato l’iter per l’estradizione al pari degli altri rifugiati fermati il 28 aprile e poi rilasciati nell’ambito dell’operazione “Ombre rosse”.
Ci vorranno mesi se non anni prima della decisione. Era stato arrestato Di Marzio con una interpretazione molto restrittiva e retroattiva delle norme sulla prescrizione utilizzando un fermo a fini estradizionali del 1994 che allungava la scadenza fino al 2022. Seguendo la stessa logica col nuovo arresto si arriverebbe addirittura al 2049 facendo ripartire da zero i 28 anni, il doppio della condanna a 14 anni per fatti di 40 anni fa.
Insomma sugli anni ‘70 la prescrizione è mobile perché la ministra Marta Cartabia santificata da alcune anime belle perché parla appunto a parole di “meno carcere” ha scelto di artigliare persone rifugiate in Francia da tempo. In omaggio al suo mentore Mattarella che il giorno del rientro di Cesare Battisti ripreso dagli smartphone di Bonafede e Salvini aveva urlato: “E adesso gii altri….”.
Insomma siamo benlontani da quella soluzione politica che tra gli altri viene invocata da Irene Terrel l’avvocato francese dei rifugiati. L’Italia vuole vendicarsi di un periodo storico sul quale non ha voluto e continua a non voler aprire una discussione seria. E cercando di vendicarsi rivalendosi su chi partecipò decenni fa al più serio tentativo di rivoluzione nel cuore dell’Europa lancia un messaggio a chi si oppone oggi. A iniziare dai NoTav e dai lavoratori della logistica. Il messaggio è fin troppo chiaro: “Se non la smettete sarete perseguiti e perseguitati fino a 90 anni”. Con la promessa aggiuntiva di prendere loro il Dna anche a 43 anni dai fatti.
(frank cimini)

Moro, Riesame e pm agit-prop contro la ricerca storica

Il Riesame ha confermato il sequestro dell’archivio di Paolo Persichetti consentendo alla procura di Roma di continuare a inseguire i misteri inesistenti del caso Moro, le famose “cose da chiarire” secondo il teorema del pm Eugenio Albamonte, noto per aver chiesto e ottenuto attraverso il copia e incolla di un gip il prelievo del Dna dai condannati per via Fani e altre persone a 43 anni dai fatti.
Stavolta il copia e incolla lo fa il Riesame anche se per ora c’è soltanto il dispositivo della decisione e mancano le motivazioni che arriveranno prossimamente. Con calma. Tanto c’è tempo per la difesa che ricorrerà in Cassazione nella speranza di avere lumi, capirci qualcosa su questa strana associazione sovversiva di cui farebbe parte il solo Persichetti il quale risponde pure di favoreggiamento di latitanti.
Nell’archivio del ricercatore, che paga insieme al suo impegno di studioso il passato di condannato per fatti di lotta armata, ci sarebbero segreti da svelare. Persichetti avrebbe avuto la disponibilità di atti elaborati dalla commissione parlamentare di inchiesta, atti segreti che invece erano pubblici.
Ma Albamonte non ha avuto bisogno in udienza di spiegare granché. Il Riesame gli ha creduto sulla parola quando il pm ha in pratica detto esplicitamente che un dissequestro sarebbe equivalso a un mettere il bastone tra le ruote sulla strada della ricerca della verità, cioè della verità che hanno in testa i dietrologi e i complottisti.
Albamonte non ha detto una parola sul capo di imputazione, sulla qualificazione giuridica dei fatti. Il pm è una sorta di agit-prop e il Riesame gli è andato dietro.
Insomma le tonnellate di atti processuali dove emerge che dietro le Br c’erano solo le Br sono carta straccia. Bisogna “cercare la verità” come dice il messaggio dal colle più alto in occasione del 9 maggio, oppure “ci sarà clemenza in cambio di verità’” come ha proposto uno dei massimi candidati al Quirinale.
La criminalizzazione della ricerca storica indipendente con questa inchiesta appare come un dato di fatto, inequivocabile. Chi mette in dubbio i teoremi di una commissione parlamentare che non c’è più sarà perseguito perché quella commissione è stata sostituita dalla procura dove al vertice c’è un capo che secondo il TAR e il consiglio di Stato sarebbe lì a causa di una nomina irregolare.
Ma Michele Prestipino resta al suo posto protetto dal Csm in applicazione della legge del marchese del Grillo e firma con Albamonte il decreto di perquisizione al fine di rafforzare l’idea che con questa nuova indagine sul caso Moro si tratta di “salvare la patria”.
Intanto Mattarella è a Parigi per insistere sull’estradizione della banda dei nonnini. E l’indagine su Persichetti, al quale sono state sequestrate pure le cartelle cliniche del figlio disabile perché a questo arriva lo Stato democratico nato dalla Resistenza antifascista, serve a rafforzare l’idea che l’argomento appare ancora caldo. E che quindi i francesi ne tengano conto perché magari pure dalla banda dei nonnini potrebbero arrivare “illuminazioni” sul caso Moro. Nella testa dei dietrologi tutto si tiene (frank cimini)