giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Solidarietà ai detenuti come terrorismo? Cassazione il 3/11

Un elenco di azioni di modesto allarme sociale danneggiamenti imbrattamenti reati contravvenzionali affissioni di manifesti tutte realizzate nell’ambito di una generalizzata campagna di solidarietà ai detenuti possono essere assimilabili ai delitti contro la personalità dello Stato al terrorismo? È la domanda alla quale è chiamata a rispondere la Cassazione che il prossimo 3 novembre discuterà il ricorso contro gli arresti di un gruppo di anarchici avvenuti a Roma a giugno scorso e poi confermati dal Riesame che secondo i difensori sarebbe andato oltre la stessa motivazione del gip che aveva emesso le misure cautelari.

Nel ricorso a tutela dell’indagata Francesca Cerrone l’avvocato Ettore Grenci ricorda che era stata proprio la Suprema Corte in passato a precisare che “la semplice idea eversiva non accompagnata da propositi concreti e attuali di violenza non vale a realizzare il reato ricevendo tutela proprio dall’assetto costituzionale che essa mira a travolgere”.

Il gip prima e il Riesame poi avevano aderito a quella parte della giurisprudenza che considera la fattispecie di reato il pericolo presunto dove alla configurabilità non è richiesto un evento naturalisticamente inteso ma una mera messa in pericolo del bene giuridico tutelato.

La Cassazione comunque aveva precisato che non qualsiasi azione violenta può farsi rientrare nel concetto di eversione ma solo quella che miri al sovvertimento dei principi fondamentali che formano il nucleo intangibile dell’assetto ordinamentale.

Per i difensori il Riesame avrebbe finito per valorizzare unicamente il presunto “contesto” in cui il gruppo avrebbe agito ovvero l’adesione ideologica degli indagati all’anarchismo. Il Riesame avrebbe valorizzato oltre misura il presunto legame esistente tra alcuni indagati e Alfredo Cospito esponente del Fai da tempo detenuto.

Manifestazioni non autorizzate, riunioni, imbrattamenti  e diffusione di volantini assurgono  a gravi danni per il paese. Si tratta di una vicenda analoga a quella degli arresti di Bologna che però erano stati annullati dal Riesame e che saranno esaminati dalla Cassazione su richiesta della procura del capoluogo emiliano.

Va ricordato che in tutta Italia in concomitanza con la diffusione  del Covid-19 ci sono state diverse manifestazioni in solidarietà con i detenuti che hanno visto aumentare i rischi per la loro salute. Di pari passo c’è stata una intensificata attività investigativa tendente a mettere in discussione il diritto a manifestare intorno alle carceri e a reprimere l’area anarchica.

Gli avvocati nel ricorso denunciano che da parte del Riesame si esaspera la logica anticipatoriadella tutela penale comunemente sottesa ai reati di pericolo portandoa un parossismo insostenibile la limitazione dei diritti fondamental di elaborazione e manifestazione del pensiero critico in una società democratica. (frank cimini)

 

Dilemmi emergenziali: ci sono più pubblici ufficiali di altri?

Nel maggio del 2016 si svolse a MiIano una manifestazione per il diritto alla casa (sembrerà impossibile ma c’è ancora in giro gente che non ne ha una). Un centinaio di manifestanti fuseguito dal consueto imponente dispositivo di sicurezza e controllo. L’attento monitoraggio delle forze dell’ordine consentì di accertare i seguenti gravissimi fatti: una persona accese un fumogeno, un’altra strappò un lembo di un manifesto elettorale del PD, una terza sputò verso un agente della polizia scientifica che, in abiti civili, la stava filmando.

I tre finirono alla sbarra. Fu celebrato un vero e proprio processo: si ascoltarono testimoni, si analizzarono filmati.

La persona accusata di aver sputato verso il poliziotto (imputata di oltraggio a pubblico ufficiale) fu assolta perché non si poté stabilire con certezza se si fosse reso conto che la persona verso cui aveva sputato (che era in borghese e lo stava filmando) era un poliziotto. Gli altri due vennero prosciolti ai sensi dell’art. 131 bis c.p.Particolare tenuità del fatto, il fatto sussiste, l’imputato lo ha colpevolmente commesso, ma si tratta di un fatto di poco conto, che non merita di essere perseguito.

Apriti cielo.

Il sindacato autonomo della polizia tuonò: “Se sputare addosso a un poliziotto, viene considerato fatto tenue, allora vuol dire che sputare contro un servitore dello Stato è legittimo”. Giorgia Meloni evocò la: “necessità inderogabile di inserire nel nostro ordinamento il reato di terrorismo di piazza”.

Nessuno (o quasi) notò che l’ondata di indignazione era fondata su un clamoroso equivoco, perché l’autore dello sputo non era stato prosciolto per irrilevanza del fatto ai sensi dell’art. 131 bis, ma per assenza di dolo.

Ma la macchina della legislazione di emergenza si era ormai mossa. Per evitare una volta per tutte simili verdetti fu introdotta un’eccezione all’art. 131 bis c.p., escludendo dall’applicazione della norma i reati di resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale. L’improcrastinabile riforma fu introdotta in sede di conversione del decreto sicurezza bis.

Quando si trovò il testo della legge da promulgare, il Presidente della Repubblica esplicitò seri dubbi sulla legittimità costituzionale della norma.

La norma entrò comunque in vigore. Com’era inevitabile, alla prima occasione la questione finì in Corte Costituzionale (dove tutt’ora pende, in attesa di essere decisa). Perché impedire ad un giudice di escludere la punibilità per irrilevanza del fatto solo in relazione a determinate categorie di persone offese?

Veniamo ad oggi.

Il Governo (virato nel frattempo dal giallo-verde al giallo-rosso) deve aver scorto nella riformina del decreto sicurezza l’occasione per mettere una pezza a questo pasticcio.

Eliminando l’irragionevole disparità di trattamento? No, precisandone ed estendendone i beneficiari. Non tutti i pubblici ufficiali, ma solo gli agenti e gli ufficiali di pubblica sicurezza. Non solo questi ma anche i magistrati in udienza.

Quindi: uno stesso insulto di poco conto sarà sempre punibile, se rivolto ad un poliziotto nell’esercizio delle sue funzioni o ad un magistrato in udienza; se rivolto ad un professore, ad un medico ospedaliero, ad un cancelliere di tribunale o ad un altro pubblico ufficiale, anche no.

Ci sono ufficiali più pubblici di altri?

(avvocati eugenio losco e mauro straini)

Capri espiatori, Becciu il Palamara del Vaticano

È la logica del capro espiatorio la soluzione che organismi di potere dimostrano di gran lunga di preferire pur di non affrontare problemi e fenomeni che sono chiaramente alla radice di ciò che emerge. E non sembra una situazione caratteristica esclusiva del nostro Paese a vedere quello che sta accadendo in Vaticano con la parabola discendente di monsignor Giovanni Becciu, fino a pochi giorni fa potentissimo caro amico di Papa Francesco e ora nella polvere.
Ci corre un paragone con la vicenda di Luca Palamara, il magistrato che veniva ripetutamente e ossessivamente cercato da colleghi che ambivano a incarichi importanti e che adesso, caduto in disgrazia, è stato scaricato da tutti.
Ovviamente la stragrande maggioranza degli organi di informazione fiancheggia queste operazioni, si fa pochissime domande e procede a spron battuto nella distruzione dell’immagine degli ex potenti.
Monsignor Becciu venne nominato da Benedetto XVI nel 2011. È stato sostituto per gli Affari generali, confermato da Bergoglio e nominato delegato speciale presso il Sovrano ordine militare di Malta al fine di risolvere la crisi dello stesso. Poteva gestire i fondi della Segreteria di Stato, a cominciare da quelli dell’Obolo di San Pietro, il denaro che la Chiesa raccoglie per le opere di carità in favore dei poveri.
Evidentemente Becciu poteva agire senza controlli. Evidentemente i controlli non esistevano. Non c’erano gli anticorpi che sarebbero stati necessari per prevenire operazioni illecite, comprese quelle sottrazioni di denaro poi finito in mille rivoli che adesso vengono ipotizzate dalle inchieste sia della Santa Sede sia in Italia.
Il modo in cui Becciu è stato eliminato, addirittura con l’esclusione dal futuro conclave, dimostra l’inutilità sostanziale di parlare di mere ipotesi investigative. Becciu non ha avuto possibilità di difendersi in presenza di un quadro accusatorio sicuramente pesante. Il monsignore sarebbe stato tra l’altro responsabile di un accordo per mettere lo stemma della Caritas sulle bottigliette della birra artigianale “Pollicino” prodotte dalla “Angel’s” amministrata dal fratello Mario.
Tutto dovrà essere provato? Solo in teoria è così. Monsignor Becciu in sostanza è già stato condannato. Non è certo il primo collaboratore del Pontefice chiamato a svolgere incarichi importanti a finire male. Ha fatto tutto da solo? In Vaticano esistono organismi e persone che hanno il compito di vigilare? Chi controlla chi?
E Luca Palamara ha fatto la stessa fine di Becciu. Il capo della Direzione nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, come risulta dalle intercettazioni finite puntualmente sui giornali, gli telefonava per dirgli: “La tua battaglia è la nostra”. Il procuratore di Milano Francesco Greco gli dava appuntamenti: “Ci vediamo al solito posto”. Palamara aveva in mano la carriera di decine e decine di colleghi. Avrebbe contribuito alla nomina per incarichi direttivi di almeno 84 magistrati.
Perché Palamara agiva con grande furbizia. Anche quando aveva in origine un candidato suo diverso da quello che poi avrebbe vinto, il nostro virava in extremis sul vincitore. Insomma, non perdendo praticamente mai acquisiva sempre maggiore potere.
Ora l’ex magistrato più potente d’Italia è rimasto con un pugno di mosche in mano. Con il Csm di cui fece parte che gli ha negato a livello disciplinare il diritto a difendersi. Aveva chiesto, Palamara, 133 testimoni a discarico: ne ha ottenuti solo un paio, peraltro già presenti nella lista dell’accusa. Per i commerci sotto banco degli incarichi e per i rapporti con il mondo politico sarà il solo a pagare l’ex pm della capitale. E il suo “disciplinare” rischia di essere il processo pilota per il futuro. Quello senza diritti della difesa, quello sognato da molti procuratori almeno fino a quando non saranno loro a finire sotto inchiesta.
Restano al loro posto tutti i colleghi che Palamara ha contribuito a far nominare. Sembra sia stato solo lui a inquinare la vita della magistratura. L’Anm non ammette critiche, lamenta addirittura che ci si occupi sui giornali delle irregolarita’ nei concorsi per magistrati (in realtà se ne scrive pochissimo).
La politica dal canto suo è silente. Stanno zitti anche gli esponenti di partiti che in passato furono protagonisti di scontri durissimi con la magistratura, a iniziare da quelli che nel 2013 occuparono i corridoi del tribunale di Milano in difesa del loro leader, imputato in un processo per un pelo di quella lana nel quale alla fine venne assolto. Evidentemente a tutti o quasi va bene la giustizia per come viene amministrata, va benissimo il Csm ripulito dal metodo Palamara, quello usato per beneficiare tanti magistrati che continuano a impartire dal loro scranno lezioni di etica e di morale. Tutto bene ora. In Italia e pure all’estero. Senza Becciu e senza Palamara.
(frank cimini)

Rossana Rossanda il Piedifesto e la giustizia

Dal Manifesto al Piedifesto. Fanno finta di celebrare Rossana Rossanda per celebrare se stessi. Il numero dedicato alla fondatrice si candida alla nomination per il festival dell’ipocrisia e del falso. La direttrice Norma Rangeri scrive che dopo la rottura del 2012 si erano “reincrociati”, che lo scontro non era sulla linea politica ma sulla struttura del giornale. In realtà di Rossanda, del suo pensiero e delle sue battaglie nelle pagine del giornale non c’era più niente.
Il Manifesto di Rossanda aveva candidato Pietro Valpreda per sottrarlo agli schiavettoni e alla cella. Il quotidiano di oggi non scrive una riga sugli anarchici arrestati senza ragione tra Roma e Bologna neanche quando nel caso del capoluogo emiliano il Riesame li aveva scarcerati. Nonostante due cronisti del giornale che si dice comunista disponessero delle carte dell’inchiesta. Evidentemente c’erano e ci sono direttive precise.
Del resto sono tempi in cui si è scelto di pubblicare appelli in cui si dice che il governo Conte è il miglior esecutivo possibile. Si, con il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, pronto a inviare gli ispettori tutte le volte che i giudici di Sorveglianza, smentendo le Procure e le Distrettuali antimafia, scarcerano un detenuto per ragioni di salute anche solo per evitare che soccomba al Covid.
Non esiste traccia che sia una di quello che fece Rossana Rossanda anche in difesa di Mambro e Fioravanti, condannati sulla base di un impianto accusatorio assurdo e poco credibile.
La battaglia sul caso 7 aprile, che resta una pietra miliare del garantismo e del diritto, tempo fa sulle pagine del Manifesto trovò “riscontro” nella celebrazione dello storico inviato dell’Unita’ Ibio Paolucci, il quale era stato tra i pm di complemento dell’operazione con cui il grande partito si liberava dei suoi avversari politici.
E non possiamo non ricordare l’ultimo misfatto nel numero del 2 agosto scorso, con l’articolo di Saverio Ferrari che dava credibilità alle bufale dietrologiche della Procura generale sulla strage di Bologna, con Licio Gelli che avrebbe dato un milione di dollari a Mambro e Fioravanti. Nello stesso pezzo si scriveva di rapporti tra Sisde (che nel 1978 non esisteva) e Brigate rosse, di Moro prigioniero in via Gradoli, dove non è mai stato secondo le ricostruzioni di innumerevoli processi e della stessa commissione parlamentare di inchiesta, già di per se’ capace di realizzare film fantasiosi.
Una lettera di replica alle bufale dietrologiche e complottarde firmata da diversi storici, giornalisti e addetti ai lavori non è stata pubblicata dal giornale che a firma di Rossanda il 26 marzo del 1978 gridava in faccia al Pci che le Brigate rosse erano parte integrante del movimento operaio. Album di famiglia.
Senza fare un plisse’ il Manifesto ha riportato le parole di Zingaretti che diceva di aver apprezzato Rossanda come insegnante del dissenso critico. Zingaretti, appena eletto segretario, si era inginocchiato davanti agli imprenditori del Tav. Una vicenda drammatica, quella dell’Alta velocità: pur di vedere realizzata l’opera, il sistema condanna Dana per blocco stradale a due anni di reclusione negando le misure alternative al carcere.

(frank cimini)

La ghigliottina di Mani pulite tradotta in ritardo di 20 anni

Negli anni 90 nemmeno la Mondadori di Silvio Berlusconi impegnato in un duro conflitto con la magistratura che dura ancora oggi accettò di tradurre “Italian guillotine”scritto da Stanton H. Burnett e Luca Mantovani uscito negli Stati Uniti e punto.

La lacuna è stata colmata solo adesso da Aracne edizioni, 345 pagine, 18 euro. “Da libero cittadino trovo intollerabile che i miei connazionali vengano privati del diritto di conoscere riflessioni riguardanti l’Italia indipendentemente dal loro contenuto e da chiunque le abbia formulate“ scrive Marco Gervasoni nella prefazione.

E il problema è proprio questo. Per oltre 20 anni l’opinione pubblica è stata privata della conoscenza di una riflessione molto critica su una importante operazione politico-giudiziaria. Questo sia chiaro comunque la si pensi.

Chi scrive queste poche righe per esempio non crede che Mani pulite fu un colpo di Stato ma semplicemente la vicenda di una magistratura che andò all’incasso del credito acquisito anni prima quando tolse le castagne dal fuoco per conto della politica risolvendo la questione della sovversione interna.

Le carcerazioni preventive al fine di ottenere confessioni ma soprattutto chiamate di correo, i due pesi e due misure dell’indagine sono un fatto ormai acclarato anche se all’epoca fummo in pochi a parlarne e a scriverne oltre che additati come “amici dei ladri”.

La  corruziine c’era e come anche prima del 1992 ma le procure in testa quella di Milano facevano finta di non vederla. Perché evidentemente non era ancora il momento. L’ora ics scattò nel momento in cui la politica si indebolì e le toghe le saltarono al collo gridando “adesso comandiamo noi”. E comandano ancora adesso. Basta vedere come la categoria sta chiudendo la vicenda del CSM con il capro espiatorio Luca Palanara il quale avrebbe fatto tutto da solo. Contribuendo però per esempio alla nomina di 84 colleghi al vertice di uffici giudiziari. 84 complici tutti assolti in via preventiva perché se no si rompe il giocattolo.

”La ghigliottina italiana” è assolutamente da leggere. Vale per chi allora c’era e per chi non c’era. Per cercare di trarne utili lezioni per il futuro. (frank cimini)