Il libro di Iacona fa riaprire un’inchiesta sui poliziotti
Il libro di Riccardo Iacona fa riaprire l’indagine su tre poliziotti presunti autori di furti di droga e soldi che, stando alla ricostruzione del giornalista e dell’allora procuratore Alfredo Robledo, sarebbe naufragata a causa dell’inerzia di Edmondo Bruti Liberati e dei colleghi degli agenti. A raccontarlo, durante la presentazione di ‘Palazzo d’Ingiustizia’ alla Feltrinelli di piazza Duomo, è stato il conduttore di ‘Presa Diretta’: “Dopo la pubblicazione del libro, il questore Marcello Cardona ha chiesto al capo della Squadra Mobile di togliere questi 3 poliziotti dall’antinarcotici. E oggi Cardona è andato da Greco che gli ha assicurato la riapertura di un fascicolo d’inchiesta”. La storia è quella del fallimento dell’indagine sui poliziotti chiamati da alcuni testimoni ‘quelli delle giacche’ “perché quando arrivavano sulla piazze dello spaccio i pusher scappavano, buttavano via la giacca e i poliziotti si fermavano a raccogliere soldi e droga, senza denunciare e tenendo tutto per sé”. Un’inchiesta coordinata nel 2012 da Robledo e dal pm Paolo Filippini che sarebbe abortita per l’ostracismo manifestato dalla Squadra Mobile, addirittura con la distruzione delle microspie per intercettare i colleghi. E perché Bruti si sarebbe opposto alla richiesta arrivata dal suo vice di far compiere gli accertamenti ai carabinieri, richiamandosi al garbo istituzionale che imponeva ai poliziotti di arrestare le ‘mele marce’.
Un centinaio di persone, in un clima a tratti da stadio, ha assistito alla presentazione del volume che sta facendo impazzire le mailing list dei magistrati. Tra gli altri, l’ex pg Felice Isnardi, che ha riaperto le indagini su Expo e sul sindaco Giuseppe Sala archiviate in nome della “sensibilità istituzionale”, l’ex magistrato della Cassazione Antonio Esposito, il giudice Maria Rosaria Sodano che, in un intervento dalla platea, ha espresso “solidarietà” a Robledo. Presenti anche diversi vpo (viceprocuratori onorari), tanti avvocati ed esponenti della polizia giudiziaria, alcuni dei quali facevano parte della ‘squadra’ del magistrato trasferito per punizione a Torino (ritenuto colpevole di uno scambio di messaggi con l’avvocato Domenico Aiello). Senza pietà Iacona nelle sua valutazioni sulla giustizia e sul cuore del suo potere: “Quando ho messo gli occhi sugli esposti presentati da Robledo al Csm sono saltato sulla sedia e mi sono spaventato da cittadino pensando a cosa può succedere a noi cittadini se queste cose accadono nel posto dove si esercita il controllo della legalità. Nelle carte ci sono le prove che il Csm ha usato come una mazza i provvedimenti disciplinari per ridurre le critiche. E’ una cosa che fa paura. Quando alla Rai mi hanno cancellato il programma dove lavoravo per volontà di Berlusconi, i miei colleghi mi hanno difeso. Qui nelle mail i magistrati se ne stanno dicendo di cotte di crude, ma fuori non arriva questo dibattito. A loro dico: ‘Rivolgetevi a noi!’”. “Pentito di quello che hai fatto?”, ha chiesto il moderatore Gianni Barbacetto ad Alfredo Robledo: “No, quella dei pentiti è una categoria che non mi piace in generale. Ho avuto un dolore enorme da questa storia che ho trasformato in testimonianza con questo libro. Il dolore più grande me l’ha dato il silenzio dei magistrati. La gran parte sono persone oneste ma hanno taciuto. Nel momento in cui ci sono magistrati nominati in base a delle trattative, e rubo questo termine ad altri contesti, per fare carriera soprattutto si tace. Contro Bruti non ho nulla di personale, lui era solo una pedina”. E al giornalista Danilo Procaccianti, coautore del libro, Robledo ha detto: “A me la giustizia oggi fa paura e lo dico da magistrato”. Tra le domande dal pubblico quella del cronista del ‘Sole 24 Ore’ Nicola Borzi che ha denunciato alla Consob con un lungo e coraggioso lavoro d’inchiesta quello che accadeva nel gruppo editoriale, oggetto di un’indagine in corso a Milano a carico anche dell’ex direttore Roberto Napoletano. ”Avevo presentato un esposto molti anni prima dell’indagine attuale, ma poi non ne ho più saputo nulla. Dottor Robledo, mi sa dire se è finito in un cassetto come altri?”. Risposta: “Non sono un indovino, ma non escludo situazioni di questo genere”. (manuela d’alessandro)
“Caro Sironi, niente chiasso artistico in aula!”
Marcello Piacentini era un tipo che amava tenere tutto sotto controllo. Volle scegliere di persona le oltre 140 opere di 52 artisti per impreziosire il grandioso Palazzo di Giustizia di Milano da lui progettato nel 1932. Mario Sironi era invece uno che aveva un talento esplosivo: come tutti i futuristi, poteva avere una tendenza all’esagerazione, anche se poi si rivelò sensibile alla malinconia in molti suoi dipinti. Un carteggio tra i due portato alla luce dall’esposizione sull’arte italiana tra le due guerre alla Fondazione Prada (fino al 25 giugno) svela i grattacapi dell’architetto su una delle opere simbolo del Palazzo, il mosaico affidato al pittore e scultore fascista, oggi visibile nella Corte d’Assise d’Appello. “Caro Sironi – scrive il 19 settembre 1938 l’architetto scelto dal regime – mi dicono che sei stato a Milano per presentare i cartoni del mosaico del Palazzo di Giustizia. Tu sai che ho piena fiducia in te, ma avrei avuto piacere di vederti prima di iniziare il lavoro musivo. In ogni modo ti raccomando caldissimamente di tenerti il più possibile – senza naturalmente con questa significare nessuna rinuncia alla tua personalità d’artista – a proporzioni – anche nei particolari – giuste e normali, senza deformazioni. Tu devi sempre ricordarti che la più importante aula del Palazzo di Giustizia non può essere palestra di polemiche e discussioni artistiche . Guai se magistrati e avvocati dovessero amministrare la giustizia in un ambiente che suscitasse chiasso artistico!”. Piacentini era preoccupato che l’estro dell’artista uscisse dai binari della sobrietà nell’esecuzione dell’imponente mosaico che rappresenta la ‘Giustizia armata con la legge’. E in effetti Sironi non tradì le sue indicazioni. Anche nel colore, nota il critico Marcello Ronchi sul sito della Procura, “Sironi mira all’essenza e sul brunico registro del fondo concede qualche azzurro grigio, del bianco, qualche terra rossa, un po’ di azzurro chiaro e pochissimo rosso vivo. Tavolozza elementare che sostituisce la gioia che può dare una ricca gamma coloristica con il senso di un misurato linguaggio composto di note gravi, che meglio fa risaltare la forma plastica”. (manuela d’alessandro)
Il riscattto di Marta, che mascherava le botte con il trucco
Il linguaggio è quello del cuore, e non te lo aspetteresti in un atto giudiziario. Del resto chi scrive ha vissuto l’inferno delle botte, della dipendenza psicologica, del giogo di un uomo che per lei rappresentava un punto di riferimento e invece non era altro che un violento. Questa è una storia di sofferenza, ma anche di riscatto e speranza, che ricostruiamo attraverso alcune sentenze e le poche pagine di una denuncia ai carabinieri.
“Ero talmente coinvolta sentimentalmente e succube del mio fidanzato che sottostavo ai suoi comportamenti violenti pensando fosse amore”, scrive Marta, oggi 25enne, nella denuncia presentata a dicembre scorso nei confronti del suo ex fidanzato, Roger, dieci anni più grande, davanti ai carabinieri di Rho.
Parla degli anni in cui ha subito e non ha mai protestato. Cinque volte in ospedale, ricoverata due volte, una delle quali perché Roger l’aveva “scaraventata a terra”, fratturandole il pavimento orbitale. Un’altra le aveva sferrato un pugno talmente forte da spaccarle il labbro inferiore. “Quando venni convocata per essere sentita come teste, non dichiarai la verità perché ero innamorata di lui e allo stesso tempo temevo la sua reazione violenta”. Ai medici, con l’occhio gonfio all’inverosimile, aveva dichiarato di essere caduta in bicicletta. Poi Roger viene arrestato, grazie alla denuncia della madre di Marta. Dopo un paio di settimane in carcere, viene messo ai domiciliari. E lì Marta continua a cercarlo. Lo incontra nella taverna di casa, lontano dagli occhi dei genitori di lui. E lì, si sottopone agli stessi interrogatori di sempre: “Con chi ti vedi, con chi parli, sei una stronza, una zoccola, te la farò pagare”. Altre botte. E’ Marta a trovare i soldi per pagare gli avvocati di lui. Quindicimila euro, alla fine. In parte suoi risparmi, in parte denaro rubacchiato in casa e fuori. Tanto che lei finisce nei guai con la giustizia. E’ Roger stesso ad averle insegnato un trucchetto per ingannare i negozianti, una specie di gioco delle tre carte con i resti delle banconote. Lui intanto è viene condannato a tre anni e 4 mesi in abbreviato, con una sentenza innovativa perché riconosce ai famigliari un risarcimento, pur quasi simbolico, per il danno esistenziale subito nel vedere trasformata e allontanata Marta: figlia e sorella. Roger sconta la condanna e torna libero, Marta però si riprende la sua vita. Questa volta è lei a raccontare agli inquirenti tutto quello che ancora non conoscono. Altri episodi di violenza, i soldi, gli insulti, gli ultimi appostamenti di lui.
Nella denuncia firmata di suo pugno, sostenuta di nuovo dalla madre, dall’avvocato Patrizio Nicolò e dagli assistenti sociali, Marta racconta così la sua storia: la prima volta “mascherai i lividi che avevo in volto con il trucco, e indossando indumenti lunghi per quelli che avevo sul corpo”. La seconda volta “lui tentò di strangolarmi, tant’è che per alcuni giorni rimasero sul collo i segni delle sue dita, come se fossero graffi”. Anche dopo il terzo episodio simile “non rivelai a nessuno queste violenze per timore che lui lo venisse a sapere e mi facesse ancora del male (…) Ogni volta che mi picchiava, dopo poco si pentiva, mi chiedeva scusa e io per amore lo perdonavo”.
Ora lei non lo perdona più. Ed è improbabile che lo perdonino i giudici, ora che il pm Stefano Ammendola gli ha notificato una nuova chiusura indagini, questa volta anche con l’accusa di estorsione. “Il rimpianto più grosso che ho è di non averlo denunciato prima”, è il messaggio che oggi Marta vuole lanciare alle tante che come lei ha fatto in passato, subiscono in silenzio.
Botte da orbi tra i magistrati per il libro di Iacona
“E’ inaccettabile paragonare le attività del Csm ai metodi utilizzati dalle organizzazioni criminali”. “Così intimidite chi esercita il diritto di critica”. Botte da orbi tra le toghe, spaccate sul libro ‘Palazzo d’Ingiustizia’ firmato da Riccardo Iacona e uscito nel momento in cui gli equilibri del potere giudiziario sono più labili in vista delle elezioni per il nuovo Csm. Ieri sera, quattro magistrati, tra i quali Piercamillo Davigo (intervistato nel libro), hanno recapitato alla mailing list di Anm un invito: “Prendiamo atto che, a seguito della pubblicazione di un libro che contiene specifiche e gravi accuse all’indirizzo del Csm, le uniche reazioni associative hanno riguardato le modalità espressive di tali critiche. Confrontiamoci invece apertamente sul merito delle questioni denunciate piuttosto che sulla forma delle espressioni, anche per evitare il rischio che la pubblica sollecitazione di iniziative disciplinari si traduca in una sostanziale intimidazione nei confronti di chi ha esercitato o vorrebbe esercitare il diritto di critica”. Stamattina, la violenta replica di Anm a cui, mastica e rimastica, continua ad andare di traverso l’intervista in cui il giudice Andrea Mirenda riferisce di “metodi mafiosi” nell’organo di autogoverno,considerazioni che gli sono valse una richiesta di procedimento disciplinare. Il paragone secondo Anm “è inaccettabile e inappropriato” e “fatta salva la libertà di manifestazione del pensiero danneggia l’Istituzione e l’intero ordine giudiziario, instillando nei cittadini l’idea di un Csm che non garantisce l’indipendenza e l’autonomia della magistratura, così offuscandone l’immagine, gettandovi discredito”. Sempre oggi, per la prima volta il nome di Alfredo Robledo, dal cui racconto è nato il libro, emerge dal dibattito aperto da giorni, ma senza mai citarlo. A farlo è la candidata al Csm Alessandra Dal Moro (moglie di Gherardo Colombo) che definisce l’inchiesta di Iacona “la presentazione di una vicenda in totale condivisione con uno dei protagonisti” la cui “unilateralità del taglio, immediatamente evidente, è estranea al mio modo di ragionare”. “Non mi convince neppure – aggiunge Dal Moro, di Area come Edmondo Bruti Liberati – la rappresentazione di una Procura della Repubblica che col lavoro quotidiano di tutti i suoi sostituti ha fatto tanto per questo Paese”. Tra le risposte, quella di Felice Lima: “I Democraticoni fanno fuoco e fiamme contro Mirenda, solo perché Mirenda è piccolo e solo e sarebbe giudicato dalla giustizia disciplinare gestita come dicono Iacona e Robledo”. Anche al Palazzo di Giustizia di Milano il malumore di molti è alto per le accuse contenute nel libro, tanto che si vocifera di iniziative a tutela dell’”orgoglio di appartenenza” a questo Tribunale che tra i suoi ‘eroi’ vide proprio Davigo e Colombo. Alcuni magistrati si chiedono tra loro se sia opportuno o meno andare alla presentazione ufficiale del volume, prevista per il 2 maggio alla Feltrinelli di Milano. Lontano il tempo quando Riccardo Iacona veniva chiamato a moderare i convegni di Anm, ora può essere pericoloso andarlo a sentire. (manuela d’alessandro)