giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Milano è il primo comune parte civile contro il cybercrime

Per la prima volta un Comune, quello di Milano, entra come parte civile in un processo per chiedere che vengano risarciti i cittadini vittime di frode informatiche. Succede nel giudizio col rito abbreviato a carico di 13 imputati che avrebbero costituito un’ associazione a delinquere tra l’Italia e la Romania finalizzata, tra le altre cose, alla clonazione delle carte di credito e alla falsificazione di documenti d’identità.

Il giudice Lorenza Pasquinelli ha accolto l’istanza in cui il legale dell’amministrazione comunale, l’avvocato Federico Bier, evidenzia che le tecniche utilizzate dal presunto gruppo criminale, tra cui e – mail ‘trappola’, “si caratterizzano per essere particolarmente subdole, tese a colpire in particolar modo vittime vulnerabili che per diverse ragioni si dimostrano inesperte nel fronteggiare tentativi di frode informatica e spesso, per debolezza e timore, rinunciano a sporgere denuncia”. Persone che “ingannate dalle richieste provenienti dai falsi istituti di credito presso i quali erano correntisti, hanno fornito in buona fede le credenziali di accesso ai loro conti, dai quali sono state sottratte somme di denaro”. Attraverso il suo legale, il Comune fa presente di avere da anni attivato una serie di iniziative, anche in collaborazione con la Procura,  per prevenire i reati informatici e ha costituito nel 2014 un ‘Fondo per le vittime vulnerabili’.  Ad alimentarlo sono i risarcimenti degli indagati, come i 9mila euro versati da Salvatore Aragona, uno dei presunti capi dell’associazione a delinquere, che ha ottenuto l’ok del pm Francesco Cajani a patteggiare una pena a 3 anni e sei mesi di carcere. Scopo della costituzionale di parte civile è quello di chiedere i danni non patrimoniali “sotto il profilo del turbamento provocato ai cittadini” e patrimoniali “con riferimento alle spese sostenute dal Comune, anche sotto il profilo organizzativo, per la realizzazione di tutte le attività di prevenzione, formazione e contrasto ai reati informatici”. (manuela d’alessandro)

Tre Procure sui fondi Expo per la giustizia, avremo una verità?

Tre Procure ognuna per conto proprio  - caso alquanto eccezionale – stanno indagando sul gigantesco pasticcio dei fondi Expo assegnati alla giustizia milanese tra il 2010 e il 2015.  A quella di Milano, che aveva aperto un’indagine a carico di ignoti per turbativa d’asta, si aggiungono Brescia e Venezia, come si evince dalla lettura dell’atto di conclusione dell’istruttoria avviata a febbraio dall’Anac, più di due anni dopo le inchieste giornalistiche di Giustiziami, del ‘Giornale’ e del ‘Fatto’.

Nelle settimane scorse, i magistrati di queste due città hanno chiesto all’Autorità nazionale anticorruzione la trasmissione delle carte  sulle presunte anomalie nelle 25 procedure analizzate del valore di circa 9 milioni di euro. Brescia è competente su eventuali reati commessi dai magistrati milanesi, a cominciare dall’allora presidente del Tribunale Livia Pomodoro, mentre le toghe veneziane potrebbero essere interessate a chiarire la posizione di Claudio Castelli, che presiede la Corte d’Appello bresciana, e fu uno dei protagonisti al tavolo dove si discusse come utilizzare il ‘tesoro’ di Expo.

I nomi dei magistrati non sono indicati nel rapporto finale di Anac, molto più interessato  alle responsabilità del Comune, accusato come stazione appaltante di  avere distribuito il denaro attraverso affidamenti diretti quando la legge avrebbe imposto delle gare pubbliche.  Tra i “numerosi profili di criticità e di non rispondenza alle previsioni normative” spiccano quelli relativi all’assegnazione di una montagna di denaro per il processo civile telematico, la cui ‘costruzione’ è stata affidata  in regime pressoché monopolistico “senza indagini di mercato” a due società, Net Service ed Elsag Datamat.  Sospetti anche sulla fornitura della segnaletica per orientarsi nel Palazzo (come non ricordare i monitor disseminati nel Palazzo che senza requie né senso rimandano la beffarda scritta ‘Udinza Facile’)  e  sul curioso acquisto da Telecom, senza un apparente perché,  di 33 armadi e 1500 prese. Ingiustificato appare anche l’affidamento diretto alla Camera di Commercio per il nuovo sito del Tribunale in nome della Convenzione stipulata da Pomodoro che, finalmente,  e forse anche alla luce di un’inchiesta spinosa,  il suo successore Roberto Bichi ha revocato qualche giorno fa.

Ma che faranno ora le tre Procure  cui Anac ha girato il suo dossier finale?

Milano sembra scettica. Al procuratore Francesco Greco non sarebbe piaciuto il ritardo con cui Cantone ha cominciato a fare accertamenti e che non consentirebbe di indagare con intercettazioni e altri strumenti più tempestivi. Brescia per tradizione non ama infierire sui vicini colleghi, forse Venezia, lontana dal cuore e geograficamente da Milano, potrebbe essere più incisiva nella ricerca di una verità che appare necessaria. (manuela d’alessandro)

la delibera finale di Anac

 

 

Cosa hanno fatto per un anno e mezzo in Comune i 2 funzionari indagati?

Cosa facevano da un anno e mezzo Armando Lotumulo e Stanislao Innocenti, i due dirigenti del Comune di Milano, arrestati per corruzione negli appalti sulla sicurezza delle scuole? Per il sindaco Beppe Sala giacevano in una stanzetta isolati dal mondo, per i magistrati continuavano a ricoprire “importanti” incarichi “apicali” per la comunità.

Il 29 settembre 2015 diverse testate giornalistiche riportano che i “funzionari del 13esimo e del 19esimo piano”, così vengono indicati nelle intercettazioni, sono indagati perché avrebbero preso dei tablet in cambio di favori ad amici imprenditori. Poco dopo, stando a quanto dichiarato oggi da Sala che ne ha annunciato la sospensione, vengono spostati in uffici “in cui non avevano più nessun contatto con l’esterno e non si occupavano di gare”.

Le carte dell’inchiesta, che avrebbe poi appurato altri gravi casi di corruzione a carico dei due,  raccontano una storia diversa.  Dal sito del Comune il gip apprende di quelle che definisce “importanti competenze connesse al nuovo incarico” assegnato a Innocenti, piazzato alla “Direzione centrale Sviluppo del Terriorio – settore Sportello Unico per l’Edilizia” dove ci si occupa, tra le altre cose, di procedimenti di condono e controllo e vigilanza sull’attività edilizia, gestione delle procedure sanzionatorie e demolizioni di ufficio”. Altrettanto di rilievo, considera il magistrato, l’incarico attribuito a Lotumulo alla Direzione Centrale Mobilità, Trasporti, Ambiente ed Energia.  Tanto da poter parlare di due persone la cui “sfera di potere è molto ampia e solida sia per i ruoli apicali che per la stratificazione nel tempo del loro potere”.

Lo stesso pm Luca Poniz, nel chiedere l’arresto, evidenziava il pericolo di “reiterazione di reati della stessa specie” dal momento che i due “continuano a ricoprire ruoli di vertice all’interno dell’amministrazione comunale in settori pertinenti ai lavori pubblici“.  (manuela d’alessandro)

 

Se Kabobo nella sentenza diventa un danno per Expo

Expo è una creatura fragile e anche un omicidio del 2013 può nuocere gravemente alla sua salute. Non un omicidio qualunque, certo: Adam Kabobo, ghanese, massacrò a colpi di piccone tre passanti in una tetra alba milanese di gennaio, la personificazione del terribile ‘uomo nero’ negli incubi dei bambini.

Ora, nelle motivazioni alla sua condanna a 20 anni di carcere, i giudici della Corte d’Appello riconoscono al Comune di Milano un risarcimento per il danno d’immagine che avrebbe subito dall’eccidio. “La diffusione della notizia – si legge nel documento – ha prodotto comprensibile e intenso allarme nella cittadinanza con conseguente danno per l’Amministrazione comunale, sia con riferimento all’azzeramento degli effetti auspicati in conseguenza della costosa attività  di promozione dell’immagine della città, anche all’estero, sia sotto il profilo della verificata inefficienza dell’attivita’ di lotta alla violenza predisposta dal Comune a tutela degli abitanti della zona, teatro degli omicidi”.

I legali di Kabobo, nel sostenere contro il verdetto di primo grado che Palazzo Marino non aveva subito alcun danno d’immagine, avevano fatto fatto cenno nel ricorso in appello alla “visibilità internazionale di Milano, sede dell’Expo 2015″. Solo che secondo loro tutori dell’ordine e della sicurezza sarebbero la Questura e il Prefetto, non tanto Palazzo Marino.

Per i giudici però il  “grande clamore mediatico sui giornali e sulle reti televisive, anche straniere, dell’omicidio di 3 cittadini milanesi colpiti a picconate in piena città” ha danneggiato proprio il Comune, impegnato a promuovere l’immagine della città in vista dell’Esposizione Universale. (manuela d’alessandro)