giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Gli avvocati al cinema non sono mai Perry Mason

 

Solo chi non ha mai messo piede in un’aula di giustizia italiana può ancora credere che un avvocato somigli a quel Perry Mason che convinceva le giurie popolari americane con la sola forza della ragione.

Eppure la figura dell’avvocato ha da sempre attirato attori e cineasti di tutto il mondo.

Andando un po’ a zonzo per la sterminata filmografia troviamo negli anni ’50, dopo il citato Raimond Burr, lo straordinario Charles Laughton di “Testimone d’accusa” di Billy Wilder, mentre in Italia imperavano i legali macchietta alla Alberto Sordi o Vittorio De Sica che in “Altri tempi” di Blasetti conierà, nella sua memorabile arringa, quella storica definizione di “maggiorata fisica” per difendere la Lollo, non potendosi avvalere della codificata “minorata psichica”.

Passeranno molti anni prima di trovare nel cinema di casa nostra avvocati più seri, perché impegnati in processi realmente accaduti, come nel caso di Stefano Accorsi, alter ego di Raffaele Della Valle in “Un uomo per bene” di Zaccaro, oppure del meno edificante Marco Giuliani in “Sulla mia pelle” di Cremonini.

Frattanto negli anni ‘60 il grande Gregory Peck si porta a casa un Oscar per “Il buio oltre la siepe” di Mulligan, nei ’70 sono tutti impegnati a fare altro e negli ’80 l’idealista Paul Newman de “Il Verdetto” di Lumet si confronta con l’irresistibile Danny De Vito, matrimonialista uscito distrutto, al punto da riprendere a fumare, dall’esiziale “Guerra dei Roses”.

Nei ‘90 arrivano gli avvocati belli, ricchi e rampanti, si comincia con Tom Cruise, che schianta in controesame l’imbolsito Jack Nicholson in “Codice d’onore” di Reiner, prima di diventare “Il Socio” di Pollack, e si continua con un Richard Gere turlupinato dal proprio cliente in “Schegge di paura” di Hoblit, un Keanu Reeves che fa “L’avvocato del diavolo” nel film di  Hackford, di nuovo Richard Gere in “Chicago” di Marshall, fino al come sempre strepitoso Roberto Downey Jr. in “Il Giudice” di Dobkin.

Ma il politically correct imponeva di proporre anche figure più nobili, come il Mattew Mc Conaugey di “Il Momento di uccidere” di Schumacher, il Denzel Washington di “Filadelfia” di Demme, il Mat Damon di “L’uomo della pioggia” di Coppola, fino a Chris O’Donnell, nipote del condannato Gene Hackman in ”L’ultimo appello” di James Foley, oppure talentuosi squattrinati come il Dustin Hoffman di “Sleepers” di Levinson e il Joe Pesci di “Mio cugino Vincenzo” di Lynn, per mio conto tra le più riuscite interpretazioni delle loro rispettive carriere.

Infine, seppur tardivamente, faranno ingresso sulla scena anche avvocate del gentil sesso, eredi della grande Katharine Hepburn di “La costola d’Adamo” di Cuckor, e così, dopo Jessica Lange, lacerata dal conflitto familiare in “Prova d’accusa” di Costa Gravas,  troviamo Cher in “Presunto colpevole” di Yates, Susan Sarandon in “Il Cliente” di Schumacher e Emma Thompson in “Nel nome del padre” di Sheridan, fino a quella Julia Roberts, che pur non essendo iscritta all’albo, sarà lei a vincere da sola la causa di Erin Brokovic nel film di Soderbergh.

avvocato Davide Steccanella

Gli avvocati milanesi fanno un ‘film’ contro la prescrizione

 

Come sarebbe il processo penale dopo l’abrogazione sostanziale della prescrizione? I legali della Camera Penale di Milano rispondono con un breve video distopico  intitolato ’3001 Odissea nel Processo‘, visibile sulla loro pagina Facebook, la cui prima scena è quella dell’esercito coreano.  “Un’immagine scelta per far capire quali possono essere gli esiti del giustizialismo”, afferma l’avvocato Matteo Picotti, tra gli autori del ‘film’ girato in occasione dell’astensione dei penalisti da oggi a venerdì.  Il ‘corto’, che si annuncia come “basato su fatti realmente accaduti,” immagina cosa accadrebbe con lo stop dello scorrere del tempo dopo il primo grado di giudizio auspicato dal Governo a guida Lega – 5 Stelle. “Nel 2020 d. C. eliminarono la prescrizione, dopo la riforma i processi durarono una vita e nel 3001 d.C. ogni cittadino aveva un processo infinito”, le scritte sovrapposte alle scene, tra cui quella di una piazza con folla urlante, la Statua della Libertà e riferimenti al romanzo di George Orwell ’1984′. In sottofondo musiche di grande pathos a enfatizzare la delicatezza del momento. Infine un cartello funerario firmato dagli avvocati annuncia che “dopo una lunga e penosa malattia si è spenta tra atroci sofferenze la giustizia”. Titoli di coda con ruoli e nomi nella produzione dell’opera, tra cui quello della regista Monica Gambirasio, la presidente della Camera Penale di Milano ‘Gian Domenico Pisapia’, nel cui distretto sono comprese anche comprende Como, Lecco, Pavia, Sondrio, Varese, Monza e Busto Arsizio. “Abbiamo voluto lanciare una provocazione”, spiega Picotti, il giovane legale che ha montato l’opera – che si rifà a intuizioni già avute da registi e intellettuali sulle estreme conseguenze che può avere questa riforma. Non abbiamo inventato nulla”.

(manuela d’alessandro)