giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Quello che c’è ancora da dire sul caso Imane Fadil

Tutto parrebbe chiaro. Dopo sei mesi di attesa e indiscrezioni, la Procura di Milano comunica che, sulla base di una lunga e complicata consulenza, Imane Fadil è stata uccisa da un’aplasia midollare associata a un’epatite acuta, un’entità clinica estremamente rara e di estrema gravità, il cui esito infausto è purtroppo frequente”. Nessun avvelenamento, tantomeno da sostanze radioattive, nessuna intossicazione da metalli. Eppure, restano alcuni aspetti enigmatici attorno alla fine della modella marocchina e testimone dell’accusa nei processi Ruby, morta a 34 anni il primo marzo scorso nella clinica Humanitas di Rozzano, polo sanitario di eccellenza in Lombardia. 
La causa ignota dell’aplasia  
“La consulenza ha dato una risposta certa sulla malattia, ma non è assolutamente possibile capire la causa che l’ha generata”, ha spiegato il procuratore di Milano Francesco Greco durante la conferenza stampa. Nella relazione del pool di medici, guidati dall’anatomopatologa Cristina Cattaneo, ‘fuoriclasse’ del settore capace di rischiarare molti casi di cronaca nera negli ultimi anni, si legge che “nella maggior parte dei casi” non è possibile identificare la causa di questa patologia che viene perciò definita “idiopatica”. Termine che in medicina suona come una sconfitta perché significa che si è all’oscuro della genesi del male. Mentre se l’origine sono dei farmaci o la radio e la chemioterapia, l’aplasia può risolversi da sola, “nella maggioranza dei casi idiopatici il processo è irreversibile spontaneamente, ma può rispondere a dei trattamenti specifici”. 
Le scelte terapeutiche non coerenti
Secondo la squadra di esperti, “le scelte terapeutiche degli ultimi giorni, successive alla diagnosi formale di aplasia midollare, non sono state coerenti con tale diagnosi”. Tuttavia, “non ci sono indicativi profili di colpa medica” perché “qualunque corretta terapia immunosoppressiva con o senza trapianto di midollo osseo avrebbe richiesto molte settimane prima di poter modificare la storia clinica naturale di questa malattia”.  I magistrati, a precisa domanda sulla “coerenza” delle cure rispetto alla diagnosi, hanno risposto che “non sono stati rilevati profili critici” e hanno evidenziato una “notevole attenzione per la paziente”. Su questo aspetto, la famiglia di Imane punta far riaprire il caso, opponendosi alla richiesta di archiviazione dell’inchiesta per omicidio volontario presentata dai pm.  Il legale Mirko Mazzali, che la rappresenta, ritiene che una perizia di parte possa far luce su eventuali colpe mediche, proprio a partire dalle perplessità espresse dagli esperti. Nei giorni scorsi, aveva fatto sapere che la famiglia della giovane, nonostante il nullaosta della Procura, ha deciso di non celebrare ancora il funerale proprio per consentire ulteriori accertamenti. La diagnosi di aplasia midollare è arrivata il 25 febbraio e, secondo il pm Luca Gaglio e il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, “c’erano più probabilità di morte con le cure che senza”. Anche se, stando alla consulenza, l’aplasia idiopatica può essere risolta solo con dei trattamenti, i medici non se la sarebbero sentita di rischiare. 
La telefonata dell’avvocato di Imane 
“Paolo, il medico mi ha detto che dai risultati sembra che mi abbiano avvelenata. Io lo sapevo già che volevano farmi fuori”. I magistrati hanno fatto ascoltare ai giornalisti presenti alla conferenza stampa una telefonata in cui Imane riferisce all’allora  legale, Paolo Sevesi, i suoi timori. La conversazione risale al 12 febbraio ed è stata data dall’avvocato alla Procura nelle ore successive al decesso. “La nostra reazione, ascoltandola, è stata di incredulità – ha affermato Greco – perché ci è stata consegnata molto tempo dopo e perché l’ospedale non ci aveva comunicato nulla sull’ipotesi avvelenamento”. Interpellato sul perché del ritardo nella consegna, Sevesi ha risposto: “Quando i pm mi hanno chiesto cosa mi aveva detto Imane, gli ho fornito la registrazione. Tutto qua”. Nell’atto di costituzione di parte civile al processo Ruby ter, Sevesi aveva parlato di “patimento” da parte di Fadil per essersi ‘smarcata’ dalla posizione delle altre partecipanti alla serate di Arcore, ma aveva anche invitato alla prudenza sulle “minacce” subite da Imane:”Io riporto solo quello che ha detto la mia assistita, che è tutto da provare in dibattimento”.  
La fretta della Procura
Non si può dire che la gestione delle informazioni di questa vicenda da parte degli inquirenti sia stata delle migliori. Quello di Imane è senz’altro un caso unico nella storia giudiziaria milanese, ma la precipitosità con cui, talvolta, si è agito ha dato spunti alle più assurde ipotesi sulla morte della ragazza. Nel primo incontro coi giornalisti, Greco aveva accusato l’Humanitas di avere tenuto nascosta la morte per quasi una settimana. Nei giorni successivi, si era corretto: “Ci siamo sbagliati, lo abbiamo saputo il giorno stesso dall’avvocato Sevesi, che probabilmente ha anticipato la comunicazione all’ospedale, e poi siamo intervenuti”. I magistrati avevano poi riferito della presenza “in quantità molto superiori alla norma” di 4 metalli pesanti, paragonabili a quelli di lavoratori esposti a fonti di inquinamento massiccio. Dalla consulenza emerge invece che, da esami più approfonditi rispetto ai primi riscontri, erano presenti solo cromo e nichel ma con “valori che rientrano in quelli riscontrati nella popolazione generale”. Tra le altre ipotesi, quella della radioattività, che ha portato a eseguire l’autopsia con precauzioni speciali per evitare che i medici corressero dei pericoli per la loro incolumità. Forse sarebbe stato meglio spegnere, appena si poteva, questa ipotesi da film di spionaggio, sulla quale si sono costruiti romanzi mediatici. (manuela d’alessandro)

 

Perché la ‘fedelissima’ di Berlusconi risarcisce le “vittime” del bunga bunga

“Ma dietro il risarcimento della senatrice Rossi c’è Berlusconi?”. Alla domanda l’avvocato Salvatore Pino, legale di talento e spirito, ribatte con una battuta e una risata: “Siete proprio dei cornuti voi giornalisti”. Eppure ci vuole poca fantasia a immaginare che dietro la mossa della parlamentare di Forza Italia Mariarosaria Rossi di risarcire le presunte vittime del bung bunga (Imane Fadil, Chiara Danese e Ambra Battilana) si potrebbe stagliare l’ex Cavaliere. La notizia è stata annunciata in aula proprio dall’avvocato Pino, difensore della ‘fedelissima’ di Silvio, e ha determinato  l’ennesimo rinvio del processo ‘Ruby ter’ iniziato nel gennaio 2017  strozzato sul nascere da una serie di lungaggini da far impallidire le infinite epopee giudiziarie già affrontate da Berlusconi. Tutto aggiornato al 14 novembre anche per consentire alle trattative di fare il loro corso.

Ma perché la senatrice Rossi vuole risarcire le tre ragazze ospiti alle serate di Arcore? Sembra che gli avvocati dell’entourage del fondatore di Forza Italia siano seccati dalle continue esternazioni alla stampa delle parti civili, in particolare da quelle della modella di origini marocchine Imane Fadil. “Pensi a fare il nonno invece di candidarsi alle europee”, ha proferito la ragazza dopo l’udienza di oggi. Di certo, se l’accordo si farà, la Rossi, accusata di falsa testimonianza, godrà dello sconto di un terzo della pena previsto in casi di risarcimenti prima che il processo entri nel vivo. L’altra ipotesi è che si vogliano ‘togliere di torno’ le uniche che hanno interesse a celebrare in fretta questo processo, nella speranza di portare a casa un risarcimento, accontentandole subito.  Battilana, Danese e Fadil poi, anche se dovessero revocare la costituzione di parte civile in seguito a un risarcimento, verranno di nuovo richiamate in aula come testimoni, con l’obbligo di dire tutta la verità. Quanto sarebbero condizionate dal denaro ricevuto le ragazze che hanno puntato il dito contro il ‘bunga – bunga’? (manuela d’alessandro)