giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Per la prima volta un detenuto Isis reclama i suoi diritti a un processo

 

“Non mi hanno nemmeno avvisato della videoconferenza. Giudice, secondo lei è possibile che ci tolgano anche il diritto di prepararci?“.  Non è una novità che i detenuti reclamino (giustamente) i propri diritti in aula. Ma è la prima volta che a farlo di fronte a una corte italiana è un presunto appartenente all’Isis, oggi condannato in appello a 6 anni perché avrebbe avuto in animo, tra le altre cose, di far saltare la base militare di Ghedi, nel bresciano.

Muhammad Waqas, pakistano di 28 anni, è uno preparato.  Come ha ricordato il suo avvocato, “ha vissuto sin dalla sua fanciullezza a Brescia, si è diplomato in ragioneria con ottimi voti e poi si è dedicato a un lavoro onesto come contabile in una ditta di trasporti”. Uno che nelle dichiarazioni spontanee ha sfoggiato  un ottimo italiano con riferimenti precisi agli articoli del codice e consapevolezza dei suoi diritti.  “Avevo chiesto anche le motivazioni della sentenza di primo grado, ma non mi sono arrivate. Non so nemmeno perché mi hanno condannato.  Estradatemi in Pakistan – ha poi concluso il suo intervento in cui si è dichiarato estraneo all’Isis – e quando la sentenza diventera’ definitiva semmai chiedete l’estradizione al mio Paese”. Più volte Waqas e il suo legale, Luca Crotti, si sono sentiti al telefono per concordare la strategia difensiva. Tra i punti più contestati dagli avvocati della riforma Orlando, c’è quello che prevede l’ampliamento della discrezionalità dei giudici nel disporre la videoconferenza. Che anche in casi come quelli di presunti terroristi appare una severa violazione dei diritti della difesa.

(manuela d’alessandro)

I verbali del comandante dell’Isis, 20 anni di storia di noi e dell’islam radicale

 

Tutta la storia, narrata in prima persona, di Abou Nassim, il comandante dell’Isis catturato oggi in Libia e considerato dai servizi il referente del terrore per l’Italia oltre che uno degli autori della strage del Bardo secondo le autorità tunisine.  Un concentrato diluito di due decenni nella viva voce del tunisino registrata dai verbali degli interrogatori di tutto quello che sta attorno al tema ‘terrorismo islamico’. Arrivato in Italia con un barcone, da spacciatore di droga a “uomo pio” e vicino agli ambienti estremisti attraverso la frequentazione delle moschee milanesi, detenuto e torturato in una base americana in Pakistan dopo l’11 settembre, combattente in Bosnia, arrestato per terrorismo ed espulso dall’Italia dopo un’assoluzione in primo grado (poi in appello ha preso 6 anni), vicino prima ad Al Qaeda e poi ‘colonnello’ dell’Isis. Ha solo 46 anni, Abou Nassim, ma nella sua vicenda personale raccontata al gip Guido Salvini ritroviamo tutta la storia dei rapporti tra il nostro Paese e l’ Islam radicale negli ultimi 20 anni. (manuela d’alessandro)

primo interrogatorio Nassim

secondo interrogatorio Nassim

terzo interrogatorio Nassim

L’interrogatorio di Marianna, uccidere in Siria è il dovere di un musulmano

 

“Lo vuole il Profeta, la mia religione è questo”. Il senso dell’interrogatorio di Marianna Sergio sta tutto qua. Che sia il vero Islam quello che predica la guerra santa, per cui un mostro come il terrorista Abu Bakr Al Baghdadi si può far passare per autentico interprete del Corano, che sia una religione quella secondo cui i presunti adulteri debbano essere lapidati a morte (la sorella di Marianna, Maria Giulia, ne ride in una conversazione su Skype come se fosse un fatto ineluttabile e divertente al tempo stesso), pare nient’altro che il pensiero di un’invasata, almeno a chi scrive. Qui però ci si limita a riferire che Marianna, aspirante jihadista e sorella di Maria Giulia ‘Fatima’, già divenuta militante del cosiddetto califfato di Siria e Iraq, ne è fermamente convinta.

Nell’interrogatorio reso a San Vittore davanti al pm Paola Pirotta e al procuratore aggiunto Maurizio Romanelli, la ragazza parla proprio di questo. Andare in Siria e unirsi alle fila dell’Isis insieme a Fatima, avrebbe affermato Marianna, era la cosa giusta da fare. Per fortuna la Digos e la magistratura sono intervenute in tempo. “Lì c’è la guerra”, ovvio che si combatta e uccida. Non lo fanno le donne perché non è previsto, avrebbe spiegato la ragazza, ma gli uomini, se veri musulmani, nell’uccidere un infedele compiono il loro dovere. Non usa mai il termine ‘eroina’, riferendosi alla sorella Maria Giulia che il suo viaggio verso il califfato l’ha portato a termine, ma ne parla in termine elogiativi.

Anche la zia del marito di Maria Giulia, Anila, è stata interrogata dagli inquirenti, e in settimana toccherà anche ai genitori delle due sorelle. Nell’interrogatorio di garanzia davanti al gip Ambrogio Moccia si erano avvalsi della facoltà di non rispondere, salvo per poche dichiarazioni spontanee del padre delle ragazze, Sergio Sergio, ritenute non particolarmente utili dagli investigatori.