giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Martina e figlio ancora in ospedale perché non sanno dove mandarli

Martina Levato e il suo bambino stanno bene. Sono così in salute che avrebbero potuto lasciare sin da oggi la clinica Mangiagalli. Non vengono dimessi, fanno sapere dall’ospedale con più fiocchi azzurri e rosa di Milano, solo perché non si sa dove mandarli.

Il provvedimento del Tribunale dei Minori col quale è stato revocato il ‘divieto di abbraccio’ tra madre e figlio col trascorrere delle ore appare sempre più una decisione monca. La Mangiagalli è diventata una sorta di ‘stato cuscinetto’ di cui i due sono cittadini onorari mentre il mondo attorno si azzanna su cosa sia il loro bene e male e i magistrati cercano un’alchimia per fare meno danni possibili.

Se è normale che opinione pubblica, psichiatri ed editorialisti  si azzuffino sui dilemmi etici e giuridici sollevati dal caso, lo è molto meno che nelle ultime settimane  la giustizia non sia stata capace di garantire  una risposta veloce e univoca alla domanda sul futuro di Martina e del neonato.

Pochi giorni prima del parto, il Tribunale del Riesame indicava nell’Icam, la struttura che accoglie madri detenuti con figli piccoli, la soluzione in attesa di una decisione definitiva dei giudici minorili. Poi l’ordine del pm dei minori Annamaria Fiorillo a impedire qualsiasi contatto tra Martina e il bimbo considerata l’assoluta “inadeguatezza” della ragazza nelle vesti di madre. Infine, ieri i giudici hanno demolito la scelta del pm concedendo la possibilità di un incontro al giorno, ma senza allattamento diretto. E’ apparso subito chiaro che quel provvedimento avrebbe avuto un senso solo per poche ore, il tempo delle dimissioni dalla clinica.

Un tempo che ora viene dilatato, fino a quando non si sa. Restano le vecchie mura della Mangiagalli, lembo di terra neutrale, a proteggere una piccola vita abbandonata su una ruota medioevale dalle tremende indecisioni dei grandi. (manuela d’alessandro)

Acido, il biglietto del pm Musso al piccolo A. su carta intestata della Procura

“Ad A. con infinita tenerezza per un lungo cammino”, scrive il pm Marcello Musso sul biglietto consegnato alle puericultrici della clinica Mangiagalli che assistono il piccolo dato alla luce a ferragosto da Martina Levato, la studentessa condannata a 14 anni di carcere per avere sfregiato con l’acido un ex compagno di studi.

Assieme al biglietto, un paio di babbucce bianche: il primo dono ricevuto da questo bambino che per il resto ha ricevuto solo schiaffi nel suo soffio di vita. Un “atto di solidarietà umana”, quello del magistrato, come l’ha definito lui stesso davanti alle telecamere lasciando l’ospedale, o un gesto inopportuno perché fuori dai compiti istituzionali consoni a un pubblico ministero? O, addirittura, una provocazione, come suggerito da alcuni sui social, da parte di chi ha condotto le indagini togliendo di fatto una madre (almeno per ora) al neonato?

Marcello Musso ha voluto scrivere le parole che hanno accompagnato il dono su carta della Procura di Milano, premurandosi di sbarrare a penna  l’intestazione. Lo ha fatto non  perché non avesse voglia di comprare un biglietto in cartoleria, ma  per evidenziare che il regalo al bimbo viene dall’uomo che c’è dietro al magistrato, costretto dalla legge alla durezza verso la mamma di A. La linea tracciata con biro nera sulle parole ‘Procura di Milano’  dovrebbe  segnare, nelle sue intenzioni, un confine tra il Musso pm e Musso uomo. “Sono il magistrato che ha fatto condannare Martina, ma anche una persona con una sensibilità scossa da questa vicenda e l’opinione pubblica lo deve sapere”, ha ripetuto più volte Musso in questi giorni a chi gli stava vicino, mentre era tormentato dai dubbi sull’opportunità  della visita al piccolo.

Stamattina, quando ha preso dal suo ufficio la busta verde con le babbucce e il messaggio per recarsi alla Mangiagalli, Musso era un uomo che tremava nella sua volontà. Sicuro di compiere un gesto per lui necessario ma consapevole di esporsi alle critiche di chi non lo avrebbe apprezzato. Per il suo coraggio lo rispettiamo, pur continuando a ritenere che il posto dove un magistrato deve esprimere umanità sono gli atti giudiziari, quelli su carta intestata ma non sbarrata.  (manuela d’alessandro)