giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

La mappa delle 500 telecamere nel Palazzo e i dubbi dei lavoratori

Quella che vi mostriamo in esclusiva è la mappa del centinaio di telecamere che verranno installate entro la fine dell’anno al terzo piano del Palazzo di Giustizia di Milano. Proprio dove l’imprenditore Claudio Giardiello circa tre anni fa compì il suo eccidio con una pistola introdotta eludendo i controlli ai varchi.   In tutto gli ‘occhi elettronici’ saranno 500, sparsi in ogni angolo dell’immensa costruzione di età fascista e anche nella nuova palazzina di via San Barnaba, aule comprese se i giudici daranno l’autorizzazione.

E’ la prima iniziativa del procuratore capo Roberto Alfonso sul tema della sicurezza sollevato dalla strage. Lo stanziamento che ha reso possibile il piano telecamere è di circa un milione e verrà seguito, entro il 2020, dall’installazione dei tornelli agli ingressi e dei videocitofoni davanti alle stanze di ogni magistrato. Si riuscirà a eliminare del tutto il rischio che scorra di nuovo del sangue nella casa milanese della giustizia?

C’è poi il tema della privacy. Camminare nel Palazzo di Giustizia significherà essere ‘pedinati’ passo passo da uno sguardo invisibile.  In un riunione che si è tenuta nei giorni scorsi coi rappresentanti dei sindacati, Alfonso ha sostenuto che “l’unico scopo delle telecamere è aumentare gli standard della sicurezza, senza alcuna limitazione o ripercussione nei confronti dei lavoratori” e che una copia del progetto è stata mandata all’Ispettorato del Lavoro e all’Autorità garante dei dati personali. Una sindacalista ha chiesto e ottenuto dal procuratore garanzie sul fatto che le telecamere non vengano utilizzate per controllare l’attività lavorativa e, in particolare,  le timbrature. (manuela d’alessandro)

“Caro Sironi, niente chiasso artistico in aula!”

Marcello Piacentini era un tipo che amava tenere tutto sotto controllo. Volle scegliere di persona le oltre 140 opere di 52 artisti per impreziosire il grandioso Palazzo di Giustizia di Milano da lui progettato nel 1932. Mario Sironi era invece uno che aveva un talento esplosivo: come tutti i futuristi, poteva avere una tendenza all’esagerazione, anche se poi si rivelò sensibile alla malinconia in molti suoi dipinti. Un carteggio tra i due portato alla luce dall’esposizione sull’arte italiana tra le due guerre alla Fondazione Prada (fino al 25 giugno) svela i grattacapi dell’architetto su una delle opere simbolo del Palazzo, il mosaico affidato al pittore e scultore fascista, oggi visibile nella Corte d’Assise d’Appello. “Caro Sironi – scrive il 19 settembre 1938 l’architetto scelto dal regime – mi dicono che sei stato a Milano per presentare i cartoni del mosaico del Palazzo di Giustizia. Tu sai che ho piena fiducia in te, ma avrei avuto piacere di vederti prima di iniziare il lavoro musivo. In ogni modo ti raccomando caldissimamente di tenerti il più possibile – senza naturalmente con questa significare nessuna rinuncia alla tua personalità d’artista – a proporzioni – anche nei particolari – giuste e normali, senza deformazioni. Tu devi sempre ricordarti che la più importante aula del Palazzo di Giustizia non può essere palestra di polemiche e discussioni artistiche . Guai se magistrati e avvocati dovessero amministrare la giustizia in un ambiente che suscitasse chiasso artistico!”. Piacentini era preoccupato che l’estro dell’artista uscisse dai binari della sobrietà nell’esecuzione dell’imponente mosaico che rappresenta la ‘Giustizia armata con la legge’.  E in effetti Sironi non tradì le sue indicazioni. Anche nel colore, nota il critico Marcello Ronchi sul sito della Procura, “Sironi mira all’essenza e sul brunico registro del fondo concede qualche azzurro grigio, del bianco, qualche terra rossa, un po’ di azzurro chiaro e pochissimo rosso vivo. Tavolozza elementare che sostituisce la gioia che può dare una ricca gamma coloristica con il senso di un misurato linguaggio composto di note gravi, che meglio fa risaltare la forma plastica”.  (manuela d’alessandro)

Sala a Palazzo: “Fare accendere i monitor di Expo? Ne ho già abbastanza qua dentro…”

 

Beppe Sala sbarca a Palazzo di Giustizia per testimoniare al processo Maroni e come un alieno su una terra impervia si guarda attorno e posa lo sguardo su uno dei monitor non funzionanti acquistati coi soldi di Expo. “Cosa sono? Cosa vuol dire ‘udienza facile’?”.

“Sindaco – gli spieghiamo – sono i monitor acquistati coi soldi di Expo. Non può fare qualcosa per farli partire? Sono qui da 3 anni anni e non danno cenni di vita”. E lui, con amaro sorriso e chiaro riferimento all’indagine sulla ‘Piastra di Expo’ in cui è indagato per falso: “Ne ho già abbastanza, rischio di diventare un habitué qua dentro. Ah sì, ora ricordo, era l’appalto fatto dalla Pomodoro…”.

Si, caro sindaco, ma lei dovrebbe saperne di più perché era il commissario unico di Expo e vennero comprati con la ‘dote’ dell’Esposizione Universale’. Quasi duecento dispositivi di marca Samsung presi nell’ambito di un appalto complessivo da circa due milioni di euro. L’obbiettivo era ‘informatizzare’ la giustizia in vista dell’appuntamento col mondo e, in particolare, far orientare i cittadini nel dedalo giudiziario, sostituendo i fogli di carta appesi alle porte delle aule.

Spenti da secoli, ormai un arredo inerte che punteggia ogni angolo della cittadella giudiziaria, i monitor rappresentano lo spreco più evidente del ‘tesoro’ assegnato alla magistratura milanese in nome di Expo. Con l’ironia della scritta ‘udienza facile’ che lampeggia senza requie, chissà con quale dispendio di energia elettrica. E non sapremo mai di chi ne è la colpa perché nessuna indagine è mai stata aperta. Forse perché chi decideva cosa farne di quei soldi erano proprio dei magistrati. (manuela d’alessandro)

No agli animali nel Palazzo, caccia al geco del Procuratore

Divieto di ingresso agli animali in Tribunale: ma alcune specie continueranno a frequentare inevitabilmente gli austeri corridoi. Piccioni, rondini, topi, pidocchi, il piccolo zoo metropolitano che da sempre vegeta a palazzo di giustizia. A questa fauna nei giorni scorsi si è aggiunto, anche se per poche ore, un geco. Il piccolo rettile è stato introdotto del tutto involontariamente a Palazzo nientemeno che dal procuratore capo Edmondo Bruti Liberati, che – avvicinandosi il momento dell’addio all’ufficio, fissato per il 16 novembre – ha ordinato di tasca sua tre grandi piante da lasciare nel corrodio davanti alla sua stanza. Ma insieme alle piante dal vivaio è arrivato il minuscolo geco, che è balzato fuori dal vaso e ha iniziato ad aggirarsi sui marmi piacentiniani. E’ partita la caccia al geco, con l’obiettivo di portare in salvo l’animale. La caccia capitanata dal Procuratore ha avuto momenti quasi comici, ma alla fine il geco è stato catturato e chiuso in una bottiglia. Poche ore dopo pare sia stato liberato nel giardino di casa Bruti, confidando che l’inverno milanese non sia troppo inclemente. (orsola golgi)

Lasciateli a casa, da oggi è “vietato l’ingresso degli animali nel Palazzo”

Chissà se a loro piaceva girovagare per la ‘savana’ di cemento del Tribunale, annusare i fascioli polverosi, incrociare strani uomini in toga. Da oggi, è “vietato agli animali l’accesso ai Palazzi di Giustizia del Distretto di Milano”. Il provvedimento è firmato dalll’avvocato generale Laura Bertolé Viale e timbrato da Edmondo Bruti Liberati il quale, non molto tempo fa, si aggirava per la Procura in compagnia della moglie e di un simpatico barboncino color panna. Nell’”importante direttiva” di cui si invita “la più scrupolosa osservanza”, si fa cenno a “recenti spiacevoli accadimenti verificatisi nel tentativo di accesso al Palazzo di Giustizia con animali da compagnia al seguito”. “Fatti salvi i cani guida per non vedenti e da accompagnamento per persone disabili”, per tutti gli altri, come indicato da diversi cartelli appesi ai varchi, il Palazzo diventa proibito. Tutto “al fine di poter garantire il regolare e sereno svolgimento dell’attività d’ufficio”. Se è anche colpa nostra (non-dite-piu-che-ad-agosto-non-ce-un-cane-nel-palazzo-di-giustizia) perché segnalammo la presenza di un dolce cagnetto ad agosto, chiediamo scusa agli amici degli animali. (manuela d’alessandro)