giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Strage di Stato, bomba fascista depistaggio “antifascista”

“Strage di stato” il titolo del libro che diede il via a una formidabile campagna di controiformazione sull’attentato di piazza Fontana conteneva un giudizio prettamente politico che ha trovato ampio riscontro nella realtà al di là di quello che sostengono statolatri in servizio permanente effettivo sia di vecchia data sia di più recente investitura da parte dei media.

Ovvio non ci sono prove formali per affermare che uomini dello Stato ordinarono il collocamento della bomba alla sede della Banca nazionale dell’Agricoltura. Furono i fascisti ad agire anche se Freda e Ventura essendo stati già assolti in precedenza non fu possibile processarli ancora per lo stesso fatto e con la stessa imputazione.

Ma iniziò da subito con la manovra repressiva contro gli anarchici un depistaggio di Stato che dura tuttora e di cui sono responsabili apparati investigativi, di intelligence e forze politiche legate a quello che da sempre viene solennemente e pomposamente definito “lo Stato democratico nato dalla Resistenza antifascista”.

Per esempio non è stata valutata fino in fondo la presenza in questura a Milano di dirigenti dei servizi segreti arrivati immediatamente da Roma a coordinare le indagini di cui parlano diffusamente l’avvocato Gabriele Fuga e Enrico Malatini nel libro dal titolo “La finestra e’ ancora aperta” dedicato alla morte dell’anarchico Pino Pinelli.

Quando furono desecretate molte carte negli anni 90 ed emersero quelle presenze dei servizi fino ad allora sconosciute la magistratura non fece il diavolo a quattro per approfondire. Lo Stato  non può processare se stesso e si trattava, si tratta del famoso “stato democratico”, anche se a seconda guerra mondiale finita non aveva subito la necessaria defascistizzazione perché gli uomini del ventennio furono utili alla guerra contro i comunisti.

E ancora. Dal momento che era in corso negli anni 70 uno scontro sociale durissimo sfociato in guerra civile a bassa intensità (ma neanche troppo bassa in verità) ai partiti al governo e all’opposizione tutti insieme affratellati diciamo che non sembrò il caso di andare a vedere che cosa era veramente accaduto a piazza Fontana e dintorni.

E fu in quel clima in quel contesto politico che si mise la pietra tombale sul caso di Pino Pinelli. Da un lato non potevano più dire che era stato suicidio ma dall’altro non potevano “infangare” le cosiddette forze dell’ordine di uno stato democratico di aver defenestrato un fermato dopo averlo trattenuto per un tempo superiore ai termini fissati dalla legge.

E così saltò fuori ”il malore attivo” per salvare capra e cavoli firmato da un giudice legato al Pci, Gerardo D’Ambrosio. Si era da due anni in pieno compromesso storico proposto da Berlinguer dopo il golpe cileno. E da lì partirono a livello mediatico una serie di panzane con il commissario Calabresi e Pinelli messi sullo stesso piano, “due brave persone”. Calabresi era il più alto in grado al momento dei fatti, la stanza era la sua. Come minimo sapeva che cosa era accaduto al di là della sua presenza fisica o meno nei metri quadrati dell’interrogatorio. Si guardò bene il poliziotto che alcuni vorrebbero addirittura santo dal raccontare degli 007  venuti dalla capitale. Insomma “il santo” agiva da copertura.

51 anni dopo rispunta il generale Maletti riparato in Sudafrica a dire di aver saputo che Pinelli veniva interrogato sul davanzale della finestra. Uno dei cinque sbirri dell’interrogatorio Vito Panessa intervistato dice: “Pinelli se l’era cercata”.

La bomba fascista fu l’inizio di questa storia senza fine, il resto lo dobbiamo ai disastri dell’antifascismo, al di là dei comunicati di quel carrozzone burocratico e  inutile denominato Anpi e dell’operazione mediatica di una ragazzetta assurta a storica perché porta (e porta male) il cognome del padre che si ingegna a dire che no non fu una strage di Stato. Lo Stato in quanto tale non può che essere innocente, la religione di lor signori (frank cimini)

Pinelli, un video, il ricordo di una storia di 44 anni fa…attuale

La sala del Grechetto a pochi metri dal ‘Palazzo dell’ingiustizia’ è piena, persone anche in piedi, a 44 anni dalla notte in cui Pino Pinelli fu ucciso in Questura, c’è la proiezione del video di Alberto Roveri dove parlano la vedova Licia, le figlie Claudia e Silvia. Sala piena, ma la maggior parte dei presenti allora c’era già, giovani pochissimi. Trasmettere la memoria non è facile.

Licia, una bella sciarpa rossa al collo, voce squillante, ricorda di aver visto il marito vivo l’ultima volta partito da casa per ritirare la tredicesima e poi di averlo reincontrato sul marmo dell’obitorio. Nel frattempo aveva chiamato in Questura lamentando di non essere stata avvisata della morte di Pino e il commissario Calabresi le aveva risposto: “Signora qui abbiamo da fare”.

In sala il giornalista Piero Scaramucci racconta che Calabresi indagò su Pinelli post-mortem per cercare di trovare almeno un elemento che lo collegasse a qualche bombarolo. “Gli stessi responsabili dell’omicidio di Pino poi iniziarono a parlarne bene un brav’uomo, ma era tutto funzionale a costruire anche il santino di Calabresi” aggiunge Scaramucci.

Capelli e barbe bianche sul filo dei ricordi. Per riaffermare che Pinelli non ha avuto giustizia, anche se è diventato un santino. Al pari del ‘commissario-finestra’. Lui era il più alto in grado, la stanza dalla quale Pino Pinelli “cadde” era la sua. Ci furono depistaggi e imbrogli, la verità fu nascosta accuratamente per responsabilità degli inquirenti e della politica a cominciare da quello che allora era il più grande partito di opposizione. Gli atti giudiziari di piazza Fontana e dintorni dicono che Pinelli fermato e trattenuto illegalmente per 3 giorni morì di “malore attivo”. Una storia di 44 anni fa… attuale…

Cucchi, Aldrovandi e tanti altri, vittime delle “forze dell’ordine”, sacrificati sull’altare della “sicurezza” che secondo gli utili idioti non sarebbe nè di destra nè di sinistra (frank cimini)