giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

La strana retromarcia dei giudici di Olindo e Rosa sulle “nuove prove”

“Abbiamo convocato le parti in udienza interlocutoria perché sicuramente un incidente probatorio lo faremo”. Così garantiva il presidente della prima sezione della Corte d’Appello di Brescia Enrico Fischetti, all’udienza a porte chiuse del 21 novembre scorso (Giustiziami ha potuto leggere le trascrizioni), a proposito della richiesta della difesa di Olindo Romano e Rosa Bazzi di analizzare nuovi reperti per aprire la strada alla revisione del processo sulla strage di Erba.

Oggi invece gli stessi giudici dichiarano “inammissibile” l’istanza degli avvocati della coppia che sta scontando la condanna definitiva all’ergastolo, spiegando che l’analisi dei reperti, tra cui il capello della piccola vittima Youssef Marozuk, non è in astratto in grado di ribaltare la condanna all’ergastolo della coppia.

“I giudici contraddicono loro stessi e anche la Cassazione”,  commenta il legale di Olindo e Rosa, l’avvocato Fabbio Schembri, ricordando come fu proprio la Suprema Corte nell’aprile del 2017 a rimandare gli atti ai giudici bresciani dopo una prima bocciatura di un’analoga richiesta di nuovi accertamenti su guanti, cellulari, mozziconi, tende, cuscini, giacconi.

Com’è stata possibile una retromarcia così netta?

Eppure, sempre all’udienza del 21 novembre, il presidente Fischetti precisava di avere convocato quell’udienza anche per parlare “di cosa il perito deve fare, dove deve andare, e che tipo di indagini deve fare, perché, voi sapete, le indagini sul Dna hanno una possibilità diversa a seconda del tipo di indagine che si deve svolgere, e poi andiamo sullo specifico”. Addirittura si sbilanciava: “C’è la possibilità di nominare, e questo lo dico apertamente, il colonnello Lago, che non era all’epoca Comandante del Ris e che svolgerebbe l’attività con capacità professionale. Faremo un’ordinanza di ammissione, vi daremo una data, la data di conferimento dell’incarico sarà, credo, a metà gennaio”. Anche il procuratore generale era sulla stessa linea: “Mi pare che dopo la sentenza della Cassazione sul fatto che si debba svolgere l’incidente probatorio non vi possa essere dubbio”.

Invece – nel cangiante e misterioso mondo del diritto – ora i giudici si sono accorti di avere il dovere di valutare se queste nuove analisi potrebbero incidere sulle sicurezze quasi granitiche di una sentenza definitiva di condanna. Schembri, che riporoporrà un nuovo ricorso in Cassazione,  è molto perplesso: “Nel provvedimento i giudici sostengono che le nostre richieste di analisi erano generiche e ‘in quanto meramente esplorative inidonee a superare il vaglio’ previsto dalla legge. Ma come possiamo sapere che esiti avremmo da quelle analisi se prima non le facciamo?”. Che poi la legge (articolo 631 del codice penale) era quella pure il 21 novembre. (manuela d’alessandro)

Lui condannato gli altri assolti, revisione del processo per Daccò

Pierangelo Daccò l’abbiamo visto molte volte in questi anni nelle aule milanesi. Sempre più sottile e sofferente. Ha trascorso 4 anni di carcerazione preventiva, davvero un eccesso, al di là della sua colpevolezza o innocenza, per uno strumento che non dovrebbe costituire una condanna anticipata.

Quando il 3 ottobre del 2012 il gup Maria Cristina Mannocci gli inflisse per il crac del San Raffaele 10 anni col rito abbreviato (sarebbero stati 15 in ordinario) era incredulo non solo il suo avvocato ma anche il pm che aveva chiesto 5 anni e mezzo, in pratica la metà.  In appello gli venne tolto un anno e si arrivò alla sentenza definitiva a 9 anni di carcere.

Nel frattempo, è successo che alcuni imprenditori coimputati di Daccò che avevano scelto il rito ordinario siano stati assolti per dei reati che, secondo l’accusa, avevano commesso in concorso con l’uomo d’affari amico di Roberto Formigoni e suo compagno delle gite in barca (per la vicenda Maugeri è stato condannato in primo grado a 9 anni e due mesi).

Ora la Cassazione accoglie l’istanza di revisione  presentata dai legali Gabriele Vitiello e Massimo Krogh e già respinta nel settembre del 2016 dalla Corte d’Appello di Brescia. “E’ apodittica e alquanto priva di significato –  ragionano gli ‘ermellini’ –  l’affermazione dei giudici bresciani per i quali la vera ragione della diversità dell’esito dei due processi stava nella diversità del rito col quale erano stati detenuti”. Insomma, qualcosa non torna e la condanna a Daccò è stata quantomeno esagerata, se tanto o poco lo stabiliranno i giudici della Corte d’Appello di Venezia ai quali spetta il nuovo giudizio.

Secondo la Procura di Milano, a partire dal 2005, dalle casse del San Raffaele, fondato da don Luigi Verze’, sarebbero stati distratti circa 47 milioni, cinque dei quali arrivati direttamente a  Daccò, accusato, oltre che di concorso in bancarotta, anche di associazione per  delinquere finalizzata alla distrazione di fondi, all’appropriazione indebita e alla frode fiscale. Col rito  ordinario erano stati  assolti Giovanni Luca Zammarchi, Fernando Lora e Carlo Freschi in relazione a presunte sovrafatturazioni a un paio di  società.

“Siamo fiduciosi che venga scritta una pagina positiva per la giustizia italiana in una vicenda che ha tante ombre – commenta l’avvocato Vitiello – Daccò ora è domiciliari dal gennaio del 2017 dopo essere entrato in carcere, da incensurato, il 14 febbraio del 2011″. (manuela d’alessandro)

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