giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Colpo ai blog, la Cassazione rivoluziona l’informazione online ma solo per le testate giornalistiche

 

Le sezioni unite penali della Cassazione hanno stabilito  qualche giorno fa che le garanzie previste dalla Costituzione a tutela della stampa si applichino anche all’informazione attuata in modo professionale e diffusa in rete.

Una simile pronuncia è rivoluzionaria sia per il tenore della decisione, sia per alcuni passaggi della motivazione. Ma mentre l’esito ci pare condivisibile, sul ragionamento che ha condotto a tale risultato nutriamo più di una perplessità. La Corte prende le mosse da un’esigenza comunemente sentita. La diversità di disciplina tra la carta stampata e online può urtare contro un certo qual senso di uguaglianza sostanziale che indurrebbe, viceversa, ad applicare ai due fenomeni, obiettivamente molto simili, medesime regole.

Per giungere a questo risultato, però, le sezioni unite forniscono quella che ritengono essere un’interpretazione evolutiva del concetto di stampa, contenuto nell’articolo 21 della costituzione e nella stessa legge sulla stampa del 1948 , a cui non si riesce ad aderire. Secondo la Corte, tale nozione va intesa in senso ‘figurato’ e in quest’ottica corrisponderebbe esclusivamente alla stampa periodica, ovvero all’informazione giornalistica professionale, qualunque sia il mezzo con cui viene diffusa.

Una simile presa di posizione, quasi del tutto inedita nel panorama dell’ordinamento, travolge l’interpretazione tradizionale, che riconduceva alla stampa, seguendo la lettera della definizione normativa, solo le riproduzioni effettuate con mezzi meccanici e fisico chimici destinate alla pubblicazione, senza distinzione di contenuto. A tale definizione appartenevano certamente i giornali, ma anche i volantini, i libri, i manifesti,qualunque fosse l’argomento in essi trattato, mentre ne era escluso qualunque messaggio diffuso in via telematica poiché era assente, se non altro, la moltiplicazione delle copie.

L’indirizzo scelto dalla recente sentenza, discutibile di per sé, suggerisce ancora maggiore scetticismo se si considerano i corollari che la Corte esplicitamente ne trae. Sono conseguenze che vanno ben al di là della questione di diritto sottoposta dalla sezione remittente. In sintesi si tratta di questo: tutte le disposizioni previste dall’ordinamento per la stampa, e in particolare per quella periodica, trovano già oggi applicazione alle manifestazioni del pensiero diffuse in rete, a patto che queste ultime abbiano appunto natura giornalistica. Così il collegio sottolinea nella motivazione come sussista fin d’ora un obbligo di registrazione per le testate  telematiche presso la cancelleria del Tribunale, con la relativa commissione del reato di stampa clandestina per chi non adempie a tale obbligo. Ancora: i giornali online dovrebbero dotarsi di un direttore , a cui sarebbe praticabile l’articolo 57 del codice penale, con la relativa responsabilità colposa per omesso controllo  nel caso di reato commesso dal periodico da lui diretto . La giurisprudenza delle sezioni semplici, finora, aveva escluso simili ipotesi poiché, come acennato, la definizione di stampa non comprendeva la rete, circostanza che escludeva l’applicabilità a quest’ultima delle disposizioni incriminatrici previste per la stampa, in base al divieto di analogia in malam partem.

Non nascondiamo un certo scoramento dopo la lettura delle motivazioni e ci permettiamo di sperare che di questo arresto, proveniente da un organo così autorevole, resti nei repertori il dispositivo più che l’apparato di argomento che lo sostiene. (Carlo Melzi d’Eril e Giulio Enea Vigevani da ‘Il sole 24 ore’ del 22 luglio 2015)

La sentenza della Cassazione

Sea, Pg Cassazione indaga Bruti, “violata la legge”

Rischia di andarsene in pensione con un graffietto il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati il prossimo 16 novembre. Il Pg della Cassazione Pasquale Ciccolo ha fatto notificare al capo dei pm del capoluogo lombardo il capo di incolpazione, imputazione per un procedimento disciplinare, in relazione all’ormai nota vicenda del fascicolo di indagine sulla Sea, “dimenticato” per sei mesi in un cassetto prima di essere assegnato a chi di competenza, l’allora aggiunto Alfredo Robledo, nel frattempo trasferito a Torino dopo il contenzioso con Bruti.

Il Pg Ciccolo addebita a Bruti di aver “violato la legge”, scrive di “negligenza inescusabile” in riferimento ai ritardi dell’inchiesta, “nonostante l’imminenza della gara” per l’acquisizione della società che gestisce gli aeroporti milanesi.

Dall’ottobre del 2011, quando arrivò da Firenze l’intercettazione tra Vito Gamberale e un altro manager dove si parlava di “gara su misura” sono ormai passati quasi 4 anni. Quel fascicolo fu correttamente assegnato solo a marzo del 2012 quando ormai era impossibile svolgere indagini perchè i diretti interessati avevano saputo dai giornali delle vicende dell’inchiesta. Il Pg della Cassazione si muove adesso che i giochi non solo sembrano ma sono quasi fatti. Del resto di recente erano stati i pm di Brescia a “rimproverare” Bruti per aver operato valutazioni politiche pur assolvendolo dall’accusa di abuso d’ufficio.

Quella del fascicolo Sea è una brutta storia per l’immagine dell’intera magistratura italiana. Adesso c’è nero su bianco che dei vincitori di concorso, pubblici funzionari, sono più che compromessi con la politica. Non ci sarà nemmeno il tempo per fare il procedimento disciplinare a carico di Bruti, causa pensionamento del procuratore capo. Bruti vince la battaglia con Robledo perché è un suo superiore gerarchico, ma i suoi comportamenti resteranno sub judice fino all’ultimo secondo della permanenza al quarto piano. Sicuramente non ci sarà il tempo di sanzionarlo. L’intera categoria togata avrebbe però di che riflettere. Il condizionale è d’obbligo, considerando come viene amministrata la giustizia nell’ex patria del diritto. (frank cimini

Il nuovo Palazzo della giustizia milanese: non prende il telefono e le luci sono sempre accese

 

 

Entri nell’ufficio di un giudice e lo trovi che sventola il telefonino alla finestra. “Che succede?”. “Succede che il telefonino qui non prende, o prende quando ne ha voglia. Per cercare la rete provo a metterlo fuori”. Via San Barnaba, benvenuti nella nuova casa della giustizia milanese. Dodicimila metri quadri su quattro piani, realizzata a spese e su progetto del Comune: qui sono sbarcate per intero da qualche giorno le sezioni della giustizia civile che si occupano di famiglia e lavoro, sia per il tribunale che per la corte d’appello. Tutto bello, tutto lucido, con un’aria vagamente da aeroporto elegante (non una Malpensa, eh).

Eppure, girando negli uffici dei magistrati, si vedono mugugni che mal si addicono a chi ha messo da poco piede in una casa nuova di zecca.

“Non sente che freddo? Ho la punta del naso gelata che manco in un rifugio…Sto venendo in ufficio con la sciarpa di lana”, si lamenta un altro magistrato. Il fatto è che l’aria condizionata , dio solo sa quanto benedetta in questi giorni demoniaci, qui è a temperature polari e, soprattutto, non si può spegnere. Vi piaccia o meno, quello è il clima che vi dovete sorbire.

Poi c’è la questione delle luci. Sempre accese, dalla mattina alla sera, non c’è un interruttore per spegnerle. Solo a sera cala il buio. Che, in giornate estive, non è proprio il massimo, né a livello estetico né energetico.

Siamo nel corridoio, guardiamo il cellulare. Prende a singhiozzo, per lunghi tratti non è possibile telefonare, mandare messaggi, usare internet. Com’è stato possibile non accorgersene prima di aprire gli uffici? I lavori sono cominciati nel 2009 e si sono conclusi con qualche anno di ritardo (la fine era prevista nel 2011).

“La verità è che non è stato neanche fatto un collaudo prima di farci entrare”, protesta un  giudice che si accorda con una collega per spedire quanto prima una lettera di protesta a chi ha trascurato questi letali dettagli.  (manuela d’alessandro)

Nella foto la sala server del nuovo edificio cui parlammo  qui

Hacking Team diventa un caso nel senato Usa e l’Fbi la scarica

L’attacco informatico ad Hacking Team (HT) con la rivelazione su wikileaks degli affari tra la società milanese e regimi totalitari come il Sudan diventa un caso nel parlamento americano.

Il senatore repubblicano dello Iowa, Charles E. Grassley, presidente della commissione giustizia, ha presentato un’interrogazione nella quale chiede conto dei rapporti tra Fbi e Dea con l’azienda italiana, in particolare vuole sapere se le relazioni tra le due agenzie governative e HT siano avvenute in violazione della legge che proibisce di stringere affari di qualsiasi natura con il regime totalitario africano (Sudan Accountability and Divestment Act del 2007).

Dall’interrogazione  (qui il testo) rivolta al direttore dell’Fbi, al segretario generale della Difesa e al capo della Dea, scopriamo anche che le due roccaforti  della sicurezza hanno ‘scaricato’ Hacking Team in anticipo sulla data di scadenza dei rispettivi contratti, ma, insinua Grassley, troppo tardi, quando già la collaborazione sarebbe stata proibita.

“Le forze militari – fissa il principio – devono avere gli strumenti tecnologici per investigare su criminali e terroristi per la sicurezza pubblica, ma è importante che li acquistino da fonti responsabili, etiche e che agiscano secondo la legge”.  Per il senatore i documenti resi pubblici dalla tremenda incursione negli archivi di HT svelano che nel giugno 2014 le Nazioni Unite avevano sollecitato chiarimenti alla società sui rapporti col Sudan, ricevendone una risposta solo a gennaio 2015 quando  HT si limitò a negare di avere relazioni in quel momento col Sudan, senza fare cenno al passato.

“Fbi, Dea e DoD (Department of Defense) – insiste l’anziano senatore dello Iowa –  avevano fatto mettere nel contratto con HT una clausola che certificasse che non aveva condotto operazioni in Sudan? E se no, perché? HT aveva garantito falsamente che non aveva rapporti col Sudan  e per questo, dopo averlo scoperto, Dea ha interrotto il contratto?”.

Questo accade nel Campidoglio americano, mentre da noi Regione Lombardia continua a detenere senza battere ciglio il 26,03 per cento del capitale sociale di HT. Dalla Corea del Sud, intanto, arriva la notizia, battuta da Associated Press e ripresa dal New York Times (Spia corea), che dietro l’apparente suicidio di uno 007 di Seul ci sarebbe l’ombra della vicenda Hacking Team.  (manuela d’alessandro)

hacking-team-riguarda-tutti-noi-la-nostra-liberta-la-nostra-costituzione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E’ morto l’ex procuratore Manlio Minale, per lui “il diritto e i fatti sopra ogni cosa”

E’ morto stamattina Manlio Minale, ex procuratore generale ed ex procuratore della Repubblica di Milano. Avrebbe compiuto 75 anni ad agosto quando sarebbe dovuto andare in pensione. A maggio aveva anticipato l’addio alla magistratura con una lettera ai colleghi in cui spiegava di dover lasciare l’adorata toga un po’ prima del tempo per motivi di salute.

Nato a Tripoli, in Libia, nel 1940, era entrato in magistratura nel 1965. Nel 1980 l’arrivo a Milano dove aveva presieduto la corte d’assise che condannò Adriano Sofri per l’omicidio Calabresi. Sempre a Milano è stato coordinatore del pool Antimafia e poi presidente del Tribunale di Sorveglianza. Nel 2003 aveva preso il posto di Gerardo D’Ambrosio alla guida  della procura, incarico ricoperto sino al 2010 quando è diventato procuratore generale.

Lo ricordiamo col suo ultimo discorso pronunciato il 25 gennaio 2014, in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario.

Minale contro i giudici che non ricostruiscono i fatti