giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Loggia Ungheria, procure in mezzo al guado

L’ormai famosa loggia Ungheria è esistita, esiste o si tratta di una bufala messa a verbale dall’avvocato Piero Amara? Non lo sappiano e c’è il rischio di non saperlo mai. Le procure di Milano, Perugia e Vattelapesca dovrebbero accertarlo. Il condizionale è d’obbligo perché a quanto pare nulla è stato fatto sia prima sia dopo l’emergere del caso.
Diciamo che le procure potrebbero (eufemismo) essere imbarazzate. Nel caso dovessero indagare finirebbero inevitabilmente per lanciare il messaggio di sospettare di altre toghe. Dal momento che Piero Amara ha affermato che ne facevano parte anche magistrati e giudici insieme a politici imprenditori avvocati e uomini di affari. Anche per intrallazzare sulle nomine del Csm.
Nel caso invece non dovessero indagare finirebbero per buttare a mare con un gioco di parole Amara che per molti versi ci si è buttato da solo. Ma, dettaglio importantissimo, l’avvocato siciliano viene ancora valorizzato al massino come testimone della corona dalla procura di Milano nel ricorso in appello contro la sentenza che ha assolto i vertici dell’Eni dall’accusa di concorso in corruzione in atti giudiziari nel tentativo in verità non facile di ribaltare il verdetto al processo di secondo grado. Delle due l’una. Non esiste una terza via, a meno che non dovesse trattarsi di non fare niente.
A non fare niente intanto anche sul punto è il Csm che pare non toccato dalla vicenda. A cominciare dal suo presidente Sergio Mattarella che è anche il capo dello Stato e di questi tempi parla di tutto persino dell’istituto di previdenza dei giornalisti ma non della bufera che ha investito la categoria nel suo complesso.
A tacere poi è la politica tutta. Storicamente quando la politica è in difficoltà, basta ricordare il mitico 1992, viene azzannata dalla magistratura che in questo modo aumenta il proprio potere.
Quando la magistratura è in difficoltà la politica sembra avere paura. È riuscita a tacere in sostanza anche sul caso del senatore Caridi assolto dopo 5 anni compresi 18 mesi di carcere dove lo mandò il Parlamento accogliendo la richiesta di arresto dei giudici.
Tornando a botta. Cosa farà per esempio sulla famosa loggia Ungheria la procura di Milano in pratica delegittimata dal Csm che ha deciso di non trasferire il pm Pm Paolo Storari il quale aveva rotto con il capo Francesco Greco proprio su quelle indagini mancate? Cosa può coordinare Greco a pochi mesi dalla pensione e indagato a Brescia giusto per lo scontro con Storari?
E nel caso in cui Greco anticipasse la pensione chi lo dovesse sostituire come facente funzione in attesa della nomina del successore riprenderebbe subito in mano la patata bollente? E a Perugia sono tutti presi solo dal caso Palamara senza avere tempo per altro? Non resta che aspettare magari nella consapevolezza di non doversi aspettare niente se non che il tempo scorra.
(frank cimini)

Csm: Storari resta a Milano. Greco sempre più in bilico

La decisione del Csm di rigettare la richiesta del Pg della Cassazione Giovanni Salvi di trasferire da Milano il pm Paolo Storari impedendogli di esercitare le stesse funzioni anche altrove taglia la testa al toro e contiene un chiaro messaggio per il procuratore Francesco Greco.
Greco alla luce della scelta del Csm, chiara e netta, appare sempre più in bilico. Il procuratore dovrebbe coordinare fino al 14 novembre data della pensione, un ufficio inquirente dove ben 60 pm su 64 avevano espresso solidarietà a Storari smentendo Greco.
Il procuratore aveva sostenuto che Storari consegnando i verbali di Piero Anara a Davigo avrebbe “gettato discredito sull’intero ufficio”.
Si tratta della stessa linea scelta dal Pg Salvi il grande sconfitto di questa vicenda in cui è l’intera magistratura a fare una magra figura (eufemismo).
Salvi evidentemente pensava di risolverla trattando Storari come Luca Palamara. Trasferendo Storari e impedendogli di continuare a fare il pm secondo il Pg della Cassazione avrebbe risolto tutto.
E invece il no secco del Csm ha aggravato la situazione. Diciamolo chiaramente: anche il documento dei 69 pm solidali con Storari non è stato formalmente depositato al CSM ha finito per pesare in modo decisivo.
Adesso sarà il procuratore Francesco Greco a decidere cosa fare. Nel caso il procuratore andasse in pensione in anticipo accelererebbe l’iter per la nomina del suo successore dove i favoriti sono il Pg di Firenze Marcello Viola e il capo dei pm di Bologna Jimmy Amato.
Non sembra avere molte chance il procuratore aggiunto di Milano Maurizio Romanelli unica candidatura interna all’ufficio. Questa volta i pronostici sono tutti per un “papà straniero”, un magistrato fuori dai giochi e dai giri della procura meneghina.
(frank cimini)

Archivio Persichetti sequestrato per censurare libro su Br

Il sequestro dell’archivio di Paolo Persichetti chiesto dalla procura di Roma firmato dal gip e confermato dal Riesame già denunciato da diversi addetti ai lavori come un attacco alla ricerca storica indipendente suona anche come una sorta di censura preventiva di fatto sull’uscita del secondo volume relativo alla storia delle Brigate Rosse.
Il titolo del primo volume a firma di Paolo Persichetti, Elisa Santalena e Marco Clementi aveva per titolo: “Dalla fabbriche alla campagna di primavera”. E si occupava soprattutto del caso Moro. Il secondo volume dovrebbe essere incentrato soprattutto sulla descrizione delle fabbriche all’epoca dei fatti per raccontare che le Br erano nate nel cuore della classe operaia, che furono il secondo partito dentro i grandi agglomerati industriali sempre per confutare la tesi dietrologica e complottista dei servizi segreti di mezzo mondo come complici.
Siccome l’archivio di Persichetti resta una delle fonti principali del libro i tempi di uscita del secondo volume dipendono da quelli dell’incidente probatorio chiesto dall’avvocato Francesco Romeo e dal ricorso in Cassazione. Si tratterà di aspettare comunque alcuni mesi sempre che si riesca a sbloccare la situazione.
Il Riesame nel rigettare l’istanza di dissequestro conferma modificandola l’ipotesi accusatoria secondo la quale Persichetti sarebbe entrato in possesso di documenti riservati elaborati dalla commissione parlamentare di inchiesta sul caso Moro (articolo 262 del codice penale)e) poi li avrebbe diffusi inviando la copia di una notizia bozza a Alvaro Lojacono condannato per i fatti di via Fani dopo un processo in Svizzera paese di cui è cittadino non estradatile. Lojacono poi faceva avere la bozza a Alessio Casimirri altro condannato per l’affare Moro rifugiato in Nicaragua.
Il riferimento all’articolo 262 rappresenta il terzo cambio di imputazione perché indagine era partita con la rivelazione di segreto d’ufficio per poi virare sull’articolo 378 ipotizzando il favoreggiamento di latitanti ora sparito. Il Riesame inoltre spiega che manca l’indicazione delle condotte sulla contestazione dell’associazione sovversiva di cui peraltro Persichetti sarebbe unico componente. Insomma stanno cercando il reato, nuovo passatempo tra pm e giudici romani.
L’unico teste d’accusa contro Persichetti è Giuseppe Fioroni ex presidente della commissione parlamentare sul caso Moro il quale a verbale ha dichiarato che le bozze prima di confluire nella relazione finale erano e sono da considerare riservate e ne potevano avere copia solo i parlamentari commissari. Persichetti aveva ricevuto la bozza dall’onorevole Fabio Lavagno non chiamato in causa dall’inchiesta. C’è da rallegrarsi per Lavagno da un lato ma dall’altro c’è da dedurne che quello relativo alla bozza risulta probabilmente solo come un escamotage per colpire Persichetti e bloccarne il lavoro di ricerca, libro compreso.
Il Riesame afferma la legittimità del sequestro dell’archivio perché la commissione aveva ritenuto “altamente probabile il coinvolgimento nell’azione di via Fani di altri appartenenti alle Brigate Rosse”. E di conseguenza sul fatto si può indagare all’infinito e non conta niente che sei dibattimenti e tonnellate di atti processuali abbiano escluso con forza e chiarezza altre responsabilità.
Attraverso Fioroni la commissione non ricostituita in questa legislatura continua a far sentire il suo peso nonostante l’assenza totale di riscontri ai sospetti coltivati per decenni. Il pm del sequestro dell’archivio è Eugenio Albamonte lo stesso che aveva chiesto e ottenuto di prendere il DNA dei condannati e di altri soggetti a 43 anni dai fatti. Albamonte di recente è stato citato dall’ex magistrato Luca Palamara come partecipante a intrallazzi per le nomine del Csm. Sempre Palamara dice che il pg della Cassazione Giovanni Salvi offri’ una lussuosa cena in suo onore al fine di averne l’appoggio per l’alto incarico. Va ricordato che era stato Salvi da pg di Roma a riattivare il festival dietrologico su Moro che adesso viene portato avanti dalla procura di Prestipino. Non è che Palamara, capace secondo quelli che l’hanno radiato di fare da solo i giochetti per nominare 86 magistrati in ruoli apicali, stava pure nelle Br? Insomma, dietrologia per dietrologia….
(frank cimini)

Greco la rivoluzione, Mani pulite e i guai di fine corsa

Si nasce incendiari e si muore pompieri. Non vale certo per tutti ma per molti decisamente si. Vale per il procuratore capo di Milano Francesco Greco che da giovane pm fece parte di una sparuta ma combattiva pattuglia di magistrati che tra Roma e Milano come “sinistra di Md” si oppose strenuamente all’emergenza antiterrorismo, alle leggi speciali. Greco scriveva su “Woobly collegamenti” un foglio dell’area dell’Autonomia e insieme a chi verga queste povere righe, a Gianmaria Volonte’, al libraio Primo Moroni, a magistrati e avvocati prese parte a un collettivo, “il gruppo del mercoledì” impegnato a perorare la causa dell’amnistia per i detenuti politici.
Insomma ne è passata di acqua sotto i ponti per arrivare ai giorni nostri, gli ultimi della carriera di Francesco Greco che il 14 novembre andrà in pensione dopo aver fatto cose molto diverse, eufemismo, dal contenuto delle sue idee giovanili.
Greco fu la cosiddetta “mente finanziaria” del pool Mani pulite, una nuova emergenza dove recitò fino in fondo il ruolo di chi stava dalla parte di una categoria che approfittando del credito acquisito anni prima saltava al collo della politica per dire “adesso comandiamo noi”.
Stiamo parlando di un magistrato che diede un enorme contributo ai mille pesi mille misure dell’inchiesta che avrebbe dovuto stando alle aspettative cambiare in meglio il paese. E invece tanto per fare un esempio Sergio Cusani che non aveva incarichi e nemmeno firme sui bilanci in Montedison prese il doppio delle pene riservate ai manager Sama e Garofano.
Greco è stato il delfino di Edmondo Bruti Liberati, storico esponente di Md corrente nata a metà degli anni ‘60 teorizzando l’orizzontalita’ negli uffici giudiziari ai danni della verticalità. Bruti con al fianco Greco e supportato dal capo dello Stato e presidente del Csm Giorgio Napolitano usò tutta la verticalità possibile nello scontro con l’aggiunto Alfredo Robledo esautorato e trasferito perché voleva fare le indagini su Expo.
E da quello scontro interno alla procura di Milano è derivata la linea generale del Csm che adesso lascia i capi delle procure liberi di scegliersi gli aggiunti senza interferire e rinunciando in pratica al suo ruolo.
Tanto è vero che Greco riusciva a far nominare tra i suoi vice Laura Pedio che aveva titoli di gran lunga inferiori a quelli di Annunziata Ciaravolo. Ciaravolo aveva preannunciato a Greco la propria candidatura e il capo della procura aveva dato l’ok. Poi, è storia nota, Greco chiedendo l’appoggio di Palamara riusciva a ottenere il grado per la sua protetta.
Adesso la rogatoria eseguita in Nigeria dall’aggiunto Pedio per il caso Eni è al centro di uno scontro furibondo con la procura di Brescia che chiede quelle carte nell’ambito dell’inchiesta sui pm milanesi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro. Greco ha risposto picche spiegando che gli atti fanno parte di una istruttoria in corso coperta da segreto. Il procuratore di Brescia Francesco Prete, in questa lotta a chi ce l’ha più duro, si è rivolto al Governo che dovrebbe chiedere lumi alla Nigeria. Lo stato africano avendo fornito assistenza alla procura di Milano non dovrebbe creare problemi per il passaggio delle carte anche a Brescia. Ma nella vicenda Eni che sta facendo vivere alla procura milanese e al suo capo i giorni più difficili della sua storia nulla è scontato.
(frank cimini)