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“Ciao, sono un certo Carenzo”. Da 45 anni, dalla sala stampa del Palazzo di Giustizia di Milano, le sue telefonate in redazione cominciano sempre così, con un filo di understatement. Poi, detta poche righe: anche quelle senza aggettivi, né iperboli, notizie clamorose e ‘brevi’ di cronaca, raccontate sempre allo stesso modo, come si insegnava una volta ai cronisti delle agenzie di stampa.
Oggi Annibale Carenzo, decano dei cronisti giudiziari milanesi, compie 80 anni. E li compie al suo posto, sempre in giacca e cravatta, alla piccola scrivania in fondo alla sala stampa che nessuno dei tanti colleghi più giovani osa insidiare, dietro alla macchina da scrivere che è il suo unico strumento di lavoro insieme al telefono. “Mi avevano convinto a usare il computer. Una volta ho mandato un pezzo e non è arrivato. Così ho preso il computer, l’ho infilato in un cassetto e non l’ho più toccato”.
Nei lanci di agenzia di Carenzo sono passati decenni di storia giudiziaria di Milano e del paese. Un punto di osservazione privilegiato per un professionista dell’informazione, ma anche nel raccontare la sua vita tra aule e processi Carenzo schiva qualunque enfasi.
Annibale, ti sei divertito in questi anni?
“No”.
Come no?
“Non mi sono mai divertito a venire qui e non mi diverto neanche adesso, ma preferisco stare qui che a casa a fare niente. Il divertimento è un’altra cosa. E’ quando vedo le partite del Toro o quando trovi una da portarti a letto”.
Come sei arrivato a Palazzo? Ti ricordi il tuo primo giorno?
“Sono arrivato nel 1969 con la strage di piazza Fontana dopo avere lavorato per parecchi anni con la ‘Provincia Pavese’ e un giornale, ‘Il Giornale di Pavia’, che avevo creato con una collega di Mantova. Quando ha chiuso perché il proprietario è stato dichiarato fallito anche se andava bene, mi hanno chiamato dall’Ansa chiedendomi se venivo a lavorare qui. Io ho ringraziato e sono venuto subito”.
In quegli anni hai anche avuto un’esperienza in politica…
“Sono stato uno dei sindaci più giovani d’Italia, a Copiano, in Liguria. Ero stato eletto nella Dc ma poi sono stato il primo sindaco a mettere in giunta un comunista. In quel periodo scrivevo anche canzoni, ero iscritto alla Siae come paroliere e alcune mie canzoni le ha cantate anche Mina”.
Com’era il Tribunale quando sei arrivato?
“Aveva solo 4 piani. La sala stampa era al piano terra”.
Erano gli anni del terrorismo, sei mai stato minacciato?
“No, non ho mai avuto paura, qui nel Palazzo mi sembrava di essere molto protetto, molto controllato”.
C’è qualche processo o personaggio che ricordi con particolare emozione?
“Sì. Io sono uno che non piange mai. Una delle poche volte che ho pianto è stato quando hanno ammazzato Alessandrini. Era uno assolutamente normale, una persona dolcissima. Con lui lavorava come uditrice la dottoressa Manfredda, che ora è alla Procura Generale”.
Il rapporto coi magistrati è cambiato in questi anni?
“Non direi. Io mi sono sempre trovato a mio agio sia con gli avvocati che con i magistrati, a parte qualcuno un po’ strano. Sì, Di Pietro era uno un po’ strano ma alla fine sono andato d’accordo anche con lui. Nessun problema anche coi colleghi, anche perché, lavorando per l’Ansa che per anni è stata l’unica agenzia di stampa presente qui, non avevo concorrenza”.
Tu hai un appuntamento fisso a pranzo…,
“Tutti i giorni un’amica che lavora qui da 18 anni cucina per me nel cortile del Palazzo”.
Come li vedi i colleghi più giovani?
“Bene, è una generazione di ragazzi preparati”.
Fino a quando verrai qui?
“Fin quando la salute mi assisterà”.
(manuela d’alessandro e orsola golgi)