giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Steccanella contro l’abuso di carcere preventivo

 

Che in Italia vi sia - e da anni - un numero inaccettabile di persone sbattute in galera prima di essere dichiarate colpevoli è un dato di fatto, e così pure che a questa deriva abbiano in larga parte contribuito i GIP nostrani con il continuo e indiscriminato ricorso a formule standard tipo “spregiudicato”, “protervia e pervicacia”, “incurante ai più elementari doveri”, “esigenze di eccezionale rilevanza”, utilizzate, senza distinzione alcuna, tanto per chi è accusato di strage quanto per chi avrebbe esibito una bolla d’accompagnamento tarocca.

Che sul punto pertanto occorresse intervenire in modo drastico e con urgenza era una priorità da cui non potevano sottrarsi tutti quelli che hanno ancora a cuore il diritto e in specie gli addetti ai lavori (anche se non solo).

Molto grave quindi, a mio modesto parere, che in occasione del recente referendum flop si sia così palesemente sbagliato tanto il metodo quanto, cosa ancor più grave, il merito.

In un momento storico particolarmente segnato da una diffusa orda manettara-etico-populista, dovuta a un disagio sociale che non trova altro sollievo se non quello di vedere il potente in gattabuia, se proprio si voleva ricorrere alla volontà popolare bisognava essere chiari e mirati al punto.

Il “problema” non era all’evidenza l’applicazione di misure cautelari tout court, ma appunto la galera indiscriminata a chiunque prima del processo, perché se si confondono le due cose facendole coincidere si precipita esattamente in quell’identica stortura culturale di chi ritiene che solo il rinchiudere un essere umano tra due sbarre d’acciaio possa tutelare la collettività da qualsivoglia rischio di recidiva.

E così si è strutturato un quesito assurdo mirato a colpire l’art. 274 anziché il successivo 275 che era proprio quello fino ad oggi palesemente applicato in modo distorto.

Con l’effetto che se mai fosse passato, cosa peraltro impensabile anche per un bambino di due anni, si sarebbe continuati a finire in gabbia per un ceffone in mezzo alla strada, mentre per l’accusato di avere rubato milioni di euro neppure l’obbligo di firmare una volta al mese presso la più vicina Questura.

Una follia di inaccettabile matrice classista, perché una giustizia che esclude per principio da ogni sanzione i reati dei ricchi tale deve essere definita, che oltretutto ha dato la facile stura ai manettari di professione per snocciolare in TV i tipici slogan di immediato effetto che tanto piacciono alla gente che piace, tipo “se passa il referendum da domani il ladro che ti svaligia la casa e il molestatore di donne indifese la faranno franca!”.

Puntando sulla guerra al lassismo invece che al cl-assismo, si è così determinata una altrettanto incoerente difesa del quesito da parte di alcune frange della sinistra antigiustizialista, insomma un vero disastro su tutta la linea.

Ma poiché non mi piace criticare a basta e visto che ho sostenuto che la modifica avrebbe dovuto riguardare l’art. 275 (e non già l’art. 274), ecco la mia proposta per novellare il numero 3 per chi avrà voglia di leggerla.

“Fuori dai casi di arresto in flagranza (ancorchè non convalidato per intervenuta decadenza dei termini indicati all’art. 390), la custodia cautelare in carcere (285) può essere disposta soltanto se il PM richiedente ha indicato specifici elementi intervenuti successivamente alla commissione del/i fatto/i per cui si procede attribuibili all’indagato (o a chi nello stesso procedimento è accusato di avere concorso con lui nella commissione dello/gli stesso/i), tali da rendere non eludibile con l’applicazione di diversa misura il concreto rischio di reiterazione (274, lett. c. Cpp).

In ogni caso non può essere disposta la custodia cautelare in carcere quando risultano trascorsi 3 mesi tra la richiesta del PM e il provvedimento del giudice senza che siano statisuccessivamente acquisiti nuovi elementi dai quali dedurre la perdurante attualità dell’esigenza cautelare a suo tempo indicata dal PM richiedente”.

Per il resto può rimanere così com’è, anche se per mio conto eliminerei anche l’obbligatorietà presuntiva per taluni reati, ma il meglio, come diceva qualcuno, è nemico del…bene.

(avvocato Davide Steccanella)

 

Su Sky documentario su tortura a difesa della democrazia

“Mi torturavano mentre firmavano trattati internazionali contro la tortura”. C’è voluto quasi mezzo secolo perché Enrico Triaca arrestato nell’ambito delle indagini sul caso Moro potesse andare in tv a raccontare dove e come fu torturato al fine di estorcergli informazioni. Sul canale 122 di Sky lunedì 13 giugno (possibile vederlo on demand) è andato in onda un documentario sul sequestro del generale americano James Lee Dozier e su altri fatti di lotta armata a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘80.
All’epoca Enrico Triaca per aver denunciato le torture venne condannato per calunnia. Soltanto pochi anni fa con la revisione del processo è stato assolto. I torturatori, in testa il funzionario di polizia Nicola Ciocia, “il professor De Tormentis” l’hanno fatta franca per utilizzare il linguaggio di un famoso magistrato perché ovviamente era intervenuta la prescrizione.
“Dalla questura dove c’era stato un interrogatorio molto blando mi portarono in una struttura che credo fosse una caserma, mi legarono a un tavolo e così iniziò il trattamento” sono le parole di Triaca che ricorda la tecnica solita in casi del genere del finto annegamento. Al “trattamento”, considerati gli scarsi “risultati” pose fine un superiore del professor De Tormentis che invece avrebbe voluto continuare.
Il documentario di Sky rende almeno in parte pan per focaccia a chi continua a raccontare la favola del “terrorismo sconfitto senza fare ricorso a leggi e pratiche eccezionali”. Una posizione ribadita in tempi recenti dall’ex ministro Minniti il quale una certa responsabilità politica per quanto capitato ai migranti nei campi libici non può non averla.
La vera tragedia è politica e riguarda il fatto che le torture ai migranti non hanno provocato cortei e proteste nelle piazze. Come del resto nulla sembra destinato a spostare il documentario di Sky sulle torture inflitte ai responsabili di fatti di lotta armata oltre quarant’anni fa.
Se il nostro paese non ha tuttora una legge adeguata a sanzionare la tortura come reato tipico del pubblico ufficiale una ragione c’è. E si tratta ancora una volta di una ragion di Stato che neanche il documentario del canale 122 riuscirà a scalfire. Alcuni condannati per il sequestro e le torture all’imam Abu Omar sono stati graziati in parte da Giorgio Napolitano e in parte da Sergio Mattarella. Insomma, torturare non è che sia proprio vietato.
Speriamo che a chi oggi ha 20 anni o 30 e anche 40 sia utile la visione del documentario di Sky che comunque ha la grave lacuna di non aver contestualizzato storicamente i fatti come accade sempre soprattutto in tv quando si parla di quella storia maledetta. Terminiamo con Triaca ricordando che l’anno scorso è stato tra quelli ai quali hanno preso il Dna perché la procura di Roma è sempre a caccia di improbabili complici e di misteri inesistenti.
(frank cimini)

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Moro, l’archivio sotto un dominio pieno e incontrollato

Oggi un anno. Un anno fa il sequestro. Il sequestrato si trova sotto un dominio pieno e incontrollato. Parafrasiamo quanto scrisse Aldo Moro prigioniero delle Brigate Rosse perché a essere sequestrato l’8 giugno del 2021 fu l’archivio del ricercatore Paolo Persichetti sulla base di presunte molto presunte violazioni di segreti. Che infatti sono state escluse dal perito nominato dal giudice secondo il quale nell’archivio del ricercatore indipendente non c’erano atti coperti da segreto della commissione parlamentare di inchiesta sul caso Moro.
Ma nonostante ciò l’archivio non è stato dissequestrato. Sono state resitituite solo due pendrive che tra l’altro non c’entravano nulla con Persichetti.
L’archivio come dicevamo resta sotto il dominio di un’operazione di propaganda politica targata Magistratura Democratica, la corrente “di sinistra” alla quale appartengono sia il pm Eugenio Albamonte sia il gip Valerio Savio. L’indagine insomma continua, è senza confini, sempre a caccia di improbabili complici di misteri inesistenti relativi a servizi segreti di mezzo mondo che sarebbero stati dietro le Br per i fatti di via Fani.
È una storia assurda che si spiega solo con la politica, attività a cui la magistratura italiana da tempo immemore dedica molto tempo e tantissime energie.
L’accusa di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo era caduta praticamente subito. Del resto parliamo di una indagine nata a Milano su presunti favoreggiatori della latitanza di Cesare Battisti, archiviata senza neanche perquisire Persichetti come aveva chiesto la polizia. Il fascicolo è stato preso in carico a Roma dalla procura già nota per aver preso il Dna dei condannati per la strage di via Fani e altre persone a oltre 40 anni dagli accadimenti.
Paradossalmente la ricerca storica indipendente pur avendo raggiunte le stesse conclusioni di cinque processi (dietro le Br c’erano solo le Br) viene criminalizzata. Siamo nel paese dove la Fondazione Flamigni che da decenni spaccia bufale dietrologiche sul caso Moro riceve finanziamenti pubblici. Dove il presidente della Repubblica ripete ossessivamente di ricercare la verità come se non avesse in qualità di capo del Csm il dovere di prendere atto degli esiti processuali.
La caccia alle streghe continua. Il sequestro dell’archivio tra l’altro impedisce l’uscita del secondo volume della storia delle Br “Dalle fabbriche alla campagna di primavera” di cui Persichetti è coautore insieme a Marco Clementi e Elisa Santalena. Una sorta di censura preventiva. È tutto nel silenzio dei mezzi di informazione che di questa “strana” indagine non hanno mai sostanzialmente scritto al di là di qualche lodevole eccezione (frank cimini)

Caso Moro, siamo passati dai misteri ai miracoli

Nel caso Moro siamo passati dai misteri inesistenti ai miracoli che si verificano. È comparsa improvvisamente una strana figura di cui mai si era avuto sentore in passato, quella di un tecnico del suono che come secondo lavoro per arrotondare fa il vice procuratore onorario al tribunale di Roma. Si chiama Mario Pescilavora per la Pantheon Sel che fornisce servizi tecnici a Radio Radicale. In sostanza si tratta di fare le registrazioni che l’emittente commissiona.
Pesce era stato incaricato di registrare il 12 maggio scorso il dibattito relativo alla presentazione del libro di Paolo Persichetti “La polizia della storia” sulle fake news del caso Moro e sulla vicenda del sequestro dell’archivio più pericolo del mondo.
Pesce era stato riconosciuto e mostrava di non gradire la circostanza e nemmeno la sua presenza sul posto. Avrebbe potuto chiedere di farsi sostituire. Mario Pesci invece andava a farsi un giro per poi tornare restandosene appartato. Alla fine affermava di aver registrato ma che il microfono non aveva funzionato. Bisogna considerare che i tecnici portano sempre del materiale di scorta come un secondo microfono.
Insomma non c’è la registrazione del dibattito con l’autore del libro, la filosofa Donatella Di Cesare, l’avvocato Francesco Romeo. Esiste invece la possibilità di una singolare coincidenza, che si sia trattato di un sabotaggio al fine di evitare la divulgazione della registrazione. Non si può non considerare il secondo lavoro del signor Pesci. Lavora in quell’ufficio giudiziario che ha messo in piedi una indagine che non sta in piedi a carico di Paolo Persichetti. Il perito del giudice infatti ha accertato che non c’erano atti riservati della commissione Moro nell’archivio del ricercatore quindi non può esserci la violazione del segreto d’ufficio.
Raccontiamo questa ulteriore storia di democratura relativa a un caso che dopo 44 anni non sembra voler smettere di sorprendere. Ma le sorprese continuano ad andare in una sola direzione.
Perché ci sono uffici giudiziari e commissioni parlamentari che tentano in tutti i modi di andare oltre l’esito di cinque processi secondo i quali dietro le Br c’erano solo le Br. Perché lor signori insistono “a ricercare la verità” tanto per usare le patetiche parole di Mattarella. E per raggiungere l’obiettivo fanno carte false arrivando a impedire la registrazione di un dibattito su un libro di ricerca storica indipendente (frank cimini)

Archivio Persichetti, perizia smentisce pm nessun segreto violato

Dopo quasi un anno emerge che la montagna non ha partorito neanche il classico topolino. “Non sono stati rinvenuti elementi riferibili alla richiesta del pm” scrive il perito che ha esaminato l’archivio più pericoloso del mondo, quello di Paolo Persichetti, il ricercatore perquisito l’8 giugno dell’anno scorso indagato per associazione sovversiva finalizzata al terrorismo tramite la violazione del segreto d’ufficio in relazione alla divulgazione di atti della commissione parlamentare di inchiesta sul caso Moro. Non c’erano non ci sono documenti riservati, come aveva sostenuto in qualità di testimone della corona Giuseppe Fioroni ex presidente della commissione che aveva giocato di sponda con la procura.
Il pm Eugenio Albamonte ha fatto un buco nell’acqua ma nessuno gliene chiederà conto. Di questa surreale indagine i grandi giornali non hanno mai parlato evitando di riferire che l’associazione sovversiva era caduta quasi subito e che il capo di incolpazione è cambiato cinque volte. C’è l’assoluta irrilevanza giudiziario del materiale di archivio. Le carte indicate come riservate era in realtà scaricabili dal portale della commissione. L’indagine aveva e ha lo scopo di colpire la ricerca storica indipendente e di protrarre la caccia alle streghe intorno al caso Moro, ipotizzando la presenza di improbabili complici dei responsabili del sequestro già condannati.
La vicenda comunque approderà il 22 maggio all’udienza in cui la perizia sarà discussa dalle parti. A Persichetti non è stato ancora restituito nulla di quanto “sigillato” un anno fa, nemmeno le carte mediche di Sirio il figlio diversamente abile. L’indagine penale copre la realtà di una operazione di propaganda politica targata Magistratura Democratica la corrente alla quale aderiscono sia il pm Albamonte sia il gip Valerio Savio. Il sequestro impedisce a Persichetti di fare il suo lavoro di ricercatore e ha bloccato l’uscita del secondo volume della storia delle Br di cui è coautore con Marco Clementi e Elisa Santalena.
Questi sono i frutti velenosi della commissione parlamentare, non ricostituita in questa legislatura, che aveva fatto della dietrologia e del complotismo il fulcro del suo lavoro. E adesso a chiedere di rifare la commissione sono paradossalmente esponenti di Fratelli d’Italia intervenendo in un campo che era stato in gran parte gestito dalla “sinistra”. Sono giochi politici intorno a fatti di 44 anni fa per inquinare e depistare, nascondere la verità, compresa quella accertata dai processi dove è emerso che dietro le Br c’erano solo le Br. E che non ci sono altri ergastoli da distribuire (frank cimini)