L’archivio Flamigni che da decenni diffonde bufale dietrologiche sul caso Moro riceve una consistente mole di finanziamenti pubblici soprattutto dal ministero della Cultura. 40 mila euro il 9 gennaio del 2019, 38 mila euro il 15 aprile, 2000 euro il 15 ottobre. Vanno aggiunti 40 mila euro il 20 maggio dall’istituto centrale per gli archivi convenzione per portale della rete degli archivi, 3491 euro il 7 agosto dall’Agenzia delle entrate.
Altri soldi nel 2020. Dal ministero 49.157 euro il 22 giugno, 8300 euro il 29 dicembre. Dall’Agenzia delle entrate 4512 euro il 30 luglio, 4474 euro il 6 ottobre.
Insomma si tratta di un vero e proprio affare. Per carità tutto regolare, tutto secondo la legge.
Il primo febbraio del 2021 l’archivio della fondazione Flamigni era stato trasferito presso lo spazio Memo per gentile concessione della Regione Lazio con visita e complimenti del governatore Zingaretti. Insomma la dietrologia e il complottismo hanno molto successo in questo paese. Vengono più che incoraggiati. Del resto siamo dove siamo. Dove ogni 16 marzo ogni 9 maggio a dire che “bisogna cercare la verità” è il presidente della Repubblica e del Csm a discapito di 5 processi dove sono state escluse responsabilità diverse da quelle delle Brigate Rosse.
Si tratta di esiti processuali ignorati dalle commissioni parlamentari di inchiesta e dalla procura di Roma che continuano la caccia alle streghe e a improbabili complici che non sarebbero stati individuati. L’ultima bufala in ordine di tempo è quella partita l’8 giugno dello scorso anno con il sequestro dell’archivio più pericoloso del mondo, le carte di Paolo Persichetti, ricercatore storico indipendente. Un’operazione di propaganda mediatica targata Magistratura Democratica alla quale appartengono sia il pm Albamonte sia il gip Savio con la sponda dell’ex presidente della commissione Fioroni dove il capo di incolpazione è cambiato cinque volte.
Il 30 di aprile sarà depositata la perizia che verrà discussa nell’udienza del 22 maggio con estrazione della copia forense. A quasi un anno dal sequestro dell’archivio Persichetti che non riceve finanziamenti pubblici a differenza della fondazione Flamigni ma solo avvisi di garanzia. Cioè con la garanzia che la caccia ai fantasmi e il depistaggio sul caso Moro non finiranno mai. Probabilmente perché tutto serve per governare adesso (frank cimini)
Il Papa straniero si insedia in procura dopo Pasqua
Si insedierà in procura a Milano dopo Pasqua il procuratore generale di Firenze Marcello Viola scelto ieri dal Consiglio Superiore della Magistratura per succedere a Francesco Greco andato in pensione a metà novembre.
Il ministro della Giustizia Marta Cartabia aveva espletato la formalità pressoché burocratica del concerto già prima della decisione finale del plenum del Csm. Nel senso che per il ministero non ci sarebbero stati problemi per nessuno dei tre candidati usciti dalla commissione incarichi direttivi.
Dal momento che il procuratore facente funzione Riccardo Targetti va in pensione il 15 aprile la procura di Nilano sarà retta per pochi giorni dall’aggiunto Tiziana Siciliano indicata per l’incarico dallo stesso Targetti in attesa che il nuovo procuratore prenda possesso dell’ufficio. (frank cimini)
Arriva il Papa straniero, la fine di Mani pulite e di Md
Con 13 voti il Csm ha designato il Pg di Firenze Marcello Viola nuovo procuratore di Milano. Si tratta dell’ormai famoso Papa straniero per rimarcare il fatto che da decenni il capo della procura arrivava sempre dall’interno del palazzo di corso di Porta Vittoria. Questa volta il vento è cambiato, si è imposta la scelta per la discontinuità perché la procura di Milano era diventata un ufficio allo sbando e non sarà facile metterci le mani.
Era finita sotto accusa da parte della maggior parte dei pm l’organizzazione del lavoro scelta da Francesco Greco andato in pensione a metà novembre. Il segnale di sfogo era arrivato con 57 magistrati su 64 che firmavano il sostegno a Paolo Storari entrato in collisione con i vertici dell’ufficio nell’ambito del caso Eni.
Ma il fuoco covava sotto la cenere da tempo. Basti pensare che poco più della metà dei pm era esentata dai turni per le ragioni più varie da quelle familiari a quelle di servizio.
Con il risultato di far gravare il peso del lavoro ordinario solo su una parte dell’ufficio. Particolare “scandalo” suscitava l’esenzione dai turni dei pm del dipartimento corruzione internazionale che aveva istruito i processi ai vertici Eni poi conclusi con raffiche di assoluzioni.
Ma a risentirne era il complesso dell’attività investigativa. I dati dicono che solo in relazione al Tribunale siamo al 40 per cento di assoluzioni a cui vanno aggiunte quelle davanti al gup e anche quelle mei gradi successivi di giudizio. Un pm che vuole restare anonimo ammette che spesso il capo di incolpazione è quello redatto dalla polizia giudiziaria e che poi non regge al vaglio del dibattimento.
Insomma intorno a Greco c’era una sorta di cerchio magico di privilegiati o comunque di pm che avevano condizioni di lavoro migliori rispetto ad altri.
Per cui si arrivava all’esplosione e ai fuochi di artificio con le chat di discussioni interne seguite al tonfo dell’ipotesi accusatoria nel processo Eni. Da allora non c’è stata più pace mentre diversi pm finivano indagati a Brescia dove ci sono vicende ancora da definire oltre ai procedimenti disciplinari che potrebbero portare ai trasferimenti per incompatibilità ambientale.
Mani pulite di cui è appena ricorso il trentennale appare nolto lontana mentre dall’iter che ha portato alla nomina di Viola esce sconfitta la corrente di Magistratura Democratica che da tempo considerava la procura di Milano come suo territorio esclusivo. Di Md erano stati espressione gli ultimi due procuratori Edmondo Bruti Liberati e Francesco Greco. Md aveva proposto l’aggiunto Maurizio Romanelli che nel plenum ha raccolto alla fine solo 6 voti La corrente di sinistra probabilmente punterà a ottenere la presidenza del Tribunale libera dopo il pensionamento di Roberto Bichi. Ma si tratta di un incarico di peso nettamente inferiore a quello di procuratore.
Toccherà dunque a Marcello Viola far ripartire resettandola la seconda procura italiana per importanza. Non è un compito facile ma appare difficile per lui fare peggio dei suoi due predecessori Bruti Liberari impantanato nel clamoroso contenzioso con l’aggiunto Robledo e Greco in pratica messo in minoranza e isolato dai suoi sostituti per un finale di carriera inglorioso. Come quello di Md che vive il momento più difficile della sua storia. Una corrente nata 50 anni fa per democratizzare la magistratura, per la orizzontalità delle decisioni e finita nella pure gestione del potere di casta. Come disse uno dei suoi fondatori che da tempo non è più tra noi Romani Canosa: “Sarebbe stato meglio se non fosse mai nata”. Aveva visto le cose in grande anticipo. (frank cimini)
I consigli dell’avvocato Gabriele Fuga dalla cella accanto
Quando in Italia accadeva quello che accade oggi per esempio in Turchia. Arrestavano gli avvocati o licostringevano a rifugiarsi all’estero. Con l’alibi della “lotta al terrorismo” lo stato democratico nato dalla Resistenza antifascista massacrava il diritto di difesa identificando i legali con la “banda armata” di cui eranoaccusati di far parte i loro assistiti. Gabriele Fuga racconta la sua vicenda giudiziaria politica e umana nel libro che ha per titolo “La cella dell’avvocato”, circa 300 pagine, 17 euro, edito da Colubri’ cioè Renato Varani uno dei pochi editori rivoluzionari rimasti a combattere nel modo in cui è possibile farlo adesso.
Fuga, già autore insieme al compianto Enrico Maltini di “La finestra e’ ancora aperta” (la più completa ricostruzione dell’omicidio Pinelli) ricostruisce un periodo storico, parte integrante del più serio tentativo di rivoluzione nel cuore dell’Occidente.
Sulla base esclusiva delle dichiarazioni a verbale del “pentito” Enrico Paghera l’avvocato Fuga fu incarcerato con l’accusa di far parte di Azione Rivoluzionaria gruppo anarchico. Verrà assolto dopo
unanon breve carcerazione preventiva e dovette fronteggiare un altro mandato di arresto spiccato a Milano in relazione all’attività di Prima Linea. Il giudice che aveva firmato il provvedimento poi revocato dopo l’assoluzione nel processo di Livorno sarà eletto parlamentare europeo nelle liste del Pci.
Fuga racconta la vita in carcere, l’assistenza legale fornita agli altri detenuti, istanze, consigli, suggerimenti. A Livorno dopo aver litigato con i suoi legali amici tentò anche la strada dell’autodifesa, spiegando che il consiglio dell’ordine di Milano non lo aveva sospeso e che quindi lui era nel pieno delle sue funzioni. Il pm diede parere contrario dicendo rivolto ai giudici: “io non posso stare sullo stesso piano di un imputato che condannerete come terrorista”. Questo era il clima in cui si svolgevano i processi. I giudici negarono l’autodifesa, ovviamente.
Nel libro sono evocate le storie di altri legali accusati di terrorismo. Da Sergio Spazzali a Edoardo Arnaldi il quale si uccise a Genova nel suo studio durante una perquisizione per non finire in carcere. Da Luigi Zezza che si rifugiò a Parigi lavorando nel quotidiano Liberation a Giovanni Cappelli andato pure lui all’estero.
“Qualunque sia la vostra sentenza qualunque sia l’esito dell’ istruttoria in corso a Milano io continuerò a fare l’avvocato- aveva detto Fuga in sede di dichiarazioni spontanee a Livorno- perché come anarchico e come legale rivendico il diritto e il dovere di difendere tutti i compagni che si rivolgono a me anche quelli che vengono ritenuti ‘compagni che sbagliano’ distinzione che non mi interessa e che non mi permetterei mai fare”. (frank cimini)
Moro per sempre. Neanche la guerra frena i dietrologi
Neanche la guerra in Ucraina riesce a frenare i dietrologi sempre a caccia di fantasmi e misteri inesistenti a 44 anni dal rapimento Moro. L’onorevole Federico Mollicone di Fratelli d’Italia dice che il mosaico è incompleto e propone la ricostituzione della commissione parlamentare di inchiesta “accelerando l’iter della nostra proposta di legge ora incardinata presso la commissione Affari Costituzionali”.
Mollicone riesce a definire prezioso il lavoro della commissione presieduta da Giuseppe Fioroni nella scorsa legislatura che come i suoi predecessori non aveva portato risultati concreti.
In tempi che dovrebbero essere di spending review evidentemente prevalgono le necessità della propaganda e il rifiuto di prendere atto degli esiti processuali che avevano escluso responsabilità diverse da quelle delle Brigate Rosse.
Insomma in Parlamento c’è chi è pronto a buttare altri soldi dalla finestra per inseguire piste che parlano di congiure di palazzo di servizi segreti di mezzo mondo che avrebbero preso parte o addirittura organizzato l’operazione.
La mamma dei dietrologi come quella dei cretini è sempre incinta. La novità in occasione del quarantaquattresimo anniversario è che a muoversi sul punto ci pensa un esponente della destra muovendosi in un campo che era stato fin qui quasi esclusivo appannaggio della “sinistra”. E soprattutto degli eredi di un partito troppo interessato a negare che i fatti del 16 marzo del 1978 furono lo sbocco di un durissimo scontro sociale e politico sfociato in una guerra civile a bassa intensità e neanche troppo bassa a dire il vero.
In questa legislatura la commissione non era stata ricostituita ma evidentemente ci sono persone in crisi di astinenza a destra oltre che a sinistra.
Rimpiangono il presidente Fioroni la cui ultima attività conosciuta è stata quella di aver fatto da sponda all’operazione di propaganda messa in piedi da Magistratura Democratica con il pm Eugenio Albamonte insieme a un gip della stessa corrente per sequestrare l’archivio del ricercatore indipendente Paolo Persichetti. Accadeva questo l’8 di giugno dell’anno scorso. Da allora il reato contestato è stato cambiato cinque volte e ruota intorno a una molto presunta violazione del segreto relativo a atti della commissione.
Non è stata ancora estratta la copia forense. A Persichetti nulla è stato restituito bloccando tutta la sua attività. Tutto ovviamente nel silenzio generale perché gli organi di informazione del caso Moro scrivono solo se c’è da rimestare nel torbido a caccia di improbabili complici. E adesso a dare una mano alla “sinistra” arrivano gli ex fascisti di Fdi. L’Unità’ nazionale della dietrologia erede del partito della fermezza (frank cimini)