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giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

ll rischio che dopo Garlasco si apra la stagione degli eterni processi

“Se la riconducibilità ad Andrea Sempio dell’impronta sulla parete di casa Poggi viene veicolata come un risultato scientifico, quello precedente sulla stessa impronta cos’era?”.

Marzio Capra è il genetista che affianca la famiglia della ragazza uccisa e ha lavorato in tutti i più importanti casi di cronaca degli ultimi due decenni.

E’ lui a scagliare la domanda giusta, dritta, urtante, che aiuta a comprendere quanto la nuova indagine su Garlasco potrebbe sgretolare le già flebili certezze sulla giustizia. Le risposte logiche sono soltanto due ed entrambe a loro modo angoscianti. “Se passa il concetto che si mette in dubbio una perizia sul dna fatta nel contraddittorio, quella sulle unghie di Chiara Poggi, e poi che delle impronte dichiarate inutili diventano utili e vengono attribuite a una persona, allora possiamo mettere in discussione tutti i casi di omicidio.Oppure, ed è l’alternativa, devi pensare che ci sia stata una grave imperizia dei consulenti, quelli di allora o quelli di ora”.

Allarghiamo la visuale lasciando per un attimo il caso singolo: il paradosso è che sarebbe meglio che venissero indagati gli esperti per falsa perizia (un reato che esiste davvero, è previsto dall’articolo 373 del codice). Si rassicurerebbe così il cittadino che potrebbe essere stata scoperta una stortura nel meccanismo, un ramo marcio del sistema. Perché se invece dovesse passare il concetto che un risultato scientifico raggiunto con tutte le procedure previste dalla legge può essere annichilito molti  anni dopo, allora mettiamoci comodi.

Si aprirebbe un’era di revisione di decine di processi a cominciare, suggerisce Capra, da quello finito con la condanna di Bossetti per Yara. “Se passa l’idea che le ultime analisi sono le più affidabili e valgono di più, è la fine: dovremmo ricominciare tutto daccapo” dice ancora il genetista .

Tutti in poltrona risucchiati da un’eterna serie Netflix. Noi comodi a discettare ma poi ci sono gli Stasi, i Sempio, le famiglie delle vittime. Il dolore, la gogna, la paura.

Qui abbiamo sempre pensato che Stasi andasse assolto perché la sua colpevolezza è sempre stata un passo indietro oltre il ragionevole dubbio ma il rischio ora è che Sempio diventi un secondo Stasi. (manuela d’alessandro)

 

E’ arrivata la ‘Crime Prevention Week’, ci credete?

Come ci si veste alla ‘Crime Prevention Week?’. Si beve e si mangia?

La Polizia di Stato lancia un’”operazione di controllo straordinario finalizzata alla prevenzione dei reati in ambito ferroviario” che arriva subito dopo la chiusura della ‘week’ più affollata e internazionale, quella del fuori salone del mobile. Ora, qui il tema non sono naturalmente i controlli che rientrano nelle normali attività delle forze di polizia quanto l’utilizzo di una formula che evoca le ormai decine di week cittadine (libri, piano, moda, musei, arte, food, pet, beauty, montagna, greeen) accomunando attività di svago ad ambiti istituzionali e che va nella direzione, come osserva la presidente uscente della Camera Penale di Milano, l’avvocata Valentina Alberta, della “narrazione di Gotham City”.

Il 9 aprile il questore di Milano, Bruno Megale, già investigatore sul campo di grande valore, ha dichiarato che nell’ultimo anno i “reati sono in importante diminuzione fatta eccezione per le rapine in esercizi pubblici” e le statistiche dicono che nell’ultimo decennio i crimini sono in calo (-21mila).

Spiega ancora Megale:“C’è stata una grande attenzione per i reati di strada che maggiormente creano allarme e la priorità è dare risposte a questo tipo di fenomeno. Ci sono altri reati più gravi ma che non sono avvertiti in modo così allarmante”.

Dunque, il tema è quello della percezione più che della statistica. Ecco quindi che viene diffusa la notizia che, durante la ‘Crime Prevention Week”, sono state  arrestate o denunciate alcune persone per spaccio e furto di uno zaino e di un telefonino in zona stazione Centrale.

Normalissime attività che le forze di polizia eseguono ogni giorno, non certo  solo durante la ‘Crime Prevention Week”, definizione che, a questo punto, mortifica anche il quotidiano impegno degli agenti facendolo passare per eccezionale. (manuela d’alessandro)

Non abbiamo mai incontrato i ladri di prime case

Con un brutale colpo di mano il governo più a destra della storia della Repubblica ha scippato al Parlamento l’iter decisionale sul pacchetto sicurezza.
Si andava troppo per le lunghe. Un bel decreto legge e via. Giusto tre modifichine in linea con quanto indicato dal Presidente della Repubblica, per il resto il testo è identico a quello di partenza.

Dei 1500 emendamenti, delle proteste di cittadini e associazioni, delle critiche di professori ed esperti, delle preoccupazioni di osservatori nazionali e internazionali (dall’OSCE, al Consiglio d’Europa, fino alle Nazioni Unite) non se ne farà più nulla.“Abbiamo recepito varie osservazione (…) anche delle stesse opposizioni”, dice Nordio in conferenza stampa. Ma davvero? E quali?  Si sarà confuso; ci sta, del resto il testo è lungo e, come ha lui stesso ammesso, “è complicato anche leggerlo”.
Poi interviene in Senato e spiega ci spiega che in Italia abbiamo un problema: i ladri di case. Che se ne “vanno in giro con macchine costose” in attesa del momento buono per intrufolarsi nelle abitazioni. Basta un attimo di distrazione, tipo andare “a fare la spesa”, e al ritorno la casa è occupata. Denunciare? pericoloso: i ladri di case “minacciavano di ritorsioni se avessero proposto la querela”; inutile rivolgersi alla magistratura, “chiude un occhio” (“come ex magistrato mi sono sempre chiesto il perché”). Ed ecco gente “costretta a vivere in una automobile perché la casa che ha comprato con estreme sofferenze, risparmi è stata occupata da altri”.
L’italia, si sa, è il paese dei piccoli proprietari di prime case: siamo tutti in pericolo. Ecco la vera ragione dell’emergenza abitativa, non è la povertà, non è la gestione delle case popolari, non sono le speculazioni. E’ la tolleranza nei confronti dei ladri di prime case.
Sarà, ma in oltre vent’anni di difesa penale noi di ladri ne abbiamo incontrati tanti. Di macchine, di orologi, di biciclette, di soldi, spesso pubblici.
Ladri di prime case, mai.

avvocati Eugenio Losco e Mauro Straini

Concorso in omicidio per lo Stato che non trovò posto nella Rems a Livrieri

Concorso in omicidio. Lo Stato dovrebbe farsi carico di una parte dei  25 anni che dovrà scontare Domenico Livrieri per avere ucciso la sua vicina di casa Marta Di Nardo.

Ci si può girare attorno dicendo ‘sì, ma poi, chissà come sarebbe andata, forse non l’avrebbe uccisa’, ma è certo che il dovere dello Stato era  quello trovargli posto  in una Rems dove, secondo un giudice che lo aveva ritenuto seminfermo prima del delitto, avrebbe dovuto essere curato e sorvegliato perché ritenuto socialmente pericoloso.

Invece nell’ottobre del 2023, libero e sofferente, quest’uomo che ha assistito con  sguardo buio alla condanna nell’aula della Corte d’Assise di Milano, ha ucciso per poi farne a  pezzi il corpo di Marta Di Nardo, nascondendo quel che restava della povera donna di 60 anni in una botola sopra la porta della sua cucina in un palazzo popolare in via Pietro Da Cortona.  A coronare tutto di “assurdo”, questo è l’aggettivo speso dal legale dell’imputato, Diego Soddu, per qualificare la vicenda, ci sono due altri fatti.

Uno: la perizia psichiatrica disposta dai giudici durante il processo ha effettivamente certificato come seminfermo di mente l’imputato, condizione che gli ha consentito di ottenere un’attenuante.Due, ed è qui che il cortocircuito appare in tutta la sua enormità, i giudici hanno disposto il ricovero in una Rems per 5 anni a pena espiata. Un amarissimo ritorno al punto di partenza.

Domenico Livrieri e Marta Di Nardo si erano incontrati sul pianerottolo dove condividevano i loro tormenti. Se lo Stato e la Regione, da cui dipendono le Rems che sono di competenza della sanità, avessero fatto quello che gli spettava, probabilmente le due anime perse non si sarebbero trovate in quelle scale per perdersi ancora di più.

“Il ricovero nella Rems era rimasto ineseguito per mancanza di disponibilità nonostante i ripetuti solleciti dei pm alle autorità di competenza” dopo che un giudice lo aveva disposto. Questa è l’altra sentenza di condanna per l’omicidio di Marta Di Nardo.

(manuela d’alessandro)

Le manette che non servono ogni giorno, basta fare finta di non vedere

 

Quasi tutti i giorni al terzo piano del palazzo di giustizia,  scelto come punto di osservazione perché c’è la sala stampa, si vedono incedere a passo lento nel corridoio persone trascinate in manette con un sottile cavo di acciaio dagli agenti penitenziari. Sono in apparenza tranquille, non esprimono quasi mai manifestazioni di rabbia e che, insomma, non parrebbero rientrare nei casi descritti nella legge 492 del 1992 introdotta nel 1992 approvata in piena tangentopoli per il ribrezzo provocato dalle immagini del politico Ezio Carra portato in giro per il tribunale con gli schiavettoni ai polsi.

La norma introdusse il principio generale che “salvo in particolari circostanze come la pericolosità del soggetto e il pericolo di fuga, non è ammesso l’uso della manette nella traduzione del recluso. In tutti gli altri casi l’uso delle manette ai polsi o di qualsiasi altro mezzo di coercizione fisica è vietato”.

E’ veramente difficile, proprio a una neutra osservazione dello stato delle cose (la foto pubblicata è di pochi giorni fa), immaginare che ogni santo giorno calpesti i marmi un detenuto così irrequieto e pericoloso (i processi a imputati di elevato profilo criminale non sono certo quotidiani) da costringere alla violazione di un principio generale.

Il regolamento penitenziario peraltro prevede che “nella traduzioni sono adottate le opportune cautele per proteggere i soggetti tradotti dalla curiosità del pubblico e da ogni pubblicità”.

Invece ogni giorno c’è la possibilità di guardare negli occhi, a volte no perché sono fissi a terra, persone in attesa di entrare in un’aula di giustizia legate a un cavo e con le manette che per fortuna, a differenza di  quanto avvenne con Ilaria Salis in Ungheria, gli vengono tolte durante i processi.

Il tema non è quello degli agenti che si limitano a eseguire degli ordini o forse solo a seguire delle prassi (la pericolosità andrebbe valutata dal direttore del carcere o dalla magistratura).

Vorremo invece aprire una riflessione se sia possibile evitare che persone vengano ammanettate senza una necessità reale e contro una legge di civiltà che fa propri i diritti di libertà e di dignità.

Quelli per cui vale la pena non far finta di non vedere. (manuela d’alessandro)