giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Catella sceso dall’ aereo su invito Gdf: si può togliere la libertà di muoversi con la richiesta arresto?

Manfredi Catella era appena salito con suo figlio sull’aereo per Londra quando la polizia giudiziaria lo ha invitato a scendere e a seguirlo nei suoi uffici dove è stata eseguita un’accurata perquisizione e gli è stato notificato l’avviso dell’interrogatorio preventivo per mercoledì 23 luglio.

Su come le cose siano andate esattamente ci sono tre versioni. Secondo una fonte, quello degli agenti più che un invito sarebbe stata una brusca esortazione mentre un’altra riferisce che sarebbe stato lo stesso imprenditore, coinvolto nell’indagine su un presunto sistema di corruzione che dominerebbe l’urbanistica milanese, a decidere di non partire e a volere andare di persona a vedere cosa stava succedendo nei suoi uffici. Una terza fonte investigativa la mette così: “Ma noi glielo abbiamo detto che era libero di partire”.

La vicenda però pone un tema importante che ha a che fare con la libertà e la presunzione d’innocenza nello scenario dell’interrogatorio preventivo introdotto dalla riforma.

Nell’intervallo tra la richiesta di arresto della Procura e la data fissata per l’interrogatorio preventivo, è lecito privare il cittadino della libertà di muoversi? In quel momento Catella era (ed è) senz’altro un uomo libero con tutti i diritti di muoversi e va considerato anche che l’invito a comparire non comporta l’obbligo di presentarsi.

Non si può certo dire che volesse fuggire perché quando è arrivata la polizia giudiziaria non sapeva di essere indagato ed era diretto a Londra per accompagnare il figlio che studia lì.

All’immobiliarista sovrano dell’edilizia cittadina viene peraltro contestato dalla Procura il rischio di reiterazione del reato per essere “inserito in una spirale di affari e corruzione”, non quindi un pericolo di fuga. E dunque: era libero di andarci anche con una richiesta di arresto? (manuela d’alessandro)

La caccia alla presunta investitrice di un poliziotto nel Far West dei social

La foto segnaletica con lei di fronte e di profilo, i dati personali, l’ultimo domicilio conosciuto, una sintesi dei fatti, l’attribuzione certa di un reato. Mancano solo la scritta wanted e la taglia.

Nel far west di Facebook e di Instagram sta girando un appello indirizzato a iscritti e simpatizzanti. Un gruppo che si chiama “poliziottinoi”, pieno di immagini di persone con le divise dello Stato, ha pubblicato una sorta di avviso di ricerca della donna ritenuta responsabile di aver provocato l’incidente stradale costato la vita all’allievo vice ispettore Enzo Spagnuolo.

Sabato 28 giugno il ragazzo è stato travolto mentre era in moto a Falciano del Massico, in provincia di Caserta. La presunta investitrice indicata per nome e cognome, alla guida di una Fiesta, è fuggita senza fermarsi a prestare soccorso.. La pagina Fb rimanda con un link al sito della Polizia di Stato ed è piena di foto di personale in divisa. Tra i commentatori in molti si lamentano perché le segnaletiche non sono abbastanza chiare, chiedendone di più nitide, per agevolare la caccia.. E c’è chi spiega, motivando la definizione non ottimale degli scatti che si tratta di foto “diramata Canali interno Arma Cc”. Possibile? Chi ha davvero divulgato le fotografie e il resto al di fuori dei circuiti ufficiali? E chi tollera che girino in rete? Come se non bastasse, tra i commenti si leggono frasi che trasudano razzismo e sfiducia nella magistratura.
Interpellato via mail, ore dopo la pubblicazione del tutto, il dipartimento di Pubblica sicurezza dice che “sono in corso gli accertamenti necessari per dare le informazioni richieste”. La procura di Caserta per ora non ha risposto alle domande poste. (Lorenza Pleuteri)

Dare dell’imputato a un indagato è diffamazione

Dare dell’imputato a una persona che è solo indagata è diffamatorio?

Sì, è la risposta delle sezioni unite della Cassazione che si sono espresse su una giurisprudenza contrastante su questo tema. Il caso è quello di un articolo pubblicato dal sito del settimanale ‘L’Espresso’ nel giugno del 2013 (12 anni dopo, benvenuta giustizia!).  Il numero uno di una banca d’affari era indagato con l’accusa di avere tentato una truffa ma non era ancora stato raggiunto dalla richiesta di rinvio a giudizio.

In primo grado il Tribunale di Roma aveva assolto il cronista “perché gli errrori non avevano scalfito l’aderenza al vero nella complessiva ricostruzione dei fatti per la corrispondenza tra lo scritto e la realtà visto il coinvolgimento significativo nell’attività truffaldina”.

La sentenza è stata ribaltata in appello con la condanna del giornalista a 5mila euro di sanzione pecuniaria.

Ed eccoci alla decisione della Suprema Corte secondo la quale  ”la differenza tra i due status, in termini giuridici, è significativa, riverberandosi sulla percezione sociale del grado di probabilità del coinvolgimento del soggetto che ne è titolare nel reato che gli viene addebitato. Non si può, quindi, relegare, di per sé e in astratto, una infedeltà narrativa di tale portata all’ambito della mera marginalità, attribuendole impropriamente neutralità ai fini del riconoscimento del carattere diffamatorio della notizia propalata. Ne deriva che i due atti non sono confondibili e non possono essere impropriamente sovrapposti”

Insomma quel che conta è la percezione dell’opinione pubblica sullo “stato di avanzamento della vicenda giudiziaria che riguarda un soggetto la cui progressione tende ad alimentare un effettivo coinvolgimento”.

Certo viene da pensare che la Cassazione sia molto ottimista sul garantismo dell’opinione pubblica in un Paese dove  essere indagati equivale a una condanna.

(manuela d’alessandro)

ll rischio che dopo Garlasco si apra la stagione degli eterni processi

“Se la riconducibilità ad Andrea Sempio dell’impronta sulla parete di casa Poggi viene veicolata come un risultato scientifico, quello precedente sulla stessa impronta cos’era?”.

Marzio Capra è il genetista che affianca la famiglia della ragazza uccisa e ha lavorato in tutti i più importanti casi di cronaca degli ultimi due decenni.

E’ lui a scagliare la domanda giusta, dritta, urtante, che aiuta a comprendere quanto la nuova indagine su Garlasco potrebbe sgretolare le già flebili certezze sulla giustizia. Le risposte logiche sono soltanto due ed entrambe a loro modo angoscianti. “Se passa il concetto che si mette in dubbio una perizia sul dna fatta nel contraddittorio, quella sulle unghie di Chiara Poggi, e poi che delle impronte dichiarate inutili diventano utili e vengono attribuite a una persona, allora possiamo mettere in discussione tutti i casi di omicidio.Oppure, ed è l’alternativa, devi pensare che ci sia stata una grave imperizia dei consulenti, quelli di allora o quelli di ora”.

Allarghiamo la visuale lasciando per un attimo il caso singolo: il paradosso è che sarebbe meglio che venissero indagati gli esperti per falsa perizia (un reato che esiste davvero, è previsto dall’articolo 373 del codice). Si rassicurerebbe così il cittadino che potrebbe essere stata scoperta una stortura nel meccanismo, un ramo marcio del sistema. Perché se invece dovesse passare il concetto che un risultato scientifico raggiunto con tutte le procedure previste dalla legge può essere annichilito molti  anni dopo, allora mettiamoci comodi.

Si aprirebbe un’era di revisione di decine di processi a cominciare, suggerisce Capra, da quello finito con la condanna di Bossetti per Yara. “Se passa l’idea che le ultime analisi sono le più affidabili e valgono di più, è la fine: dovremmo ricominciare tutto daccapo” dice ancora il genetista .

Tutti in poltrona risucchiati da un’eterna serie Netflix. Noi comodi a discettare ma poi ci sono gli Stasi, i Sempio, le famiglie delle vittime. Il dolore, la gogna, la paura.

Qui abbiamo sempre pensato che Stasi andasse assolto perché la sua colpevolezza è sempre stata un passo indietro oltre il ragionevole dubbio ma il rischio ora è che Sempio diventi un secondo Stasi. (manuela d’alessandro)

 

E’ arrivata la ‘Crime Prevention Week’, ci credete?

Come ci si veste alla ‘Crime Prevention Week?’. Si beve e si mangia?

La Polizia di Stato lancia un’”operazione di controllo straordinario finalizzata alla prevenzione dei reati in ambito ferroviario” che arriva subito dopo la chiusura della ‘week’ più affollata e internazionale, quella del fuori salone del mobile. Ora, qui il tema non sono naturalmente i controlli che rientrano nelle normali attività delle forze di polizia quanto l’utilizzo di una formula che evoca le ormai decine di week cittadine (libri, piano, moda, musei, arte, food, pet, beauty, montagna, greeen) accomunando attività di svago ad ambiti istituzionali e che va nella direzione, come osserva la presidente uscente della Camera Penale di Milano, l’avvocata Valentina Alberta, della “narrazione di Gotham City”.

Il 9 aprile il questore di Milano, Bruno Megale, già investigatore sul campo di grande valore, ha dichiarato che nell’ultimo anno i “reati sono in importante diminuzione fatta eccezione per le rapine in esercizi pubblici” e le statistiche dicono che nell’ultimo decennio i crimini sono in calo (-21mila).

Spiega ancora Megale:“C’è stata una grande attenzione per i reati di strada che maggiormente creano allarme e la priorità è dare risposte a questo tipo di fenomeno. Ci sono altri reati più gravi ma che non sono avvertiti in modo così allarmante”.

Dunque, il tema è quello della percezione più che della statistica. Ecco quindi che viene diffusa la notizia che, durante la ‘Crime Prevention Week”, sono state  arrestate o denunciate alcune persone per spaccio e furto di uno zaino e di un telefonino in zona stazione Centrale.

Normalissime attività che le forze di polizia eseguono ogni giorno, non certo  solo durante la ‘Crime Prevention Week”, definizione che, a questo punto, mortifica anche il quotidiano impegno degli agenti facendolo passare per eccezionale. (manuela d’alessandro)