giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Lo sguardo del detenuto in 28 scatti
(ma il fotografo è un avvocato)

Un’infinità di sbarre, porte pesantissime. Bisogna superarne sette come questa per arrivare alle celle del quarto braccio. Lunghi corridoi per raggiungere ‘la rotonda’, soprannome nome quasi poetico per l’esagono che costituisce il centro geometrico di un carcere tetro come quasi tutti gli altri. O forse peggio, perché la struttura di San Vittore è del 1879, le sue mura hanno 134 anni. Passata la rotonda, ancora corridoi, poi due rampe strette di scale, ed ecco le celle del quarto. Ora disabitate, perché il reparto è inutilizzato dal 2006, quando fu dichiarato inagibile. Sarà ristrutturato in primavera. Ma i suoi posti, spiega un commissario della polizia penitenziaria, “sono ancora conteggiati tra quelli previsti da regolamento”. Un trucchetto per ridurre il rapporto tra detenuti effettivi e capacità dell’istituto? “In effetti è un po’ così”, conferma l’agente. Ai numeri attuali, 1480 persone contro i circa 800 posti previsti. Sette porte per arrivarci da visitatore, ma per il detenuto il percorso è diverso. Non parte dall’ingresso in piazza Filangieri, ma dal retro del carcere, all’angolo tra via Bandello e via Vico.

Poi è la via crucis. Con le sue tappe e le sue cadute. Catturate una per una, in bianco e nero, negli scatti di Alessandro Bastianello, avvocato milanese che per passione – civile e fotografica – ha ritratto i passaggi che dal portone sul retro di San Vittore portano fino alla cella, in 28 scatti. L’attesa in una specie di sala d’aspetto. La consegna degli effetti personali che finiscono in un pacco legato con lo spago, custodito in un anonimo magazzino, su scaffali metallici. La schedatura, il nome del detenuto inserito in un archivio suddiviso in ordine alfabetico. La consegna della delle lenzuola e della cosiddetta dote, un corredo minimo di carta igienica, sapone e poco altro. Continua a leggere

“Non è Sallusti, è solo uno zingaro e quindi deve stare in carcere”

L.P. è uno zingaro di etnia serba destinato a scontare in cella la condanna a 4 mesi per guida senza patente decisa dal Tribunale di Milano nel 2011 al termine di un processo celebrato a sua insaputa perché il diretto interessato era in Francia. I pm di Milano non hanno applicato nel suo caso la doppia sospensione dell’ordine di esecuzione della pena come era invece accaduto nella vicenda del direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti condannato per diffamazione a 14 mesi e finito ai domiciliari.

Il ‘caso’ Sallusti era stato seguito e deciso direttamente dal capo della procura Edmondo Bruti Liberati il quale aveva ordinato ai suoi pm con una circolare di applicare la legge ‘svuotacarceri’ laddove i condannati avessero i requisiti richiesti. Allora ci furono polemiche perché i pm delle esecuzioni non erano d’accordo con l’interpretazione della norma data e praticata dal capo dell’ufficio.

Il legale  di L.P., Eugenio Losco, aveva allegato alla richiesta di sospensione dell’esecuzione pena, la decisione di Bruti e la circolare mandata ai pm. Con ogni probabilità il magistrato che ha valutato il caso di L.P. ha considerato quelle carte una sorta di ‘aggravante’ trasmettendo il tutto al giudice di sorveglianza senza disporre la sospensione dell’esecuzione pena. Sarà il giudice a coordinare gli accertamenti sulla situazione dello zingaro serbo. “Ci vorrà il tempo che ci vorrà – dice Losco – L.P. lo passerà in cella, i 4 mesi finiranno così”.

Insomma, i magistrati della procura di Milano regolano i conti tra loro sulla pelle del classico povero cristo che ovviamente non dispone del cellulare del ministro della Giustizia. Nè lui, nè i suoi familiari. (frank cimini)

Una telefonata al Ministro ti accorcia la vita in carcere?

Che il fine fosse nobile, aiutare una detenuta in difficoltà, non c’è dubbio. Ma che quella non fosse proprio una carcerata come  le altre, e non solo perché rampolla della dinastia dei Ligresti, il Ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri non lo può negare. I verbali e le intercettazioni agli atti dell’inchiesta Fonsai di Torino che potete leggere nella sezione ‘Documenti’ raccontano di una storia imbarazzante per la Guardasigilli in cui si intrecciano affetti anche familiari – il figlio Piergiorgio ex top manager della compagnia assicurativa – e dichiarazioni quanto meno incaute per un’esponente del Governo.

Ci sono due puntate in questa vicenda. La prima risale al 17 luglio scorso, a poche ore dall’arresto di Giulia Ligresti, quando la Guardasigilli telefona alla sua ultraquarantennale amica Gabriella Fragni (vedi ‘Intercettazioni Cancellieri’ da pagina 797), compagna di Salvatore Ligresti, che piange. I toni sono accorati, sembrano persino travalicare un sentimento di solidarietà tra amici. “Qualsiasi cosa  possa fare conta su di me, non lo so cosa posso fare, sono veramente dispiaciuta” (…) “Se tu vieni a Roma, proprio qualsiasi cosa adesso serva, non fate complimenti, guarda non è giusto, non è giusto”. Non è giusto cosa? L’arresto di Salvatore Ligresti? Parla il Ministro della Giustizia.

Ed eccoci alla seconda ‘scena’, ambientata in agosto, con il contatto tra la Cancellieri  e i due vicecapi del Dap, il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria, quello che lei stessa definisce “un intervento umanitario assolutamente doveroso in considerazione del rischio connesso con la detenzione”. Facciamo parlare ancora il Ministro (‘Verbale Cancellieri, pagina 450): “Ho ricevuto una telefonata da Antonino Ligresti (fratello di Salvatore, ndr)  che conosco da molti anni  e mi ha riferito della sua preoccupazione per lo stato di salute della nipote Giulia la quale soffre di anoressia e rifiuta il cibo. In relazione a tale argomento ho sensibilizzato i due vice capi del Dap perché facessero quanto di loro stretta competenza per la tutela della salute dei carcerati”. Alcuni giorni dopo l’interessamento del Ministro, a Giulia Ligresti vengono concessi i domiciliari anche se dalla Procura di Torino assicurano che l’intervento del Guardasigilli è stato ininfluente. Resta l’innegabile trasporto (“Lui non se lo meritava”, dice la Fragni sull’arresto del compagno, “Lo so, lo so”, risponde il Ministro) con cui la Cancellieri si è spesa per questa detenuta fragile, figlia di amici di una vita, e sullo sfondo la figura del figlio Piergiorgio Peluso, chiamato a fare ‘pulizia’ in Fonsai e che, come potete leggere nei documenti, si confronta anche sulla vicenda giudiziaria in alcune telefonate con gli ex alti dirigenti del gruppo coinvolti nelle indagini. (manuela d’alessandro e roger ferrari)

“Carceri disumane, libertà vo cercando”. Da Hassan H. sponda a Napolitano

Per “accompagnare i taralli” (classico idioma norvegese) del messaggio alle Camere di Napolitano, Hassan H., 28 anni, egiziano, detenuto dal 5 settembre a San Vittore per spaccio di hashish, chiede con il suo legale al giudice del processo per direttissima di essere scarcerato. “Condizioni di detenzione disumane, in 6 in una cella di metri 2,5 per 4,5 con tre letti a castello” è scritto nell’istanza che ricorda: “Le misure coercitive sono immeditamente revocate, art 299 cpp, quando risultano mancanti le condizioni di applicabilità delle singole misure…. Per la Costituzione istituto di custodia deve essere istituto di custodia conforme alle norme poste a tutela del detenuto”. Continua a leggere