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giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Il “potere dei buoni” di Gaber nel caso Giambruno

“E’ il potere dei buoni costruito sulle tragedie e sulle frustrazioni/E’ il potere dei buoni che un domani può venire buono per le elezioni”.  Tramortiti dalla tempesta Gianbrunesca, ci viene da pensare al corrosivo Giorgio Gaber e ad accennare qualche riflessione che vale per Giorgia Meloni ma potrebbe valere per Elly Schlein o chiunque altro. Qual è la possibile notizia nel caso che svetta sui media italiani, mettendo a tacere il boato delle guerre sotto i nostri piedi? L’unica che cogliamo, ma non abbiamo per nulla certezza che le cose siano andate così, è che una televisione guidata dagli eredi del fondatore di un partito di maggioranza, possa  aver voluto colpire la premier.

Al di fuori di questa possibilità, troviamo allucinante che la compagna del conduttore, che nulla c’entrava con quei fuori onda, abbia dovuto oggi pubblicare una lettera in cui comunicare all’Italia intera lo status sentimentale della sua vita privata perché in quanto premier del Paese deve dare una spiegazione manco fossimo negli USA guardoni e bigottoni che mandano a casa i presidenti ,non eventualmente perché conducono guerre discutibili , ma perché hanno annusato un paio di mutande non coniugali. Allucinante anche che tutti noi di fronte ai filmati di ‘Striscia’ (mica hanno  scoperto reati o salvato vite) finiamo con il “godere” della gogna di Giambruno, essendoci ormai assuefatti a un giornalismo televisivo sceso a un livello talmente infimo da farci rimpiangere i fotoromanzi in bianco e nero degli anni ’50. Giambruno ha avuto comportamenti sessisti? Sembrerebbe di sì, sia la sua azienda a deciderlo, non il forcone del popolo in un Paese in cui allusioni e battute di questo tipo, a volte accompagnate da ricatti professionali, sono la regola in molti uffici. E’ giusto “godere” perché la premier ha sempre esaltato la “famiglia tradizionale”? La politica fatta coi ‘fuori onda’ assomiglia troppo alla schadenfreude, il piacere del fallimento altrui.

“La mia vita di ogni giorno è preoccuparmi di ciò che ho intorno/ogni tragedia nazionale è il mio terreno naturale perché dovunque c’è sofferenza sento la voce della mia coscienza”. Quale coscienza?

(davide steccanella e manuela d’alessandro)

Lo scabroso diritto alla difesa di Alessandro Impagnatiello

Un avvocato si e’ tirato indietro per non meglio precisate incrinature nel rapporto fiduciario col cliente, così come una seconda, nominata d’ufficio, che ha avanzato un’ incompatibilità, pare certificata. 

La terza, quella attuale, non si è nemmeno presentata all’istituto di medicina legale né  ha indicato un consulente per partecipare all’autopsia di Giulia Tramontano, la ragazza uccisa incinta al settimo mese. Strategia concordata con la famiglia? L’assistito non voleva pagare i soldi per la consulenza?

Fatto è che Alessandro Impagnatiello, reo confesso di avere ammazzato la giovane donna, ha avuto tre difensori nel giro di una settimana.

Quello che sta succedendo a proposito del suo diritto alla difesa ci colpisce molto. E ci sembra un ulteriore risvolto di una vicenda in cui sono saltati alcuni schemi necessari in uno stato di diritto maturo. Il diritto costituzionale alla difesa non viene modulato in base alla gravità del reato. Esiste, e basta, in tutto il suo straordinario valore, per il capo mafia allo stesso modo che per il ladro di polli che ha rubato per fame. E anzi se c’e’ un momento in cui si ‘esalta’ di più è proprio quando il reato è più odioso, come in questo caso, nei giorni in cui si sente sulle reti pubbliche invocare perfino la pena di morte.

Come mai è cosi difficile assistere Impagnatiello?

La Camera Penale di Milano ha sottolineato la degenerazione del processo mediatico e i contenuti ‘spavaldi’ della conferenza stampa della Procura di Milano. Aggiungiamo che il flusso di informazioni provenienti dagli inquirenti e’ stato incessante, con foto e video veicolati attraverso canali ufficiali che avranno, forse, inorridito l’ex ministra Cartabia alla cui legge sulla presunzione d’innocenza le Procure si richiamano invece  quando sono in ballo indagini che coinvolgono politici o comunque bersagli molto più scomodi di un omicida che ha confessato.

E’ vero che qui di innocenza proprio non se ne può parlare vista l’ampia confessione e le prove accumulate contro Impagnatiello ma ci vorra’ un processo per stabilire alcuni aspetti essenziali per la modulazione della pena che invece sono gia’ stati sviscerati con grande vigore e certezze da chi dovrebbe attenderne lo svolgimento. C’è chiaramente anche un tema sociologico. L’avvocato Davide Steccanella parla di “mostrificazione” e di “ansia di punizione e castigo estremo”. “E’ terribile quello che ha fatto questa persona ma che piacere c’è nel sapere che verrà buttata via la chiave?”.

Giornalisti, inquirenti, avvocati. Guardiamoci in faccia e chiediamoci: perché  e’ così scabroso il diritto alla difesa di Alessandro Imapagnatiello?

(manuela d’alessandro)

Differenze di trattamento del caso di Roma Termini e del figlio di Salvini

 

Tema numero uno. Un uomo probabilmente affetto da disagio psichico, senzatetto, vagabondo, straniero, qualche precedente di polizia, accoltella una turista a Roma. Due bravi carabinieri fuori servizio lo individuano a catturano, in stazione Centrale a Milano, martedì 3 gennaio.

Fermo di polizia giudiziaria. La mattina dopo, mercoledì 4 gennaio, il pm di turno chiede la convalida del fermo e attorno a mezzogiorno la invia al gip. Il giudice fissa l’interrogatorio per le 3 di pomeriggio dello stesso giorno. Alle 18.00 le agenzie scrivono che il fermo è convalidato, alle 18.30 aggiungono i primi dettagli sul provvedimento. Sono passate esattamente 24 ore dal fermo.

Intanto per tutta la mattina e il pomeriggio molti giornalisti attendono di poter intervistare i due carabinieri. Loro sono disponibili, il comando pure, ma ci vuole l’autorizzazione della Procuratore capo, da cui dipende praticamente ogni comunicazione giudiziaria, in seguito alla riforma Cartabia. Ma se non c’è neanche un comunicato sul fermo, figuriamoci se sono autorizzate le interviste.

La nota arriva alle 16.45, autorizzata dalla Procura di Roma. Comunica che l’uomo è stato arrestato – cosa che tutti sanno dalla sera prima – aggiungendo pochissimi dettagli. I giornalisti vengono fatti entrare in caserma all’istante, per intervistare i due militari.

Tema numero due. Il figlio di un ministro viene rapinato per strada da due giovani nordafricani. E’ il 23 dicembre, due giorni prima di Natale. Non è un caso difficile da risolvere, e la parte offesa, accompagnata dal padre in Questura, dà pronta e utile collaborazione. Il 5 gennaio i due rapinatori vengono arrestati, con misura di custodia cautelare firmata dal gip, su richiesta del pm. Sono passati 13 giorni dal fatto. Alle 17.25 del 5 gennaio l’arresto viene comunicato con una tempestiva nota ufficiale.

Dica il candidato (avvocato, giornalista):

- Quante volte ha assistito in vita sua a tempstiche così rapide tra un fermo di pg e la sua convalida.

- Quanto spesso tra la consumazione di un reato e l’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare passano meno di 15 giorni.

Determini il candidato (avvocato, giornalista)

- Il livello di disfunzionalità e di ipocrisia istituzionale del sistema di comunicazione affidato ai soli comunicati dei Procuratori della Repubblica. (nino di rupo)

 

Le nuove materie ‘top secret’ sottratte dal governo all’accesso civico

Ora che il Governo se ne va, veniamo a scoprire grazie a un tweet  della giornalista Laura Carrer che a marzo un decreto firmato dalla ministra Luciana  Lamorgese ha amputato alcuni dei più preziosi strumenti in mano non solo ai giornalisti ma anche e soprattutto a tutti i cittadini per controllare cosa combini la pubblica amministrazione.

Il provvedimento allarga e di molto le situazioni in cui può essere negato l’accesso semplice ai documenti amministrativi e quello generalizzato, il cosiddetto FOIA d’importazione anglosassone, rendendo  complicato  avere informazioni anche in materie cruciali come l’immigrazione e le tecnologie di sorveglianza. A colpire in modo particolare è il bollino ‘top secret’ imposto su quello che accade alle frontiere. Vanno sotto chiave  “i documenti relativi agli accordi intergovernativi di cooperazione, di programmi per la collaborazione internazionale di polizia inclusa la gestione delle imprese e della cooperazione” e quelli che riguardano “la cooperazione con l’Agenzia Europea della Guardia di Frontiera e Costiera per la sorveglianza delle frontiere esterne dell’Unione Europea  coincidenti con quelle italiane”. Il riferimento sembra proprio essere a Frontex.

Il variegato elenco delle carte sottratte al diritto di accesso comprende anche “le relazioni di servizio, le informazioni e gli altri atti o documenti inerenti a materiali di alta tecnologia utilizzati per le operazioni speciali” e le “relazioni tecniche sulle prove d’impiego dei materiali e dei sistemi informatici e di telecomunicazione oggetto di sperimentazione”.

Alla base di queste limitazioni c’è il concetto di “sicurezza nazionale”, lo stesso in nome del quale il Governo negò nei mesi scorsi all’agenzia di stampa AGI la possibilità di far sapere in base a quali atti vennero fatti tornare indietro  nel giro di poche ore i militari spediti nelle zone di Nembro e Alzano per trasformare in  ‘zona rossa’ il territorio più aggredito dal Covid provocando, forse, più vittime delle tantissime che già si contarono.  (manuela d’alessandro)

Testo aggiornato della legge

 

 

Capri espiatori, Becciu il Palamara del Vaticano

È la logica del capro espiatorio la soluzione che organismi di potere dimostrano di gran lunga di preferire pur di non affrontare problemi e fenomeni che sono chiaramente alla radice di ciò che emerge. E non sembra una situazione caratteristica esclusiva del nostro Paese a vedere quello che sta accadendo in Vaticano con la parabola discendente di monsignor Giovanni Becciu, fino a pochi giorni fa potentissimo caro amico di Papa Francesco e ora nella polvere.
Ci corre un paragone con la vicenda di Luca Palamara, il magistrato che veniva ripetutamente e ossessivamente cercato da colleghi che ambivano a incarichi importanti e che adesso, caduto in disgrazia, è stato scaricato da tutti.
Ovviamente la stragrande maggioranza degli organi di informazione fiancheggia queste operazioni, si fa pochissime domande e procede a spron battuto nella distruzione dell’immagine degli ex potenti.
Monsignor Becciu venne nominato da Benedetto XVI nel 2011. È stato sostituto per gli Affari generali, confermato da Bergoglio e nominato delegato speciale presso il Sovrano ordine militare di Malta al fine di risolvere la crisi dello stesso. Poteva gestire i fondi della Segreteria di Stato, a cominciare da quelli dell’Obolo di San Pietro, il denaro che la Chiesa raccoglie per le opere di carità in favore dei poveri.
Evidentemente Becciu poteva agire senza controlli. Evidentemente i controlli non esistevano. Non c’erano gli anticorpi che sarebbero stati necessari per prevenire operazioni illecite, comprese quelle sottrazioni di denaro poi finito in mille rivoli che adesso vengono ipotizzate dalle inchieste sia della Santa Sede sia in Italia.
Il modo in cui Becciu è stato eliminato, addirittura con l’esclusione dal futuro conclave, dimostra l’inutilità sostanziale di parlare di mere ipotesi investigative. Becciu non ha avuto possibilità di difendersi in presenza di un quadro accusatorio sicuramente pesante. Il monsignore sarebbe stato tra l’altro responsabile di un accordo per mettere lo stemma della Caritas sulle bottigliette della birra artigianale “Pollicino” prodotte dalla “Angel’s” amministrata dal fratello Mario.
Tutto dovrà essere provato? Solo in teoria è così. Monsignor Becciu in sostanza è già stato condannato. Non è certo il primo collaboratore del Pontefice chiamato a svolgere incarichi importanti a finire male. Ha fatto tutto da solo? In Vaticano esistono organismi e persone che hanno il compito di vigilare? Chi controlla chi?
E Luca Palamara ha fatto la stessa fine di Becciu. Il capo della Direzione nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, come risulta dalle intercettazioni finite puntualmente sui giornali, gli telefonava per dirgli: “La tua battaglia è la nostra”. Il procuratore di Milano Francesco Greco gli dava appuntamenti: “Ci vediamo al solito posto”. Palamara aveva in mano la carriera di decine e decine di colleghi. Avrebbe contribuito alla nomina per incarichi direttivi di almeno 84 magistrati.
Perché Palamara agiva con grande furbizia. Anche quando aveva in origine un candidato suo diverso da quello che poi avrebbe vinto, il nostro virava in extremis sul vincitore. Insomma, non perdendo praticamente mai acquisiva sempre maggiore potere.
Ora l’ex magistrato più potente d’Italia è rimasto con un pugno di mosche in mano. Con il Csm di cui fece parte che gli ha negato a livello disciplinare il diritto a difendersi. Aveva chiesto, Palamara, 133 testimoni a discarico: ne ha ottenuti solo un paio, peraltro già presenti nella lista dell’accusa. Per i commerci sotto banco degli incarichi e per i rapporti con il mondo politico sarà il solo a pagare l’ex pm della capitale. E il suo “disciplinare” rischia di essere il processo pilota per il futuro. Quello senza diritti della difesa, quello sognato da molti procuratori almeno fino a quando non saranno loro a finire sotto inchiesta.
Restano al loro posto tutti i colleghi che Palamara ha contribuito a far nominare. Sembra sia stato solo lui a inquinare la vita della magistratura. L’Anm non ammette critiche, lamenta addirittura che ci si occupi sui giornali delle irregolarita’ nei concorsi per magistrati (in realtà se ne scrive pochissimo).
La politica dal canto suo è silente. Stanno zitti anche gli esponenti di partiti che in passato furono protagonisti di scontri durissimi con la magistratura, a iniziare da quelli che nel 2013 occuparono i corridoi del tribunale di Milano in difesa del loro leader, imputato in un processo per un pelo di quella lana nel quale alla fine venne assolto. Evidentemente a tutti o quasi va bene la giustizia per come viene amministrata, va benissimo il Csm ripulito dal metodo Palamara, quello usato per beneficiare tanti magistrati che continuano a impartire dal loro scranno lezioni di etica e di morale. Tutto bene ora. In Italia e pure all’estero. Senza Becciu e senza Palamara.
(frank cimini)