giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Riesame Genova annulla accusa di terrorismo

A Genova non c’è nessuna associazione sovversiva finalizzata al terrorismo. Lo ha deciso il Tribunale del Riesame bocciando la tesi della procura. Restano 4 anarchici agli arresti domiciliari e altri 5 con obbligo di dimora con le accuse di pubblicazione clandestina della rivista Bezmotivny e offesa all’onore e al prestigio del presidente della Repubbluca. Insomma la logica dei giudici è stata quella di un colpo al cerchio e uno alla botte perché non se la sono sentita di cancellare la tesi dei pm su tutta la linea.
Dice l’avvocato Fabio Sommovigo uno dei difensori: “Dovremo attendere le motivazioni per avere un quadro davvero preciso della decisione. Dal dispositivo però già emerge con chiarezza che il Tribunale del riesame di Genova ha escluso la sussistenza dell’associazione terroristica ipotizzata dal pm e dal gip. È stata quindi accolta sul punto la prospettazione difensiva e eliminata dalla vicenda cautelare quella che appariva, sinceramente, un’interpretazione errata e abnorme.
Resta, invece, confermata la decisione di mantenere l’applicazione di gravi misure cautelari connesse esclusivamente alla realizzazione di un periodico che, peraltro, prima dell’ordinanza cautelare, aveva già cessato le proprie pubblicazioni. Ciò preoccupa.
Occorrerà leggere attentamente le ragioni di tale scelta, anche al fine di valutare possibili impugnazioni.
Il legale conclude: “sono stati annullati anche annullati anche i sequestri per difetto di motivazione”.
Insomma la montagna ha partorito il topolino. Siamo sempre nell’ambito di una repressione senza sovversione e su questo adesso c’è pure il timbro dei giudici del Riesame. Il quindicinale che ora non esce più per mancanza di soldi era tanto clandestino da stare in bacheca sulla pubblica via a Carrara.
Tra un mese e mezzo il Riesame depositerà le motivazioni della sua decisione. Intanto hanno chiuso un giornale di opposizione con tanti saluti alla libertà di stampa (frank cimini)

Giurisprudenza creativa, pm: anarchici sono inaffidabili

“Non emergono dagli atti di indagine elementi seri e concreti che consentano di fare affidamento su una cooperazione da parte degli indagati. Anzi tale concorso di volontà non solo non è ipotizzabile ma può ragionevolmente escludersi. Si tratta di soggetti refrattari al rispetto delle regole imposte dall’autorita’”. Questo scrive il pm di Genova Federico Monotti nel ricorso contro la decisione del gip di decidere “solo” per arresti domiciliari e obblighi di dimora in relazione alla posizione degli anarchici accusati di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo per la pubblicazione della rivista Bezmotivny definita dai magistrati “clandestina” pur stando in bacheca sulla pubblica via di Carrara.
Siamo in presenza di una giurisprudenza sempre più creativa che arriva a affermare che gli indagati devono cooperare con l’indagine altrimenti non risultano affidabili. Per cui per loro ci può essere solo la custodia cautelare in carcere. Il ricorso del pm sarà discusso davanti al Tribunale del Riesame il 6 settembre mentre quello dei difensori che chiedono di annullare tutte le misure cautelari sarà esaminato domani mattina lunedì.
Agli atti è stata allegata una relazione della Digos sull’ultimo numero della rivista che è praticamente stata chiusa con l’esecuzione delle misure cautelari. La polizia racconta le difficoltà economiche del quindicinale emergenti dallo scambio di mail tra gli indagati per concludere: “Malgrado le difficoltà appare di tutta evidenza la ferma volontà del gruppo editoriale a proseguire nella stampa del quindicinale anarchico clandestino proseguendo nella loro idea apologetica associativa istigatoria ed esaltando sia la parte ideologica sia l’azione diretta”.
Hanno paura lor signori insomma di un quindicinale chiuso per mancanza di soldi perché tra l’altro non tornerebbero indietro i soldi delle vendite delle copie mandate a diversi centri sociali. Mezzo secolo fa più o meno il potere costituito scatenò la repressione per un fumetto pubblicato dalla rivista Metropoli. Ma almeno il potere di allora aveva l’attenuante cosiddetta che c’era di mezzo Moro e oltre ai morti per le strade. Qui nel terzo millennio siamo alla repressione senza sovversione. Del tutto preventiva. (frank cimini)

Il Viminale lancia la campagna sulle sextortion ma le denunce web sono bloccate

Giornali, agenzie e testate multimediali stanno dando spazio e risalto all’allerta lanciata dai siti del ministero dell’Interno e dalla Polizia postale e delle comunicazioni. Sono in aumento le sextortion, le estorsioni sessuali, con una escalation estiva, più di cento casi noti solo nella prima metà di agosto e un numero oscuro imponderabile.

Cosa sono le sextortion

«Si tratta di un fenomeno con un enorme potenziale di pericolosità, perché agisce sulla fragilità delle persone, in particolare adulti e minori di genere maschile. Tutto inizia – viene spiegato da Viminale e investigatori specializzati – con qualche messaggio scambiato con profili social di ragazze e ragazzi gentili e avvenenti, apprezzamenti e like per le foto pubblicate. Si passa poi alle video chat e le richieste si fanno man mano più spinte. Dopo aver ottenuto scatti e video intimi cominciano le richieste di denaro, accompagnate dalla minaccia che, in caso di mancato pagamento, il materiale verrà mandato a tutti i contatti, gli amici e i parenti. Le vittime, intrappolate tra la vergogna e la paura che le immagini possano essere viste da conoscenti e familiari, tendono a tenersi tutto per sé, a non confidarsi con nessuno e a dare soldi, fin quando possono».

I consigli su cosa fare

Seguono consigli di base. Mai cedere ai ricatti. Non essere in imbarazzo per aver condiviso contenuti spinti. Non cancellare i messaggi scambiati con i ricattatori. Fare una segnalazione sul portale www.commissariatodips.it, lo sportello per la sicurezza sul web creato e gestito dalla stessa Polizia postale. Denunciare “subito”, cioè prontamente, immediatamente, senza indugio. Stesso discorso per il revenge porn, la diffusione di immagini e filmati osé, destinati a rimanere privati e messi in circolo per vendetta, rivalsa, dispetto.
Anni fa era stata introdotta la possibilità di compilare e inviare telematicamente le denunce per i reati telematici (e non solo), da formalizzare presentandosi poi di persona all’ufficio territoriale di riferimento. Peccato però che questa opzione da mesi non sia più attiva e nessuno lo dica agli utenti. Anzi. Nella home page del commissariato online c’è scritto, tuttora: «La Polizia di Stato, per venire incontro alle vostre esigenze e consentirvi il disbrigo di determinate pratiche in maniera più agevole e veloce, ha realizzato il servizio di “Denuncia via web di reati telematici”, un progetto che realizza un nuovo rapporto di collaborazione, perché sarete voi ad iniziare il lavoro». Ma quando si clicca sulla finestrella, per procedere in tempo reale a compilazione e inoltro, esce un avviso: «Il servizio “denuncia vi@ web” è momentaneamente sospeso poiché è in atto una reingegnerizzazione dell’infrastruttura».

La polizia postale conferma il blocco

Confermano dalla sede centrale della Polpostale: «Questo servizio, che è del ministero dell’Interno, è fermo da circa un anno. A breve tornerà disponibile, implementato e migliorato. Il nostro personale è a disposizione nelle sedi territoriali e in rete. Online è possibile mandarci segnalazioni attraverso il portale e via Facebook. Le leggiamo tutte, raccogliamo ogni richiesta di aiuto, rispondiamo. Il problema di fondo, per le sextortion, è che i ricattati si vergognano, sono terrorizzati, stanno zitti. Pagano, pensando che una volta sia sufficiente. Non è così. Le richieste di soldi non si fermano. Il timore è ci sia un numero elevato di crimini di cui non veniamo messi a conoscenza. Per questo abbiamo lanciato una allerta e chiediamo alle vittime di farsi avanti, senza timori».

Le fasce ristrette degli uffici postali

Le denunce formali possono essere presentate all’ufficio della Polpostale più vicino, andandoci. Nelle pagine del commissariato online si trova l’elenco degli sportelli distribuiti in tutta Italia. Ma accanto agli indirizzi non sono riportati gli orari di apertura al pubblico. Bisogna cercali in rete oppure telefonare (però a Pescara nessuno risponde e a Napoli e Genova i numeri telefonici sembrano fuori sevizio). Si scopre così che gli investigatori specializzati nel contrasto ai reati telematici sono raggiungibili in fasce orarie ristrette, a fronte di crimini no stop e vittime fragili. A Potenza chi subisce un sexy ricatto, e vuole denunciare, viene ricevuto solo di martedì e dalle 9 alle 12. A Catanzaro si hanno a disposizione tre ore nelle mattinate di lunedì, mercoledì e venerdì, a Forlì di martedì e giovedì. Anche a Bologna le denunce sono raccolte non oltre le 13 e nei primi cinque giorni della settimana. A Roma si aggiungono finestre pomeridiane quotidiane e il sabato mattina. Nemmeno sugli orari precisi ci sono certezze. A Milano la mano destra non sa quello che fa la mano sinistra. Alla Polpostale dicono di ricevere le denunce rigorosamente su appuntamento, dalle 9 alle 17.00, dal lunedì al venerdì, e per le prenotazioni va chiamato un numero specifico (che online non si trova e che dal centralino non passano). Il portale della questura del capoluogo lombardo indica invece la fascia oraria 8.30 – 12.30, riportando l’interno telefonico sbagliato. E specifica, come se il servizio non fosse stato disattivato: «Solo per le denunce online l’apertura è dal lunedì al venerdì con orario 9.00-13.00 e 15.00-17.00».

Un esperimento da utenti

Travestirsi da utente porta a risposte diverse. A Bologna il centralinista della Polpostale sostiene che «il sistema delle denunce via web ha sempre funzionato malissimo e quindi è stato tolto e non è detto che venga riattivato». A Catanzaro l’invito, per poter denunciare subito, come consigliato dai siti istituzionali, è quello di rivolgersi alla questura o a un commissariato tradizionale oppure ai carabinieri. «Se gli orari non sono compatibili e si ha fretta, non è obbligatorio venire da noi. Dove si presenta denuncia è indifferente – affermano anche alla sede di Milano – Le notizie dei reati telematici vengono trasmesse alla procura ed è poi la procura a decidere a chi assegnare gli accertamenti». Il Garante della privacy, oltre a raccoglie segnalazioni online, per prevenire la diffusione di materiali privati indica come referente la Polpostale e non una qualsiasi forza di polizia.
Replicano dalla stessa Polizia postale, rettificando le informazioni che si hanno per telefono. «Nessuna persona viene mandata via, se si presenta nelle nostre sedi per reati gravi o situazioni pesanti. Ci sono vicende che non possono aspettare. Abbiamo operatori preparati, sensibili, attenti». Manca invece un dirigente centrale stabilizzato. La Polizia postale e delle comunicazioni da un anno e mezzo è comandata da un reggente.  (lorenza pleuteri)

Una mattina d’agosto nella bolgia delle ‘direttissime’ di Milano

C’è una giustizia velocissima che non si ferma mai, nemmeno d’estate. In tribunale a Milano è la stagione in cui i pavimenti in marmo brillano nella pace della ‘controra’ del potere giudiziario, calpestati da rari avventurosi. Tranne che al piano terra. Dentro alle aule delle ‘direttissime’, spesso accostate da chi ci lavora a bolge dantesche, ferve il rito delle convalide degli arresti della notte. E’ qui che passa la piccola criminalità e da qui bisogna partire per capire come le carceri si riempiano a dismisura.

 La libertà delle persone viene decisa in pochi minuti. “Giudice, ho appena iniziato a leggere il fascicolo” protesta debolmente l’avvocato Valentina Scandale, “sostituta di un collega amico in vacanza”, quando viene chiamata dal magistrato. Pochi minuti fa ha ‘afferrato’ dal tavolo del pubblico ministero le carte in cui viene ricostruito il caso di un egiziano beccato con un panetto di hashish da 70 grammi. Leggere il prima possibile l’incartamento, spiega Chiara Campanello, legale ‘specializzata’ in direttissime (“Mi piace, devi avere una grande prontezza”), è l’obbiettivo di ogni difensore d’ufficio buttato giù dal letto dalle forze dell’ordine per affiancare gli arrestati. “Stamattina sono fortunatissima, ho un po’ di minuti per sfogliarlo”. Copia a penna su un taccuino con grafia minuziosa le tappe della vicenda del suo cliente accusato di avere strappato dal collo di un’anziana una catenina. Decide in pochi secondi la strategia da suggerire al ragazzo di 27 anni, egiziano, nella gabbia. Il consiglio è di ammettere l’errore. “Non ha precedenti, ci sono margini per evitare il carcere”.

 

una mattina agosto bolgia direttissime Tribunale Milano

 

Parte la litania delle domande del giudice che sentiremo quasi sempre. “Da quanti anni è in Italia?” “Da quasi un anno”. “Ha una casa?”. “Ho un posto letto al Giambellino che pago 200 euro”. “Lavora?”. “In nero, come imbianchino”. “E’ regolare?”. “Ho già l’appuntamento per le impronte digitali”. E poi supplica: “E’ la prima volta che sbaglio e anche l’ultima. Chiedo perdono”. Jamal Zoughheib, l’interprete arabo che da 40 anni fa questo lavoro pagato spesso male e in ritardo, accompagna coi gesti delle mani le parole del giovane. Non lo faccio più. Ma il giudice lo spedisce in carcere anche perché, dice, c’è “un’elevata” possibilità di reiterazione del reato e poi la sua condotta di strappare la catenina “è stata di particolare violenza”. Si mette le mani in faccia e piange, gli agenti lo portano via.

Avanti un altro. Il pubblico ministero con abito a fiori, espradillas, ventaglio e tè freddo, indossa la toga. Questione di droga. “Da dove veniva e dove era destinata?”. “Non lo so”. Ha precedenti, è tossicodipendente. Galera anche per lui: “ci sono evidenti esigenze di tutela della collettività”. Nella pausa l’interprete racconta: “Sono al servizio permanente della giustizia. Non vado in ferie da due anni. Ad agosto, poi, manco a parlarne. Ci sono un sacco di emergenze. Mi pagano spesso a distanza di mesi. E’ un lavoro bellissimo, il mio, e importante, ma non lo vuole fare nessuno. Le bollette le devi pagare subito”.

Cambiamo aula. Una donna nigeriana di 33 anni ieri sera ha danneggiato 12 scooter elettrici a noleggio e una moto, zona Stazione Centrale. Emerge che ha un disturbo bipolare e vive in strada a Milano. “Ho la protezione internazionale perché sono omosessuale e nel mio Paese non si può esserlo”. Fa capire che vorrebbe andare in carcere per mangiare. Il rappresentante dell’accusa, Arturo Iacovacci, però non la può ‘accontentare’. Non ci sono le esigenze cautelari e così la pensa anche il giudice. Libera. Fuori dall’udienza il Vpo (vice procuratore onorario) discute con l’avvocato dell’opportunità che la donna torni in carico ai servizi sociali di Lecco, com’era prima di finire senzatetto.

Tocca a un giovane della Sierra Leone. “Da quanto sei in Italia?”. “Dal 2016”. “Dove vivi?”. “Nel dormitorio di via Ortles”. “Perché sei lì?”. “Ho un problema di salute”. “Cos’hai da dire a tua difesa?”. Risponde che un altro ospite della struttura gli doveva restituire 200 euro e gli aveva promesso che l’avrebbe fatto. “Siccome non l’ha fatto, gli ho rubato il portafoglio. Mi vergogno”. Nel suo passato ci sono altre otto denunce per furto. Il giudice convalida. Fuori udienza, il rappresentante dell’accusa dice: “C’è tanta gente che non dovrebbe stare qui, come la ragazza bipolare che dovrebbe essere curata”.  (manuela d’alessandro)

Il Tribunale-paese una causa anche sul Ct del calcio

L’Italia non è un paese ma un Tribunale. Ci sarà ma in pratica c’è già annunciata da tutti gli addetti ai lavori e ai livori una causa anche sul commissario tecnico della nazionale di calcio dopo le dimissioni di Roberto Mancini e la designazione e nomina di Luciano Spalletti. Saranno i giudici a decidere sulle violazioni vere o presunte del contratto che legava Spalletti al Napoli. Come spesso accade in questo straordinario paese l’aspetto giudiziario che dovrebbe essere il meno importante in una vicenda del genere diventerà’ quello principale.
Ovviamente ci vorranno mesi probabilmente anni. Quando ci sarà la sentenza forse ci sarà già un altro Ct ma intanto diventeremo tutti esperti dì contrattualistica sui social e sui giornali divisi in fazioni a favore e contro e magari tutti contro tuttio. Di quello che ha prodotto questa situazione si parlerà poco e niente innanzitutto perché intanto il pallone rotolerà come sempre e buona notte ai suonatori.
Se la nazionale non è approdata alla fase finale degli ultimi due campionati del mondo è nelle due precedenti occasioni non aveva superato il primo turno il problema da discutere sarebbe quello di un sistema calcio profondamente malato. Certo, essendo in mano a personaggi provenienti dal sottobosco della politica che di pallone sanno nulla mentre per fare un esempio gente come Gianni Rivera e Roberto Baggio non è mai stata presa in considerazione per ruoli effettivi nella catena di comando.
Nelle scuole calcio i ragazzini sono ossessionati dalla tattica e non lasciati liberi di giocare come si gioca per strada divertendosi e divertendo. Non si è mai pensato seriamente di mettere un limite al numero di giocatori stranieri che ogni squadra può schierare in campo. Di recente Roberto Mancini si era lamentato proprio del fatto che giovani e giovanissimi a differenza dei campionati di altri paesi non sono quasi mai titolari. Ma lui Mancini quando era all’Inter giocava con almeno sette o otto stranieri.
Per il presente e il futuro del calcio italiano non ha alcuna importanza sapere chi ha ragione tra Aurelio De Laurentis e Luciano Spalletti. Ma ci accapiglieremo proprio su questo. Intanto il calcio vero quello che conta si giocherà solo altrove. Forse anche in Arabia Saudita, ma non qui dove una volta si parlava del campionato più bello del mondo.
(frank cimini)