giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

“L’avvocatessa aveva ragione a sentirsi perseguitata dal giudice”

Erano “fondate” le lamentele di un’avvocatessa milanese sull’atteggiamento “persecutorio” manifestato a suo danno dal giudice Benedetto Simi De Burgis. Lo scrive il giudice di Brescia Vincenzo Nicolazzo nelle motivazioni alla sentenza di assoluzione pronunciata a gennaio nei confronti della legale accusata dal magistrato di calunnnia. De Burgis aveva querelato l’avvocatessa perché lei lo aveva accusato di avere pronunciato frasi “offensive, denigratorie e umilianti” durante alcune procedure in cui era stata curatrice “finalizzate a farle togliere gli incarichi e diffamarla”.

Dalle motivazioni si scopre che, tra le altre cose, De Burgis, nelle sue vesti di giudice tutelare, si sarebbe rivolto in modo offensivo verso l’avvocatessa sostenendo che si era intascata una liquidazione troppo alta nell’ambito di una procedura da lui ritenuta “priva di specifica complessità” perché la persona sottoposta a tutela era “sufficientemente autonoma”. L’avvocatessa ha invece spiegato che la sua assistita era affetta dal morbo di Alzheimer in un contesto di “condizioni familiari critiche”. E ancora:  De Burgis avrebbe mostrato poco rispetto per la legale accusandola, nelle sue vesti di amministratore di sostegno”, di “depauperare” la sua assistita.  Ma anche qui la presunta calunniatrice ha risposto in modo puntuale alle critiche. In un altro caso ancora, l’aveva tacciata di essersi trattenuta illecitamente 5mila euro nell’ambito di una curatela, accusa anche questa vanificata da tutti i chiarimenti del caso.

Per spiegare l’assoluzione ‘perché il fatto non costituisce reato’, il giudice Nicolazzi ricorda che il reato di calunnia c’è quando il calunniatore “abbia la certezza dell’innocenza” della vittima. “Non si vede – scrive il magistrato – come si possa affermare che l’imputata fosse convinta  dell’innocenza dell’incolpato, emergendo, al contrario, non solo la sua buona fede, ma altresì la fondatezza delle sue doglianze “.

La vicenda penale deriva da una disciplinare, chiusa con un provvedimento definitivo di ‘censura’ da parte della Corte di Cassazione a carico del magistrato per avere tenuto “un tono irridente e allusivo” nei confronti della curatrice. Il legale aveva fatto scattare il procedimento disciplinare lamentadosi col presidente della sezione in cui lavora De Burgis del contenuto di alcuni scritti, da lei ritenuti offensivi, e lui aveva ribattuto denunciandola per calunnia.  Nel suo ricorso alla Cassazione, dopo una prima censura del Csm, il giudice si era difeso sostenendo che la donna avesse “specifici motivi di astio” contro di lui.

(manuela d’alessandro)

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“Evaso per mangiare la pizza”. E il giudice lo lascia libero.

Mesi di prigione per una decina di rapine. Finalmente il suo avvocato Glauco Gasperini riesce a fargli concedere  i domiciliari. E il ragazzo che fa?

Dieci giorni dopo evade. In un modo bizzarro, è vero, ma tanto basta per fargli rischiare di tornare dentro. Così riecco il giovane senegalese davanti a un giudice. Con una giustificazione che strappa un sorriso a tutti: “Mia madre cucina proprio da schifo, ero sceso solo a prendermi un trancio di pizza”. E uno spot per lo ius soli. “Io ormai sono del tutto italiano e la cucina senegalese non mi piace più”.

Il giudice Guido Salvini, a cui lo spirito non manca, ribatte: “La prossima volta ordinala con una consegna a domicilio”. E decide di non applicare nessuna misura (peraltro non chiesta nemmeno dal rappresentante dell’accusa) rinviando la causa a ottobre per vedere come si comporta. Gustizia umana, direbbe Fantozzi.

(manuela d’alessandro)

Fondi Expo Giustizia, le mail che inchiodano il Comune di Milano

Eccole le decine di mail acquisite dalla Guardia di Finanza a Palazzo Marino che dimostrano le irregolarità nella gestione di almeno 10 milioni di fondi Expo per la giustizia. Sono quelle a  cui fa riferimento l’Anac nel provvedimento notificato venerdì scorso al Comune e al Dgsia, la struttura per gli appalti informatici del Ministero della Giustizia.

Al punto 6 di un lungo e dettagliato elenco di appalti sospetti, si spiega il ruolo avuto dal ‘Gruppo di Lavoro per l’Infrastrutturazione informatica degli Uffici di Milano’, di cui facevano parte rappresenti del Comune, il Minisitero della Giustizia e i vertici degli uffici giudiziari.  L’analisi della corrispondenza elettronica interna a questo Gruppo svela che, con circa tre mesi di anticipo rispetto alla delibera di Giunta sulla prima tranche di finanziamenti (nel settembre 2010), i giochi erano già fatti. Cioé  i partecipanti al tavolo, ciascuno in base alle proprie competenze, avevano già deciso di affidare il ‘tesoro’ di Expo senza gare pubbliche alle società Elsag Datamat e Net Service. A loro vennero garantiti ricchi contratti molto prima di capire di cosa avessero bisogno gli uffici giudiziari. E dopo, solo dopo, si trovarono le motivazioni per affidare questi lavori  alle due società, poi fuse in una sola, e in orbita Finmeccanica.

Su 72 procedimenti analizzati, sono 25 quelli che Anac considera viziati. Dei 16 milioni spesi tra il 2010 e il 2015, sono stati messi a gara solo poco meno di 6 milioni. Il resto sarebbe stato distribuito con affidamenti diretti immotivati, in nome dell’unicità del fornitore, della continuità con gli appalti precedenti e della sicurezza. Una parte della relazione di Anac riguarda anche la segnaletica interna al Palazzo e il simbolo di questa storia, i monitor appesi ovunque e mai entrati in funzione. Oltre che il ruolo della Camera di Commercio, beneficiari di lavori delicati come il restyling del sito del Tribunale, senza apparenti valide ragioni.  L’Anac chiama in causa le amministrazioni guidate da Letizia Moratti e da Giuliano Pisapia, mentre sull’accertamento delle responsabilità dei magistrati dovrebbe intervenire la Procura la cui inchiesta, aperta contro ignoti, per ora non da’ segni evidenti di vita. (manuela d’alessandro)

“Scusi, sa dove si trova la settima sezione penale?”

Per anni della nuova segnaletica del Tribunale di Milano prevista in uno degli appalti coi fondi Expo per la giustizia non si è saputo nulla. Poi, vedi il caso, poco dopo l’esposto – denuncia di Anac, un’improvvisa primavera della burocrazia ha fatto spuntare in ogni dove cartelli, totem, targhe.

Un delirio cartografico con effetti esilaranti. Aule indicate più volte in modo ossessivo, la scritta ‘Samp’ (Sezione Autonoma Misure di Prevenzione) sulla porta dell’interistissimo giudice Fabio Roia, erroracci sui nomi dei magistrati (Nunzia Ciaravolo trasformata in Ciaravola). E ancora: procuratori generali in pensione da mesi (Carmen Manfredda, ma anche altri) onorati di una targa nuova di zecca, sigle messe senza logica (CR per Corte d’Appello, TR per Tribunale Ordinario e molto altro), cancellieri a cui è toccata una doppia targa su due piani diversi del Palazzo.

Va bene, abbiamo capito che li avete spesi questi soldi piovuti da Expo. E anche dove si trova la settima sezione penale.

(manuela d’alessandro)

“Milano addio, non credo più che sei diversa”, il pm Pellicano se ne va

“La vicenda Bruti/ Robledo mi ha profondamente segnato. Nonostante non fossi più giovanissimo, mi ha strappato dal mio mondo sognante. Avevo sempre coltivato un’ingenua e consolatoria idea di ‘diversità‘ della magistratura, che è stata spazzata via in pochi mesi. Lascio un Ufficio che mi piace meno di quello che avevo incontrato nel 2001; sarà il mio modo invecchiato di avvertire le cose “. Questa lettera è stata scritta e inviata ai suoi colleghi dal pm Roberto Pellicano prima di lasciare la Procura di Milano per quella di Cremona che guiderà. E’ un documento importante perché racconta il punto di vista sugli ultimi anni e su quello che è ora la Procura di un magistrato che abbiamo avuto modo di apprezzare per la sua autonomia di pensiero, oltre che per la rara gentilezza.

“Impossibile non provare un sentimento di profonda gratitudine e riconoscenza verso un Ufficio che mi ha insegnato gran parte di ciò che so, sul piano umano, prima che su quello professionale”, riconosce Pellicano nel rivolgere un saluto “al mio Ufficio, dotato di uno spirito e di una cultura non meno definiti di quelli individuali”. Nel commiato si fa più viva l’amarezza per la vicenda Bruti – Robledo appena temperata dal pensiero che forse è meglio aver perduto l’innocenza “perché idealizzare il fine del proprio lavoro può menomare il giusto approccio professionale”. Pellicano faceva parte del pool guidato da Alfredo Robledo che lamentò pesanti intromissioni per non far svolgere le indagini su Expo. “Continuerò comunque a fare ogni sforzo per respingere l’idea nichilistica, spesso conveniente, secondo la quale una decisione vale l’altra, e non invece che ve ne sia una sola da ricercare, quale giuricamente corretta”, è l’ultima promessa di Pellicano prima di chiudere la porta e possiamo sentire il suo grande sollievo.

(manuela d’alessandro)